«Gli accordi e la trattativa di cui parlano i magistrati di Palermo? Sono bufale inventate di sana pianta. Il generale Mario Mori ha servito il suo Paese e lottato contro la mafia». A parlare è Roberto Longu, ex maresciallo del Ros, membro di Crimor, lo speciale nucleo dell’Arma dei Carabinieri che nel ’93, al comando del capitano “Ultimo”, al secolo colonnello Sergio De Caprio, arrestò Totò Riina. «Non ci fu nessun accordo con Riina. La mafia - prosegue Longu - noi la combattevamo e basta. Quel giorno c’ero anch’io: la perquisizione del covo del capo dei capi non fu fatta solo ed esclusivamente per motivazioni di ordine operativo, legate alla strategia investigativa di Crimor. Il resto sono tutte sciocchezze inventate di sana pianta da alcuni magistrati di Palermo. Basta rileggersi la prima sentenza, quella che assolse Mori e Ultimo dall’accusa di favoreggiamento aggravato (in favore di Cosa Nostra, ndr) per la famigerata mancata perquisizione del covo di via Bernini, per rendersi conto che fu proprio De Caprio a opporsi alle scelte del pm Vittorio Aliquò. Il magistrato voleva operare facendoci perquisire un luogo dove il boss era stato molti anni prima e se l’avessimo ascoltato probabilmente Riina oggi non sarebbe in carcere. Perché non indagano Aliquò? La magistratura non è un pezzo dello Stato come il Ros? Ora - va avanti l’ex maresciallo - si inventano che è tutta una macchinazione, che addirittura ci fu una trattativa tra lo Stato (cioè noi del Ros) e la mafia, tra l’altro dando credito alle rivelazioni di Massimo Ciancimino che, non lo dimentichiamo, è figlio del padre. C’ero anche nel ’95, nella masseria di Mezzojuso, dove un collaboratore ci disse che avremmo dovuto trovare Bernardo Provenzano. Non si sapeva né quando né come. La fonte doveva recarsi in quel posto su ordine dello stesso Provenzano - aggiunge Longu - e non avevamo alcuna certezza sulla fondatezza di queste informazioni. In più quel casolare era in una zona isolata, al centro di una piana, e controllarlo da vicino era difficilissimo, perché tutti in quel paese di quattro anime si sarebbero immediatamente accorti della nostra presenza. Perché non furono installate delle telecamere? Perché non c’erano posizioni idonee. Non è stato mai rivelato un altro particolare: effettuammo anche un’intrusione notturna nel casolare, per tentare di installare delle microspie, ma non fu possibile. A quel tempo in alcune zone mancava l’energia elettrica e perciò bisognava avvisare l’Enel e utilizzare i loro mezzi per posizionare le apparecchiature e ciò significava rivelare la nostra presenza, cioè compromettere l’indagine. Abbiamo fatto centinaia di controlli e sopraluoghi e Provenzano non lo abbiamo visto. Nessuno ci bloccò - chiosa l’ex maresciallo del Ros - nessuno ci disse “non lo prendete” e la catena di comando non fece altro che stare alle nostre direttive che eravamo sul posto e che per giorni avevamo fatto il servizio di Ocp (osservazione, controllo e pedinamento, ndr) intorno a quella masseria».
Fabrizio Colarieti - 27 ottobre 2010
Il PM Aliquò non è lo stesso che interrogò il pentito Mutolo con Paolo Borsellino, se non erro imposto da Giammanco e, salì con lui al Ministero, dopo la telefonata ricevuta da Borsellino per incontrare il neo eletto Ministro Mancino?
Oggi ho letto, in merito, che dovrà essere ascoltato anche De Gennaro, definito CAINO da Contrada. Riporto qui di seguito una affermazione dell'Onorevole Cicchitto in merito alle presunte calunnie fatta da Ciancimino e riguardanti lo stesso De Gennaro: ''Già prima della calunnia contro De Gennaro, per noi Ciancimino jr era inattendibile. Ed è gravissimo che ci sia ancora chi - come la Procura di Palermo - prova a salvarne caso per caso, parzialmente, l'attendibilità......”. e le affermazioni del direttore Robert S. Mueller – che non ha perso tempo a intessere pubblicamente i suoi elogi. ‘’Per quasi trent’anni De Gennaro è stato un amico fidato e un partner dell’ Fbi e delle forze dell’ordine Usa – ha detto Mueller – . E’ un leader che ha dato un contributo significativo alla lotta contro il crimine organizzato e il terrorismo’’. E non solo A De Gennaro, che era il diretto superiore di Arnaldo La Barbera, il capo della squadra Mobile di Palermo che fece arrestare Vincenzo Scarantino, trasformatosi poi nel falso pentito che per diciotto anni ha consegnato alla giustizia e all’opinione pubblica una falsa verita’ su via D’Amelio, i pm chiederanno di ricostruire la storia della lotta a Cosa nostra fin dall’annus horribilis dell’antimafia: il 1989. In quella primavera di veleni, La Barbera che proprio in quei mesi era a libro paga del Sisde con il nome in codice di ‘’Rutilius’’, arrestò il 26 maggio in una villetta di San Nicola l’Arena, località balneare vicino Palermo, il pentito Totuccio Contorno, ex fedelissimo di Stefano Bontade (il capofila dei clan avversi ai corleonesi) ufficialmente superprotetto negli Usa, ma in realtà sbarcato in Sicilia e ospite dei cugini Grado. In quei mesi 17 mafiosi alleati di Totò Riina restarono sull’asfalto, crivellati di colpi. Il Corvo attribuì quella mattanza nel “triangolo della morte’’ (Bagheria, Altavilla, Casteldaccia), alla caccia spietata di Contorno, e la responsabilità di aver fatto rientrare il pentito in Sicilia ‘’con licenza di uccidere’’ proprio a De Gennaro, accusato di avere ideato con Falcone ‘’l’utilizzazione dinamica del collaboratore sul territorio’’. Accuse poi dissolte nel nulla; in quell’occasione il superpoliziotto si difese con grande fair play ed efficacia, e uscì incolume da quei veleni, ma la Commissione Antimafia dovette secretare centinaia di pagine di intercettazioni telefoniche che documentavano anche i contatti tra il De Gennaro e il pentito, presunto giustiziere, poi prosciolto da ogni accusa.