Quelle carte erano dentro un armadio, con le ante rivolte verso il muro, scoperto per caso, nel maggio del ’94, nella sede della procura militare di Roma di via degli Acquasparta, dentro una stanza, al piano terra, defilata e chiusa dietro un cancello di ferro.
Le stesse carte che, ha annunciato il presidente della Camera Laura Boldrini, tra qualche settimana saranno rese pubbliche e racconteranno, a chi non le ha mai viste, le peggiori atrocità compiute durante la Seconda guerra mondiale.
Si tratta di 280 fascicoli a carico di ignoti nazisti e fascisti, altri 415 a carico di militari italiani e tedeschi identificati. Complessivamente: 2.274 notizie di reato elencate in un registro alto 42 centimetri e largo 30.
Dentro quei fascicoli ci sono anche le informative, gli appunti riservati e le segnalazioni che sono servite, dal ‘96 in poi, a fare luce sull’eccidio di Sant'Anna di Stazzema (12 agosto 1944, 560 morti di cui 130 bambini), su quello delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944, 335 morti) e di Marzabotto (29 settembre - 5 ottobre 1944, 770 morti), di Coriza, di Lero, di Scarpanto, di Monchio e Cervarolo, la strage del Duomo di San Miniato di Pisa (22 luglio 1944, 55 morti) e sugli eccidi dell'alto Reno e di Capistrello.
Una parte consistente, ma purtroppo non tutte, delle oltre 400 stragi compiute dai tedeschi contro i civili italiani (15 mila le vittime) tra l'8 settembre del ‘43 e l'aprile del ‘45.
La magistratura italiana si occupò di tali crimini solo dopo la scoperta dell’armadio della vergogna, durante le indagini che proprio la procura militare di Roma stava svolgendo sul conto del boia delle Fosse Ardeatine, Erich Priebke.
Tuttavia, in molti altri casi, erano trascorsi ormai troppi anni per procedere. Solo per alcuni, i più atroci, si riuscì, negli anni successivi, a celebrare i processi.
Per 272 fascicoli fu disposto dalla Corte militare di Appello di Roma il “non luogo a provvedere”. Di questi, 202 riguardavano reati già comunicati nel ‘46 alla magistratura ordinaria e per i quali si avviarono procedimenti contro civili italiani; di altri 70, invece, non fu possibile determinare né l'autore del reato né l’identità delle vittime.
La verità fu nascosta agli italiani nel ’60. Risale ad allora l’irrituale provvedimento di “archiviazione provvisoria” che trasformò quei 695 fascicoli in fantasmi, finendo per occultare, faccia al muro, dentro un armadio, 50 anni di storia, impedendo, di fatto, la conoscenza, ma anche la celebrazione di processi per decine di crimini impuniti.
Una decisione illegittima, assunta dall'allora procuratore generale del Tribunale supremo militare, Enrico Santacroce, presumibilmente su indicazione politica, per una superiore ragion di Stato, le cui radici, scrisse anni fa la Commissione giustizia della Camera al termine di un’indagine conoscitiva, «devono essere rintracciate nelle linee di politiche internazionali che hanno guidato i Paesi del blocco occidentale durante la Guerra fredda».
Dell’armadio della vergogna si occupò anche il parlamento, istituendo una commissione d’inchiesta che concluse i suoi lavori nel 2006 appurando negligenze e superficialità da parte dei vertici della magistratura militare che si prolungarono per oltre un cinquantennio.
La verità, dunque, fu ostacolata a più riprese, evitando, con scientifica dedizione, che quei fascicoli finissero in mani sbagliate, cioè alle procure competenti quando era ancora possibile, e doveroso, esercitare l’azione penale.
Oggi quelle carte appartengono alla storia del nostro Paese, e al suo giudizio, ma resta il debito morale di giustizia postuma nei confronti delle migliaia di donne, uomini e bambini che la guerra lasciò dietro di sé.
di Fabrizio Colarieti per lettera43.it [link originale]