Per il momento è solo una direttiva. Ma l’orientamento del ministero della Giustizia sullo spinoso tema dei costi per le intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, appare ormai chiaro. Le parole d’ordine sono due: risparmiare e centralizzare. E questa volta la novità principale, prima ancora di regolamentare questo delicato settore, non riguarda la privacy dei cittadini, ma solo i mezzi necessari per violarla, legalmente. Via Arenula pensa a una gara unica nazionale che affidi a un solo gestore l’hardware delle sale di ascolto di tutte le 166 procure. Non è chiaro, tuttavia, cosa dovrà garantire all’autorità giudiziaria chi si aggiudicherà la maxi gara d’appalto, né le sorti delle aziende che al momento si spartiscono un’ampia fetta di mercato che vale più o meno 300 milioni di euro l’anno. Un settore già finito nel mirino della Commissione europea, che lo scorso anno ha richiamato l’Italia per il mancato rispetto delle normative sugli appalti, sollecitando il governo a fare in modo che l’affidamento di questi servizi avvenga solo su basi concorrenziali e attraverso gare pubbliche.
LA NUOVA DIRETTIVA. Il 25 febbraio scorso ad annunciare a grandi linee i contenuti della direttiva è stato lo stesso ministro della Giustizia, Paola Severino. Venti righe di comunicato licenziate alle agenzie di stampa per confermare le indiscrezioni. Ci sarà una gara unica nazionale che, senza incidere su quantità e qualità delle intercettazioni, «consentirà notevolissimi risparmi di spesa ed un recupero di risorse umane presso gli uffici giudiziari, oltre ad un miglioramento, anche tecnologico, dei livelli qualitativi del servizio». E ancora: «La direttiva conclude un percorso di razionalizzazione nella materia, frutto di un costante monitoraggio di tale rilevante voce di spesa e si aggiunge, inoltre, ai risparmi derivanti dal pagamento forfettizzato dei compensi spettanti agli operatori di telefonia». Il gestore unico, secondo le stime del ministero della Giustizia, dovrebbe garantire alle casse dello Stato risparmi tra i 200 e i 250 milioni di euro l’anno, non pochi considerando che questa voce di spesa sul bilancio della Giustizia incide per il 40 per cento del totale. La direttiva firmata dal ministro Severino si basa sulle conclusioni a cui è giunto il gruppo di lavoro di cui facevano parte la procura generale presso la Corte di Cassazione, il procuratore nazionale antimafia e i procuratori di Napoli, Catania, Roma, Milano, Torino e Palermo. «I partecipanti al tavolo tecnico – si legge ancora nella nota - hanno convenuto, all’unanimità, di provvedere alla secretazione della procedura di affidamento dei servizi di intercettazione, per ovvie e ben comprensibili esigenze di sicurezza e di segretezza». Motivo per cui nulla si sa sulle modalità che porteranno alla gara unica e sui contenuti dell’eventuale bando. «Il ministro della Giustizia - conclude - ha scelto, come in molti altri casi analoghi, un confronto costruttivo tra amministrazione e magistratura, con l’obiettivo di giungere a una condivisione sull’analisi e sulla soluzione del problema».
I NUMERI. Nel triennio 2009-2011, secondo i dati forniti dal ministero della Giustizia, le procure hanno intercettato, complessivamente, oltre 400mila “bersagli”. Per “bersaglio”, nel caso delle intercettazioni telefoniche si intende l’utenza mobile o fissa messa sotto controllo, per le ambientali la microspia installata nell’ufficio o nell’autovettura dell’indagato, mentre per le intercettazioni telematiche il singolo IP Address o account di posta elettronica sorvegliato. Il picco massimo c’è stato nel 2010, con 139.051 “bersagli” intercettati. Sul fronte dei costi siamo a cifre da capogiro, anche se in progressiva diminuzione. Solo nel 2009 il ministero della Giustizia ha speso oltre 306 milioni di euro per noleggiare apparati e ristorare i gestori delle compagnie telefoniche. Nel 2012 il governo - si legge nell’ultima relazione del Guardasigilli in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno giudiziario - ha tagliato di 25 milioni lo stanziamento per le spese per le intercettazioni. «L’analisi delle spese di giustizia - riferisce via Arenula nella nota di sintesi della stessa relazione - mostra una lieve diminuzione del costo delle intercettazioni (-4,6% nel 2011) per le quali si beneficia ancora della norma contenuta nella finanziaria del 2010 che ha azzerato i costi per la produzione dei tabulati da parte delle compagnie telefoniche. Si registra inoltre una riduzione anche nel numero dei bersagli telefonici intercettati (-3%)».
COME FUNZIONA. Al momento ogni procura della Repubblica, con metodologie diverse e in assenza di una specifica normativa, sceglie a quale società affidarsi per noleggiare gli apparati necessari a compiere le operazioni di ascolto. Solo alcune procure (Napoli, Catania, Roma, Milano, Torino e Palermo) hanno scelto una gara d’appalto, le altre procedono con affidamenti diretti scegliendo, in base alle offerte, a chi affidare la gestione degli apparati. Le società leader del settore sono una manciata: Area Spa, Innova Spa, Rcs Spa, Sio Spa, Rt Radio Trevisan Spa, Urmet sistemi Spa. Le tecnologie necessarie a collegare le centrali dei gestori telefonici (Telecom Italia, Vodafone, Wind, H3g etc) con i server delle sale di ascolto presenti in ogni tribunale servono a registrare, conservare, analizzare e trattare i dati ottenuti dall’intercettazione telefonica, ambientale e telematica.
L’ESPERTO. «L’iniziativa di risparmio di risorse è lodevole, ma l’approccio è sbagliato». Dichiara a Il Punto, Giovanni Nazzaro, presidente di Eliss, l’associazione che raggruppa le principali aziende del settore favorendo il dibattito sul tema delle intercettazioni legali. «Non conosciamo i contenuti di questa direttiva – prosegue l’esperto - essendo secretata. Al momento non è cambiato nulla, le aziende che operano nelle procure non hanno ricevuto nuove indicazioni. Non è chiaro l’ambito di operatività di questa direttiva e c’è molta incertezza legata anche al fatto che del gruppo di lavoro istituito presso il ministero della Giustizia facevano parte solo i rappresentanti dell’autorità giudiziaria, quindi non c’erano né le aziende del settore né gli operatori di telefonia. Una materia così complessa – prosegue Nazzaro - non può essere relegata ad alcuni rappresentanti, alle sole procure, andrebbe adottato un metodo di condivisione, un approccio diverso, un po’ come fanno le authority. In Italia questo settore non è regolamentato, perciò ogni procura agisce secondo la propria sensibilità. C’è la procura che contatta direttamente il fornitore degli apparati e quella che opera con i bandi di gara. Le procure chiamate dal ministero a confrontarsi su questa nuova direttiva, forse è un caso, sono proprio quelle che lavorano con bandi di gara. Siamo in presenza di un vuoto normativo, cioè non esiste una norma che indichi cosa può chiedere l’autorità giudiziaria. Possono chiedere qualunque cosa, ma cosa può essere effettivamente realizzato lo può dire solo l’operatore. E anche qualora ci fosse una gara, in assenza di una regolamentazione chiara, non si saprebbe bene cosa inserire nel bando. Unica cosa vuol dire? Un unico fornitore? Purtroppo – conclude il presidente di Eliss – siamo ancora nel campo delle ipotesi, ma solleciteremo chiarimenti al ministero».
di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 14 marzo 2013 [pdf]