«In ogni caso – ha aggiunto Mennini – se avessi avuto un’opportunità del genere credete che sarei stato così imbelle, che sarei andato lì dove tenevano prigioniero Moro senza tentare di fare niente? Sicuramente mi sarei offerto di prendere il suo posto, anche se non contavo nulla, avrei tentato di intavolare un discorso, come minimo di ricordare il tragitto fatto. E poi, diciamo la verità di che cosa doveva confessarsi quel povero uomo?».
Il nunzio apostolico, che in apertura di audizione ha tenuto a sottolineare di essere stato già ascoltato sulla vicenda in sede parlamentare e giudiziaria per ben sette volte, ha confermato che «di un’eventuale confessione non avrei potuto dire nulla, né sui contenuti né sulla circostanze temporali e logistiche, ma non avrei difficoltà alcuna ad ammettere di essere andato nel covo delle Br. E’ che non ci sono mai stato».
«Monsignor Mennini – ha sottolineato al termine dell’audizione il presidente della commissione Moro, Giuseppe Fioroni – ha ribadito chiaramente di non aver confessato Aldo Moro durante il sequestro. Ma le vera, importante novità emersa oggi è l’esistenza di un “canale di ritorno” tra i brigatisti e i familiari dello statista. Monsignor Mennini ci ha detto che nella telefonata del 5 maggio, il professor Nicolai (che in realtà era il brigatista Valerio Morucci, ndr) gli disse di far sapere alla signora Moro che la persona da lei indicata non era stata rintracciata e che quindi si era dovuto far ricorso di nuovo a lui. E’ la prova dell’esistenza di un “canale di ritorno”, che si interrompe proprio attorno alla data della telefonata, pochi giorni prima del ritrovamento del cadavere di Moro».
L’arcivescovo ha riferito alla commissione che Papa Paolo VI «voleva che Moro fosse liberato, che si trattasse, ma il clima non era favorevole: c’erano adunanze oceaniche dei sindacati che chiedevano di non cedere, le trasmissioni radio di Gustavo Selva sbilanciate per il “no”, La Malfa che parlava di pena di morte, il governo e lo stesso Pci attestati sulla linea della fermezza. Che avrebbe potuto fare il povero Papa, che a quei tempi tra l’altro stava già male, come avrebbe potuto imporre una posizione diversa?».
«Io venni a sapere due o tre anni dopo – ha proseguito – che Paolo VI aveva chiesto di mettere a disposizione 10 miliardi di lire perché non so quale fonte aveva fatto balenare le possibilità che le Br potessero accontentarsi di un riscatto. Certo, io avrei trattato, ma io non contavo: si sarebbe potuto convocare le Camere, prendere tempo, immagino lo stesso Moro sperasse che prima o poi la polizia arrivasse alla sua prigione… Come mai è stato detto no a tutto? Se Fanfani avesse detto “trattiamo” si sarebbero fermati».
«Don Antonello Mennini è un abile uomo di Chiesa e ci ha detto molte cose riguardo al caso Moro. La prima è che non ha confessato il presidente della Dc nel carcere delle Br, spiegando che questa circostanza, cioè non solo l’oggetto della confessione ma anche il luogo e il momento, sarebbe comunque sottoposta al vincolo del segreto divino». Ha commentato il vicepresidente dei deputati del Pd e membro della commissione Moro, Gero Grassi.
«Quando il procuratore Sica gli disse che avrebbe chiesto direttamente al Papa di liberarlo dal segreto della confessione – ha aggiunto l’esponente democratico – Mennini gli spiegò, come ha riferito questa mattina, di non affannarsi perché neanche il Santo Pontefice poteva arrivare laddove il limite è segnato dall’alto. Come ha spiegato anche il senatore Paolo Corsini, eminente storico, questa regola in realtà non esiste ma attorno ad essa si avvita uno dei misteri del caso Moro».
Grassi ha poi ricordato che i brigatisti Valerio Morucci e Adriana Faranda assicurarono alla figlia maggiore del leader Dc, Maria Fida, che suo padre era morto «avendo ricevuto il conforto della confessione. Forse di un sacerdote vicino alle Br? Insomma, su questo punto don Mennini non mi convince. Tuttavia l’audizione del sacerdote amico di Aldo Moro ci dà una importante conferma: l’esistenza di un canale di ritorno, cioè di un contatto aperto per la gestione di una trattativa che però non si comprende per quali ragioni fallì».
di Fabrizio Colarieti