La norma censurata dalla Consulta conteneva “istruzioni affinché i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato” trasmettessero “alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria”. In pratica un investigatore, prima ancora di trasmettere la sua informativa al pm titolare dell’inchiesta, doveva rivelare il contenuto delle indagini, che ovviamente è coperto dal segreto, a soggetti esterni alla polizia giudiziaria e potenzialmente anche di nomina politica, come i vertici delle forze dell’ordine.
La Corte Costituzionale, pur riconoscendo che “le esigenze di coordinamento informativo poste a fondamento della disposizione impugnata sono meritevoli di tutela”, ha ritenuto che bypassare l’autorità giudiziaria, in una fase delle indagini così delicata, è lesivo delle attribuzioni che la Costituzione garantisce al pubblico ministero. Il procuratore di Bari Volpe, sollevando il conflitto dinanzi alla Consulta, ha sottolineato, infatti, che la norma era una “parziale abrogazione del segreto investigativo”. In particolare, nel ricorso, Volpe ha posto l’accento anche un possibile “eccesso di delega” in contrasto sia con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale sia con l’attribuzione costituzionale che pone la polizia giudiziaria alle dirette dipendenze dei pm. Il procuratore Volpe, commentando il pronunciamento della Consulta, parla di una “sentenza storica”. “Notizie riservate potevano arrivare dove non dovevano con il rischio di compromissione delle indagini. Tutte le Procure – ha aggiunto -, che oggi si stanno complimentando con me, avevano storto il naso di fronte a quella legge ma solo io ho ritenuto che si dovesse sollevare un conflitto di attribuzione di poteri”. E un’altra legge del rottamatore Renzi è finita rottamata.
di Fabrizio Colarieti per La Notizia [link originale]