Le espulsioni di potenziali terroristi dall'Italia s'intensificano, le persone rimpatriate dal 2015 hanno toccato quota 107. Per scovarle e prevenire attentati è stata sdoganata - e potenziata - la pratica di penetrare profondamente il web e, così facendo, violare la privacy di ogni cittadino. Non senza polemiche, a giudicare dall'allarme che è tornato a lanciare il Garante della protezione dei dati personali, Antonello Soro: «I controlli a strascico invadono la sfera personale senza riuscire a fare una buona azione preventiva contro i seguaci dell'Isis».
L'ultimo caso è di inizio agosto. Aftab Farooq, un magazziniere pachistano di 26 anni, residente a Milano dal 2003, è stato espulso dall'Italia dal ministro dell'Interno Angelino Alfano in base ai risultati di un'indagine condotta dal Ros dei carabinieri che avrebbe messo in luce i contorni di un processo di radicalizzazione jihadista in atto da tempo. L'antiterrorismo aveva ritenuto il suo comportamento particolarmente pericoloso, anche alla luce di quanto il giovane affermava su internet. Dunque per gli inquirenti, e per lo stesso Alfano, era un potenziale terrorista a un passo dall'azione.
In particolare il 26enne pare sia stato individuato, come sempre più spesso accade, grazie a una capillare analisi compiuta dal Ros in Rete, setacciando a distanza il suo computer, il suo smartphone, i social network che frequentava, le pagine Facebook dove scriveva e i profili Twitter ritenuti collegati al Califfato nero che seguiva.
Un'attività investigativa che in gergo è chiamata proprio “pesca a strascico” o di 'deep lerning'. È molto invasiva ed è impiegata ormai di frequente dalle forze di polizia e dalle intelligence di tutto il mondo nel caso di indagini preventive nei confronti di soggetti potenzialmente pericolosi. Consente di accumulare e setacciare grandi quantità di meta dati, cioè l'insieme di informazioni che permettono di identificare chi siamo e cosa facciamo in rete. Un'attività che in futuro, dicono gli esperti del settore, potrebbe consentire addirittura di individuare gli obiettivi in imminente pericolo.
La sorveglianza del web, come aveva anticipato lo stesso Alfano all'indomani della strage di Nizza, è stata notevolmente potenziata anche in Italia, non senza profili di rischio dal punto di vista della privacy di ogni libero cittadino.
A tornare sull'argomento, come era già avvenuto in passato, è Soro, che in un'intervista alla Stampa invita a tutelare, in egual misura, il diritto alla sicurezza e quello alla libertà individuale. «I controlli a strascico», afferma, «invadono la sfera personale senza riuscire a fare una buona azione preventiva contro i seguaci dell'Isis. Un algoritmo, un cervello artificiale è inerme: occorre invece potenziare l'attività investigativa e dell'intelligence».
Secondo il numero uno dell'authority governativa che difende la riservatezza dei dati personali, citando il fallimento del modello americano, è sbagliato delegare esclusivamente alla tecnologia l'attività di controllo e di prevenzione. «La sorveglianza di massa Usa», spiega Soro, «è la prova che la risposta al problema è inadeguata. Occorre trovare capacità e organizzazione in modo da interpretare bene i dati raccolti».
Va promosso il fattore umano, come chiave d'ingresso nella cybersecurity contro l'emergenza jihadista, tanto più, afferma ancora Soro, «che il terrorismo è la forma attuale di una guerra destinata a durare nel tempo e non possiamo ritenere sufficiente limitare la libertà delle persone. Del resto gli autori delle ultime stragi erano tutt'altro che ignoti agli organi inquirenti». Se l'Italia si sta dimostrando più adeguata a prevenire attentati, per Soro è solo grazie «alla nostra esperienza contro il terrorismo interno e alla capacità di cooperazione internazionale maturata dalla nostra intelligence».
di Fabrizio Colarieti per lettera43.it [link originale]