Cinque giorni prima del sisma del 24 agosto 2016, che rase al suolo Accumoli, Amatrice e Arquata del Tronto, nel cuore del Gran Sasso, a meno di 40 chilometri dall’epicentro della scossa delle 3 e 36, si verificò un aumento anomalo di pressione nei fluidi. L’acqua che scorreva in un tunnel nel sottosuolo, molto vicino ai laboratori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, che sotto il Gran Sasso conduce le sue ricerche, iniziò a riempirsi di bolle e a variare di pressione e temperatura. A provocare il terremoto, però, non furono gli esperimenti compiuti in quei laboratori, come racconta una ridicola fake news ancora molto in voga sui social. In futuro l’analisi di quanto avvenne in quelle ore nel Gran Sasso potrebbe consentire di prevedere i terremoti. Ne sono convinti i membri del team di esperti dell’Ingv che il 19 agosto 2016 notarono le anomalie nei fluidi che stavano osservando già da un anno. «Dal 19 agosto - ha spiegato a Repubblica Gaetano De Luca, ricercatore dell’Ingv, autore di uno studio su Scientific Reports insieme a Giuseppe Di Carlo e Marco Tallini - la pressione ha iniziato a subire delle oscillazioni verso il basso, piccole ma numerosissime: migliaia ogni ora». Segnali - secondo lo studio degli esperti dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e dell’Università de l’Aquila - che potrebbero essere letti come precursori sismici. Una scoperta molto importante, che andrà approfondita condividendo i risultati della ricerca italiana con la comunità scientifica internazionale che si occupa da anni di studiare possibili modelli di previsione. Ne ha parlato lo stesso presidente dell’Ingv, Carlo Doglioni, accennando alla possibilità, in futuro, di prevedere i terremoti migliorando la comprensione dei segnali premonitori come, appunto, il movimento dei fluidi prima di una forte scossa. «Finché non riusciremo a interpretare i segnali che ci invia il nostro Pianeta - ha detto il presidente dell’Ingv - non saremo in grado di prevedere i terremoti. Questi segnali esistono: un recente studio dimostra, ad esempio, che prima del sisma di Amatrice del 24 agosto 2016 si è verificato un aumento di pressione nei fluidi all’interno del Gran Sasso. Queste informazioni, però, sono inutili se non accompagnate dallo sviluppo di una rete capillare di strumenti che monitorino il territorio nazionale».
di Fabrizio Colarieti per Il Messaggero