FABRIZIO COLARIETI

Capodanno a casa e permessi di lavoro. La nuova vita del boia di Aldo Moro

“Noi abbiamo già preso una decisione, nelle prossime ore accadrà l’inevitabile. Non possiamo fare altrimenti. Non ho nient’altro da dirle”. Era il 30 aprile 1978 e queste sono le ultime parole pronunciate al telefono, da una cabina vicino alla stazione Termini di Roma, da Mario Moretti. Dall’altro capo c’era Eleonora Moro, la moglie del presidente della Democrazia cristiana che le Brigate Rosse, nove giorni dopo, uccideranno, dopo averlo sequestrato, annientando la sua scorta in via Fani, e tenuto prigioniero per cinquantacinque giorni.
A uccidere Aldo Moro fu materialmente Moretti che del sequestro, che cambiò il corso della storia italiana, fu anche basista e figura determinante nei quasi due mesi in cui le Br tennero in scacco lo Stato. Un’azione terroristica di cui il brigatista marchigiano non si è mai pentito e di cui non ha mai parlato, fino in fondo, con le decine di investigatori e inquirenti che negli anni si sono occupati di lui e delle Br. Oggi, quell’uomo, ha 77 anni ed è praticamente quasi libero, nonostante 6 ergastoli e malgrado non abbia mai tagliato i ponti con il suo passato dissociandosi dalla lotta armata. Moretti, ha raccontato ieri il Giornale di Brescia, ha trascorso Capodanno e i primi giorni di gennaio in un appartamento, a Brescia, senza rientrare a dormire in cella, come concesso dal Tribunale di Sorveglianza. Dal 4 gennaio scorso all’ex componente della colonna romana delle Br è stato concesso, infatti, di collaborare gratuitamente, anche in smart working dal carcere di Verziano, con un’associazione del territorio e una Rsa della città lombarda. Moretti ha trascorso la fine del 2022 in un appartamento dove ha eletto il suo domicilio e dove nel citofono c’è il suo nome, scritto con un pennarello. Il brigatista è in semilibertà dal 1997, quando non è in permesso premio, esce dal carcere al mattino e torna entro le 22 ed è libero di girare in città. Quando è fuori dalla Casa circondariale di Verziano, Moretti può recarsi a Milano per esigenze lavorative o per far visita ai parenti. Il brigatista ha l’obbligo tassativo di non percepire denaro, dunque tutto ciò che fa è a scopo di volontariato, come quello che svolge da anni per una cooperativa milanese e nello studio di un avvocato, sempre nel capoluogo lombardo.
Per spostarsi da Brescia - l’uomo che il 9 maggio di 45 anni fa uccise Moro sparandogli 12 colpi nel portabagagli della Renault 4 rossa, prima di abbandonare il suo corpo in via Caetani - usa i mezzi pubblici, ma, come racconta ancora il Giornale di Brescia, è autorizzato a guidare l’autovettura della sua compagnia. “La sfinge” delle Br, così lo hanno appellato negli anni, ha firmato un libro in cui, rispondendo alle domande di Carla Mosca, narra la storia delle Brigate rosse. Rarissimi gli interventi in pubblico, uno risale al 2004, quando a Milano, davanti ad alcuni studenti di un corso di giornalismo, disse: “Perché non mi pento della lotta armata? Troppo comodo”. Un’infinità, invece, le domande a cui non ha risposto davanti ai magistrati. Una per ogni mistero, e sono decine, che ancora oggi, nonostante i processi e le Commissione d’inchiesta, avvolgono i 55 giorni del sequestro Moro. A partire da quei 12 colpi che Moretti disse, attribuendosi la responsabilità di essere l’esecutore materiale dell’omicidio, di aver esploso contro il presidente della Dc. Recenti perizie condotte dal Ris dicono che furono esplosi in tre sequenze, ma da armi diverse.

di Fabrizio Colarieti per La Notizia

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