Ci sono “zone grigie”, in Egitto e in Italia. E la verità sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano sequestrato, torturato per 7 giorni e ucciso al Cairo quattro anni fa, è ancora lontana, perché, oltre alle reticenze delle autorità egiziane, ribadite recentemente anche dell’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, a mancare è la volontà di agire con maggiore determinazione. E’ quanto hanno ribadito i genitori del giovane friulano, Paola Deffendi e Claudio Regeni, nel corso della loro prima audizione dinanzi alla Commissione parlamentare d’inchiesta che indaga sulla vicenda.
Il governo egiziano, hanno detto i genitori di Giulio, “è recalcitrante e non collabora come dovrebbe”, ma, anche da parte italiana, non è stato “ancora ritirato il nostro ambasciatore al Cairo”. “Da tempo – hanno aggiunto – chiediamo il ritiro dell’ambasciatore. Cantini (Giampaolo Cantini, ndr) da molto tempo non ci risponde, evidentemente persegue altri obiettivi rispetto a verità e giustizia, mentre porta avanti con successo iniziative su affari e scambi commerciali tra i due Paesi”.
La madre di Regeni, accompagnata davanti alla Commissione dall’avvocato Alessandra Ballerini, ha ricordato di aver appreso dai media online che Giulio era stato brutalmente torturato, una circostanza, né secondaria né superflua, che non sarebbe stata riferita dai funzionari dell’ambasciata d’Italia al Cairo “per una sorta di tutela nei nostri confronti ed è stata una super-botta per noi”. I genitori del ricercatore hanno ricordato un’altra questione, ancora oggi poco chiara, e cioè la presenza al Cairo, nei giorni del sequestro, quindi tra il 25 gennaio ed il 4 febbraio 2016, dell’allora direttore dell’Aise, il nostro servizio segreto militare, Alberto Manenti.
“Al funerale di Giulio c’erano tantissimi amici e amiche di mio figlio – hanno raccontato Paola e Claudio Regeni – che hanno deciso di consegnare spontaneamente cellulari e computer agli inquirenti. C’era anche la professoressa (Maha Mahfouz Abdel Rahman, ndr) che non ci pare però abbia dato risposte. Sembrava indispettita. Un atteggiamento che ha mantenuto sia quando siamo andati alla cerimonia del college sia con gli inquirenti ai quali ha detto di accettare solo domande scritte alle quali ha sempre risposto ‘non so’ e ‘non ricordo'”.
“La ricerca che stava conducendo – ha detto, invece, l’avvocato Ballerini nel corso dell’audizione – non è la risposta. Altri facevano ricerche potenzialmente più pericolose della sua. E’ stato ucciso perché si trovava in un regime paranoico dove tutto può succedere perché non c’è il minimo rispetto per i diritti umani”. Per il legale della famiglia Regeni, “l’Italia dovrebbe inserire l’Egitto nella lista dei Paesi non sicuri: lì 3-4 persone ogni giorno fanno la fine di Giulio”. “Siamo costantemente spiati dagli egiziani – ha aggiunto il legale – ed ho presentato un esposto alla procura di Genova. Tempo fa ho comunicato al telefono con i nostri consulenti e loro sono stati subito chiamati a riferire dal commissariato di Doki. Ancora adesso ai convegni in Italia c’è qualche egiziano che fotografa i presenti”.
“Dopo questa audizione sentiamo ancora di più la responsabilità della nostra missione che è quella di arrivare fino in fondo nella ricerca della verità” ha detto, a margine dell’audizione, il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta Erasmo Palazzotto (LeU). “Non trascureremo nulla – ha assicurato il presidente – ascolteremo tutte le persone coinvolte, chiederemo ai protagonisti di venire a raccontare il loro operato in questa vicenda e valuteremo con l’ufficio di presidenza se ascoltare gli ex premier e ministri e quelli attuali. La famiglia ha legittimità di chiedere alle istituzioni atti concreti e forti che restituiscano dignità al Paese”.
di Fabrizio Colarieti per La Notizia [link originale]