Il governo intende porre fine alla trentennale latitanza di Alessio Casimirri, uno dei nove brigatisti che il 16 marzo 1978 partecipò al sequestro di Aldo Moro e alla mattanza di via Fani. La notizia è arrivata proprio mentre il capo dello Stato stava deponendo una corona nel giorno del ricordo della strage in cui persero la vita gli agenti della scorta di Aldo Moro.
Casimirri, nome di battaglia “Camillo”, insieme con Alvaro Lojacono è considerato l’ultimo “irriducibile” da catturare. Nel 1980 si è dissociato dalle Br, due anni dopo ha lasciato l’Italia prima verso la Francia, poi Cuba, Panama e infine il Nicaragua dove ha continuato per qualche anno la lotta armata unendosi al Fronte Sandinista di liberazione nazionale.
Nel 1985 è arrivata la condanna all’ergastolo per i fatti di via Fani, per lui, per la sua ex moglie, Rita Algranati, e per lo stesso Lojacono. Da allora Casimirri - che oggi ha 64 anni e non ha mai scontato un giorno di prigione - è considerato dalla giustizia italiana un latitante ricercato in ambito internazionale.
In Centro America Camillo si è costruito una nuova vita e si fa chiamare Guido Di Giambattista. Nel 1998 ha sposato una cittadina nicaraguense, Raquel Garcia Jarquin, da cui ha avuto due figli. Assieme ad alcuni italiani ha aperto il ristorante “Magica Roma” e ne gestisce un altro, a due passi dal mare, a Managua, “La cueva del Buzo” (il covo del sub).
Casimirri, dunque, è cittadino nicaraguense, gode di ottimi rapporti con i politici locali e in particolare con i vertici militari e della polizia. Rapporti che finora lo hanno tenuto ben protetto dalla possibile esecuzione degli ordini di cattura promossi, a più riprese, dalla magistratura italiana.
Beppe Fioroni, il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, ha annunciato che il governo farà di tutto per far sì che «possa rientrare in Italia e pagare il debito con la giustizia, perché sa tanto e può dirci tanto del caso Moro». Anche perché «abbiamo buoni rapporti con il Nicaragua, abbiamo contribuito ad abbattere il suo debito. Spero che si possa arrivare a sentire qual è la versione di Casimirri», ha aggiunto.
Casimirri potrebbe fornire alla magistratura nuovi elementi sul caso Moro, anche se gran parte dei misteri che aleggiano attorno al suo nome riguardano le coperture di cui lui stesso avrebbe goduto all’indomani della sua dissociazione.
Perché la storia di Casimirri non finisce in via Fani, ma si intreccia con il ruolo giocato dai Servizi segreti anche negli anni successivi.
Una materia scivolosa, ancora oggi tutta da chiarire, che, non a caso, è in cima alla lista dei nodi che la Commissione Moro vorrebbe sciogliere una volta per tutte.
Casimirri potrebbe dare un contributo anche nel filone investigativo, appena riaperto dalla procura generale di Roma, sul giallo della moto Honda avvistata in via Fani con due persone in sella, armate, che non avrebbero nulla a che fare con il commando delle Br, bensì, ancora, con i Servizi segreti.
A tirare in ballo Camillo su questo episodio è stato un altro Br, Raimondo Etro, il custode delle armi utilizzate in via Fani.
Nel 1994, nel corso di un interrogatorio, quest’ultimo dichiarò: «Ricordo anche di avere appreso da Casimirri che era successo qualcosa di imprevisto che potrebbe riguardare una moto e chi la guidava. Ricordo che mi disse “sono passati due cretini con la moto”, o forse, “sono passati quei due cretini con la moto”».
Ed è sempre lo stesso Etro, più di recente, in un’intervista rilasciata a Stefania Limiti nel libro Doppio livello (Chiarelettere), a ipotizzare che la storia della fuga di Casimirri non è per nulla chiara.
«Non ho mai capito come Alessio Casimirri e Rita Algranati riuscirono a scappare in Nicaragua: erano insieme in Francia, Antonio Savasta stava collaborando e dovevamo cercare riparo. Per una settimana sparirono», afferma Etro, «e poi vengo a sapere che sono fuggiti in America Latina. E poi ancora: perché Casimirri è ancora libero e Rita Algranati, che lasciò il Nicaragua alla volta dell’Algeria, fu poi “venduta” e catturata durante il governo Berlusconi (...). Sarà forse perché il padre di Casimirri era molto amico del generale Santovito? Certamente non quadrano molte cose, la sua latitanza fa davvero pensare a quella assicurata a Delfo Zorzi».
Perché Casimirri è ancora libero? Forse una possibile risposta è dietro il “muro di gomma” in cui si è imbattuto, qualche mese fa, l’ex magistrato Giuliano Turone, pm di lungo corso che indagò sul caso Sindona e sull’omicidio Ambrosoli.
Turone per motivi di studio ha chiesto all’Archivio storico del Senato di consultare alcuni documenti sul caso Moro, ma la sua richiesta - legittima anche alla luce del provvedimento con cui il governo Renzi aveva appena deciso di declassificare migliaia di documenti sulle stragi e sugli Anni di piombo - è stata respinta con la motivazione che «l’Agenzia informazioni e sicurezza interna ha stabilito la proroga della classifica fino al 2019», per 2 dei 5 documenti richiesti. E quelle due informative top secret riguarderebbero proprio Casimirri.
L’ex Br potrebbe chiarire anche un altro aspetto, legato sempre alla sua decennale latitanza. Nel dicembre del 1993 circolò la notizia, che trovò conferme da fonti qualificate, che Casimirri aveva deciso di parlare di fronte a due agenti del Sisde (Mario Fabbri e Carlo Parolisi) in missione in Nicaragua.
Nel primo incontro con gli 007, Camillo indicò il nome del quarto carceriere di via Montalcini, il luogo dove fu tenuto prigioniero Moro, e fornì elementi per rintracciare la sua ex moglie, Rita Algranati, che assieme a Maurizio Falessi si nascondeva in Algeria dove, effettivamente, il Sisde li rintracciò e li arrestò nel 2004.
Una missione molto discussa che costò quasi un miliardo e mezzo di vecchie lire e che in parte fallì a causa di una fuga di notizie, tutta interna ai Servizi, che suonava come un chiaro messaggio per Casimirri: non parlare e nessuno ti verrà più a cercare.
di Fabrizio Colarieti per Lettera43 [link originale]