«Se qualcuno avesse interrogato il sistema Ais, forse non ci sarebbe stato bisogno di quella telefonata ai carabinieri di Prato, perché a Livorno si accorgessero che la Costa Concordia era già troppo vicina all’Isola del Giglio e addirittura con la prua rivolta verso sud, e non nella direzione del porto di arrivo. Quel sistema serve a dedurre in tempo reale, come avviene per gli aerei, l’esatta posizione delle navi attraverso un transponder installato a bordo». A parlare è un esperto di sicurezza marittima che conosce bene le caratteristiche dell’Ais, acronimo di Automatic Identification System. Si tratta di un sistema internazionale obbligatoriamente installato sulle navi di stazza superiore alle trecento tonnellate, come la Concordia affondata il 13 gennaio di fronte all’Isola del Giglio, e in grado di trasmettere le informazioni necessarie a identificare e localizzare il mezzo navale: il nome dell'unità, il codice Mmsi (Maritime Mobile Service Identification), latitudine e longitudine, velocità e rotta. Per ottenerle, nell’arco di pochi istanti, basta puntare il mouse sul triangolo che rappresenta la nave geolocalizzata su una mappa.
La prova che nessuno - prima di quella telefonata dei carabinieri di Prato, avvisati da un familiare di un passeggero che a bordo della nave c’era qualcosa che non andava - abbia scrutato lo schermo dell’Ais è nella prima pagina del brogliaccio della sala operativa della Capitaneria di porto di Livorno. Alle 22 in punto, quando la Costa Concordia era già nei guai da circa mezzora, l’operatore Ais scrive: «Traffico marittimo regolare». Sei minuti dopo arriva la chiamata dei carabinieri, e ne dovranno passare altri 6 prima che l’operatore della Capitaneria annoti sul registro: «Da verifica Ais individuiamo la M/N Costa Concordia in prossimità dell’Isola del Giglio in psn 42°22’.11N - 010°55.32E in località Punta Lazzaretto». Perciò solo alle 22.12 Livorno si accorge che la Concordia è fuori rotta, di diverse miglia, inclinata su un fianco e con la prua rivolta verso Civitavecchia e non Savona. L’Ais viene interrogato solo in quel momento, e addirittura dopo aver chiamato il porto di Savona, la telefonata nel brogliaccio è annotata alle 22.10, e aver appreso «che nella giornata odierna non sono partite navi della Costa Crociare». Perché? Ais serve a evitare tragedie come queste, e nei suoi ricordi - pubblici accedendo al sito marinetraffic.com - è possibile rintracciare la prova che la Concordia aveva già effettuato ben 52 “inchini”, troppo vicini alla costa come nel caso dell’Isola del Giglio. Nessuno li ha denunciati, perché nessuno, prima della sera maledetta del 13 gennaio, era andato a cercare la prova di queste violazioni sui tracciati satellitari.
Il sistema di controllo Ais è stato introdotto in Italia con la legge 51 del 2001 e per dotare le capitanerie di porto delle apparecchiature necessarie a seguire le rotte delle navi sono stati investiti, finora, svariati milioni di euro. L’intera rete, compresa una sala operativa nazionale che si trova a Roma insieme al server regionale del Mediterraneo, è stata allestita dalla Elman Srl di Pomezia per conto del Comando generale della Guardia Costiera. Poi esistono il Vts, Vessel Traffic Service, e la sua evoluzione, il Vtmis, acronimo di Vessel Traffic Management and Information System. Si tratta di reti informatiche cooperative alle quali accedono tutti gli operatori portuali, per migliorare sia la gestione del trasporto, che l’efficienza dei traffici. A differenza dell’Ais, il Vts è un sistema attivo, cioè si avvale, non solo dei dati trasmessi dalle navi e dai satelliti, ma anche delle rilevazioni dei radar installati nelle stazioni costiere. Il progetto Vessel, e le sue successive evoluzioni, è costato 320 milioni ed è stato sviluppata da Selex-Finmeccanica, ma deve ancora entrare definitivamente in funzione, infatti non tutte le stazioni sono connesse e il programma di attivazione di questo ulteriore strumento è in ritardo di tre anni. Perciò, se è vero che l’Italia da undici anni controlla i suoi mari, attraverso sistemi così costosi e sofisticati, è altrettanto ovvio domandarsi per quale motivo nessuno, avendo a disposizione la prova, cioè i tracciati Ais e Vts, non ha mai sollevato, sanzionando gli armatori, il problema degli “inchini”.
Un altro aspetto su cui dovranno concentrarsi gli inquirenti della procura di Grosseto, che ora indagano sul disastro della Concordia, è chi altro, quella notte, non era al suo posto oltre il comandante Francesco Schettino. E ancora: cosa si dissero al telefono, tra le 21.42 e le 22.58, Schettino e Roberto Ferrarini, il responsabile dell’Unità di crisi di Costa? E perché, dopo aver speronato lo scoglio de “Le Scole”, il comandante attese oltre un’ora prima di lanciare il mayday? Nell’interrogatorio dinanzi ai magistrati, Schettino ribadisce di aver informato la compagnia di quanto stava avvenendo e di aver avuto il via libera a tutte le decisioni prese. Ma sul ritardo con cui partì la richiesta di soccorso rimangono molte ombre. Se come ha detto Schettino (le sue dichiarazioni andranno ovviamente verificate, ndr) la Costa era informata perché non gli ha imposto di lanciare immediatamente il mayday? Lanciando via radio il distress, entrano in gioco grandi interessi, e, più di altri, quelli legati alle compagnie assicurative. Schettino potrebbe aver violato le regole - che gli imponevano, una volta appurata la gravità dei danni subiti dalla nave, di lanciare immediatamente il distress - obbedendo a un preciso ordine del suo armatore? E’ uno degli interrogativi, forse il più importante, cui le indagini dovranno dare una risposta.
Un altro aspetto, poi, è quello riguardante il concetto di proprietà e di abbandono. La legge del mare dice che la proprietà dei relitti è di chi li trova, ammesso però che l’armatore abbia dichiarato che la sua nave è abbandonata, e questo, per ora, non è il caso della Concordia. Perché un relitto, per essere dichiarato abbandonato, deve finire sul fondo del mare senza che nessuno provi a recuperarlo. Per quanto riguarda i beni di proprietà della Costa e dei passeggeri, nel caso in cui la nave torni a galleggiare, spetterà all’armatore recuperare e riconsegnare ai legittimi proprietari tutto ciò che è dentro la nave, si pensi agli effetti personali che i passeggeri hanno lasciato nelle cabine. Se la nave affondasse, e quindi fosse dichiarata abbandonata dall’armatore, entrerebbero in gioco le assicurazioni, ma è noto che le compagnie assicurative nei loro contratti contengono delle clausole che le esonerano dall’obbligo di rimborsare ai passeggeri la perdita di possesso di denaro contante e oggetti di valore. Comunque andranno le cose, le compagnie assicurative, dodici quelle che coprono la Costa Concordia e che fanno capo al gruppo statunitense Aon, tra queste anche l’italiana Generali, dovranno coprire circa 400 milioni di euro solo per lo scafo della nave. Altri 2,5 miliardi di euro potrebbero occorrere per indennizzare i passeggeri, da un minimo di 5mila euro per i danni materiali, come la perdita del bagaglio, fino a 500mila nel caso di morte di un familiare, e risarcire i danni civili (oltre a risponderne penalmente) derivati anche dagli eventuali danni ambientali.
Fabrizio Colarieti inviato all'Isola del Giglio - Il Punto 2 febbraio 2012 [pdf]