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Palermo, via Emanuele Notarbartolo. Le sedi “coperte” dei Servizi sono più o meno tutte uguali. Centrali, nascoste tra mille altre attività e tra le mura di edifici anonimi, che di solito sorgono vicino a importanti sedi governative. Uffici facilmente accessibili, spesso protetti da un portiere che sa tutto e che fa finta di nulla. Solitamente si nascondono dietro le insegne di finte agenzie assicurative oppure di inesistenti centri studio, associazioni culturali, istituti di cooperazione o di import-export. Sul campanello c’è scritto semplicemente “agenzia”, “studio”, “istituto” o la sigla di una delle tante Srl che le “barbefinte” utilizzano per coprire l’attività di spionaggio. ...continua a leggere "Le sedi “coperte” dei Servizi siciliani. Misteri palermitani sotto copertura"

Fu Franco Restivo, ex ministro democristiano degli Interni e della Difesa, a far incontrare Don Vito Ciancimino e il misterioso personaggio legato ai Servizi segreti conosciuto col nome di “Signor Franco”. Evocato spesse volte da Massimo Ciancimino nelle aule di tribunale, nei processi dove viene ascoltato dai giudici in qualità di testimone o di imputato di reato connesso, ma non solo. Il figlio di Don Vito, quel “Signor Franco” (spesse volte Signor Carlo), lo fa giocare in un ruolo chiave nelle più intricate vicende palermitane. ...continua a leggere "Stato-mafia, ora si punta al IV livello"

pietrino vanacore«Quando mai un suicida si getta in acqua con una corda che lo lega per le gambe?». Per l’ex senatore della Lega Erminio Boso, già vicepresidente del Copaco, Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile di via Poma, dove il 7 agosto ’90 fu uccisa con 29 coltellate Simonetta Cesaroni, sarebbe stato aiutato a uccidersi. Ma per gli inquirenti non ci sono dubbi: voleva morire. Il 12 marzo si sarebbe dovuto presentare davanti ai giudici della Corte d’Assise di Roma, dove si sta celebrando il processo all’ex fidanzato della Cesaroni, Raniero Busco. Vanacore, 78 anni, ha deciso di farla finita quattro giorni prima, l’8 marzo, gettandosi in mare, in provincia di Taranto dove da anni era tornato a vivere. Tre giorni dopo il delitto di via Poma diventò il sospettato numero uno dell'inchiesta sulla morte della 21enne ragioniera: fu arrestato con l'accusa di omicidio, ma in realtà gli inquirenti sospettavano che coprisse il vero assassino. Così, dopo un lungo interrogatorio, si aprirono per lui le porte del carcere, dove vi rimase per venti giorni. Pietrino raccontò che all'ora del delitto si trovava in un altro appartamento, a innaffiare fiori, ma nessuno confermò il suo alibi. Poi c’era quella macchia di sangue, sui suoi pantaloni, ma il Dna rimise tutto in discussione e il 16 giugno '93 venne prosciolto, decisione divenuta definitiva due anni dopo in Cassazione. Vent’anni dopo, Vanacore, non ce la faceva più e tutta la sua disperazione l’ha affidata a una serie di bigliettini dove ha scritto: “Vent’anni di sofferenze di sospetti portano al suicidio”. Dall’estate del ’90 il portiere non era più uscito dal tunnel del sospetto, per anni, infatti, il suo nome continuò a circolare insistentemente sui giornali, in tv e tra gli investigatori. Secondo la procura di Taranto, Vanacore, con “lucida follia”, avrebbe meticolosamente premeditato il suo suicidio. È morto per annegamento, come ha stabilito l'autopsia. Il corpo del portiere, ha spiegato l’anatomopatologo, sarebbe rimasto circa tre ore nello specchio di mare antistante il litorale di Torre Ovo. La dinamica, perciò, non lascia alcun dubbio: Vanacore ha legato a un albero una lunga corda, ha annodato l'altra estremità a una caviglia e si è immerso in mare a testa in giù, in un punto in cui l'acqua è alta poche decine di centimetri. Sua moglie, Giuseppa De Luca, - che quel 7 agosto consegnò alla sorella della Cesaroni le chiavi dell’ufficio dove, poco dopo, fu ritrovato il cadavere della ragazza - ha riferito ai carabinieri che suo marito ultimamente era molto amareggiato, soprattutto per la convocazione al processo. «Lo aveva infastidito - ha aggiunto sua moglie - soprattutto il fatto che avessero convocato anche nostro figlio Luca». L’enigmatico portiere se n’è andato portando con sé un bel po’ di misteri e, forse, anche un pezzo di verità su quanto accadde quel giorno in via Poma. Il suo spettro continuerà ad aleggiare nell’aula bunker di Rebibbia dove, venerdì scorso, la pm Ilaria Calò ha comunque sostenuto che il portiere fu il primo ad entrare in quell'appartamento dopo l'omicidio della Cesaroni. «Le chiavi sono uno snodo fondamentale in questa inchiesta - ha detto il pm -, Vanacore entrò per primo negli uffici dell'associazione Ostelli della Gioventù al terzo piano, trovando la porta socchiusa. Individuò il corpo della Cesaroni nella stanza del direttore. Pensando a un incontro clandestino effettuò tre telefonate al presidente degli Ostelli, Francesco Caracciolo, al direttore Corrado Carboni e al capo di Simonetta, Salvatore Volponi. Non allertò la polizia, prese le chiavi con il nastro giallo, che erano quelle di riserva per accedere agli uffici, e se ne andò - ha concluso la Calò - chiudendo l'ingresso».

di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 25 marzo 2010 [pdf]

Le “facce da mostro” che giravano in Sicilia negli anni delle stragi di mafia erano due: un discusso agente segreto, con un piede nello Stato e l’altro nelle cosche, e un dipendente regionale vicino all’ex sindaco Ciancimino, che suo figlio Massimo avrebbe già identificato. Entrambi sarebbero morti: il primo nel 2004, il secondo due anni prima. Due ombre, tanti sospetti e solo poche certezze, in quanto soltanto uno di loro, il dipendente regionale, è stato recentemente identificato, attraverso una foto. A dare un nome a quel volto, con quella vistosa cicatrice sulla guancia destra, è stato, per l’appunto, Massimo Ciancimino, il figlio del boss don Vito, quello del “papello” e della trattativa tra Stato e mafia (leggi l’intervista). Due volti sfigurati, inguardabili e indimenticabili, rimasti impressi nella memoria di decine di testimoni e di cui - a distanza di vent’anni da quella stagione di sangue - si sa ancora davvero poco. ...continua a leggere "La doppia pista su “faccia da mostro”"