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Vasili MitrokhinA ventidue anni dall'esfiltrazione, da parte del Servizio segreto britannico, dei documenti appartenenti al famoso archivio dell'ex agente del Kgb, Vasili Mitrokhin - descritti dal FBI come "l'intelligence più completa ed estesa mai ricevuta da qualsiasi fonte" -  il Churchill Archives Centre dell’Università di Cambridge ha deciso di aprire per la prima volta al pubblico i suoi archivi.
Dal 1972 al 1984 il maggiore Mitrokhin, anziano archivista dell'intelligence estera russa, ebbe accesso illimitato a migliaia di file riguardanti le operazioni di raccolta di informazioni condotte dalla rete di spie del Kgb in tutto il mondo. Mitrokhin, contrario alla brutale oppressione del regime sovietico, si dedicò a lungo a trascrivere i documenti segreti con l'obiettivo di renderli noti. Nel 1992, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, lui, la sua famiglia e il suo archivio furono esfiltrati dal Secret Intelligence Service del Regno Unito.
«Ci sono solo due posti nel mondo dove troverete materiale come questo. Uno è l'archivio del Kgb - che non è aperto e dove è molto difficile entrare - e l'altro è qui al Churchill College dove è possibile prendere visione dei dattiloscritti di Mitrokhin», ha spiegato il professor Christopher Andrew, l'unico storico, autore di due bestseller sull'archivio Mitrokhin, a cui finora era consentito l'accesso al fondo.
«Mitrokhin ha sognato di rendere pubblico tale materiale dal 1972 fino alla sua morte - ha aggiunto Andrew - e tutto questo sta accadendo nel 2014. Il funzionamento interno del Kgb, le sue operazioni di intelligence all'estero e la politica estera sovietica si collocano all'interno di questa straordinaria collezione. L'archivio dà una visibilità senza precedenti alla portata e alla natura delle attività del Kgb in gran parte della Guerra Fredda».
In conformità con il contratto di deposito, il Churchill Archives Centre sta aprendo le versioni in lingua russa dell'archivio. Tra le 19 scatole e le migliaia di pubblicazioni ci sono note del Kgb riguardanti Papa Giovanni Paolo II, le cui attività in Polonia erano attentamente monitorate prima della sua elezione al papato. Ma anche mappe e dettagli dei segreti russi, riferimenti sui nascondigli di armi e ricetrasmettenti in tutta l'Europa occidentale, Italia compresa, e negli Stati Uniti, e file su Melita Norwood, "La spia che venne dalla Co-op".
Norwood, nome in codice Hola, era il più longevo agente britannico del Kgb, che per quattro decenni passò all'intelligence sovietica informazioni classificate sulla ricerca scientifica nucleare dal suo ufficio di Londra del British Non Ferrous Metals Research Association in Euston.
Fra i documenti riemersi dall'archivio Mitrokhin, c'è anche una mappa di Roma e della sua periferia, in cui sono segnati quelli che appaiono come tre depositi di armi attorno alla capitale. Sono identificati coi nomi in codice di KolloFosso e Bor. Secondo Andrew, questi e altri nascondigli vennero creati nel corso della Guerra Fredda nell'ambito di un'operazione su vasta scala che copriva la maggior parte dei Paesi della Nato. «Dopo tutto questo tempo è probabile che le armi non siano più utilizzabili», ha aggiunto lo storico.
L'archivista scomparso nel 2004 nei suoi appunti parla anche di un deposito di armi a Berna in Svizzera, localizzato in campagna, vicino a una cappella. Un'altra nota spiega come disinnescare le trappole esplosive collegate alle casse di armi. Dai faldoni emergono anche particolari ironici sulle spie al servizio di Mosca, come il fatto che fossero perennemente ubriache e questo ne limitava molto la capacità operativa.
«I file Mitrokhin variano nel tempo dal periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione bolscevica del 1917 alla vigilia dell'era Gorbaciov», ha spiegato ancora Andrew. «Inizialmente trascriveva le sue note giornaliere su piccoli pezzi di carta nascosti nelle sue scarpe. Dopo pochi mesi, ha cominciato a portarli fuori nelle tasche della giacca e ogni fine settimana li seppelliva nella dacia di famiglia nelle campagne vicino Mosca».
Mitrokhin, nato nel 1922, iniziò a lavorato per l'intelligence russa a partire dal 1948. Dal 1972 al 1982 è stato responsabile del trasferimento degli archivi del Kgb, di cui era capo sezione, dalla Lubjanka, nel centro di Mosca, in un nuovo quartier generale dell'intelligence estera a Yasenevo.
Nel 1984, dopo il suo pensionamento, Mitrokhin ha organizzato in dieci volumi i documenti che aveva trafugato e dopo la sua esfiltrazione a Londra ha continuato a lavorare al suo archivio producendo note, analisi e ulteriore 26 volumi tipizzati.
Allen Packwood, direttore del Churchill Archives Centre, parlando del fondo Mitrokhin, ha dichiarato: «Questa collezione è un meraviglioso esempio del valore degli archivi e della potenza degli archivisti. La posizione di archivista ha permesso a Mitrokhin di avere un accesso senza precedenti ad una vasta panoramica di file del Kgb. E' stato il suo impegno per la conservazione e l'accesso alla verità che lo ha portato a copiare i documenti con enormi rischi. Siamo quindi orgogliosi di ospitare le sue carte e di onorare il suo desiderio di renderle liberamente disponibili per la ricerca».

di Fabrizio Colarieti

dc9_ustica1_NChissà ai piani alti dello Stato maggiore dell’Aeronautica militare come avranno preso la notizia che qualcuno, Oltralpe, trentaquattro anni dopo la notte di Ustica, ha deciso di iniziare a scrivere una nuova pagina di questa brutta storia. La verità è ancora lontana, è vero. E lo è anche perché i francesi non è detto che stavolta faranno sul serio. Potrebbero dire e non dire, o, nella peggiore delle ipotesi, potrebbero raccontare qualcosa che, pur aggiungendo nuovi tasselli a questo rompicapo, non porterà da nessuna parte, anzi.
I familiari delle vittime hanno ragioni da vendere quando affermano che in questa storia, per fare davvero un passo in avanti, serve il pugno duro del governo e della diplomazia internazionale. La magistratura è arrivata fin dove poteva arrivare: a Parigi. Le rogatorie hanno fatto capire ai francesi che in Italia c’è ancora qualcuno che vuole la verità. Oltre deve andare il governo, perché senza l’avallo della politica difficilmente una dozzina di militari francesi, quelli che la Procura di Roma ha già sentito in qualità di testimoni, riusciranno a condurci verso il punto di svolta.
Il punto da non perdere di vista, tuttavia, è anche un altro. E il governo, in questo caso, potrebbe giocare un ruolo decisivo non solo desecretando veline che nella migliore delle ipotesi confermeranno quello che già sappiamo. Perché quella notte, oltre i francesi, gli americani, i libici e la Nato, ebbe un ruolo - e non di certo secondario - anche la nostra Aeronautica. Lo ha ripetuto, per tre volte consecutive, la Cassazione, in sede civile, tornando a ricordare che qualunque cosa sia accaduta nel cielo di Ustica le nostre istituzioni avevano il dovere di proteggere quel volo, e questo non avvenne. ...continua a leggere "La strage di Ustica e gli imbarazzanti silenzi dell’Aeronautica"

Joe PetrosinoCi sono voluti 105 anni per dare un volto e un nome al sicario di Cosa nostra che uccise, a Palermo, il tenente Giuseppe Petrosino, detto Joe, lo sbirro italo-americano che voleva debellare la mafia oltreoceano, assassinato il 12 marzo 1909 con quattro colpi di revolver mentre attendeva il tram a piazza Marina. A svelare i retroscena di quel delitto, è stato un dialogo captato da una microspia nell'ambito dell'inchiesta Apocalisse che ha portato all'arresto di 91 tra capi e gregari di tre storici mandamenti mafiosi, Resuttana, Tommaso Natale e San Lorenzo.
La frase che ha risolto il caso Petrosino è stata pronunciata da Domenico Palazzotto, uno dei mafiosi arrestati, che si vantava delle tradizioni centenarie di appartenenza a Cosa nostra della sua famiglia. «Lo zio di mio padre si chiamava Paolo Palazzotto, ha fatto l’omicidio del primo poliziotto ucciso a Palermo. Lo ha ammazzato lui Joe Petrosino, per conto di Cascio Ferro». Dunque a uccidere Petrosino, che era arrivato a Palermo da New York per debellare l’organizzazione criminale Mano Nera, fu Paolo Palazzotto, il primo sospettato di quell'omicidio, arrestato e poi assolto per insufficienza di prove.
Quello del coraggioso poliziotto italo-americano fu uno dei primi delitti "eccellenti" compiuti in Sicilia. Petrosino era un antesignano della lotta senza quartiere alla criminalità mafiosa. Fu il primo a capire che per sconfiggere la Mano nera e la mafia siciliana era necessario arrivare in cima all'organizzazione e tagliare i collegamenti con i boss che risiedevano ancora in Sicilia.
Decapitata la cupola, sarebbe stato possibile in futuro annientare anche le metastasi che infestavano il Nuovo Continente. Per fare questo bisognava creare un pool antimafia, un nucleo ristretto di detective, senza l'obbligo della divisa, con l'unico obiettivo di indagare sui "pezzi da novanta". Il tenente venuto da New York per colpire la piovra nella sua capitale aveva capito tutto questo alla fine dell'Ottocento, anticipando di un secolo il lavoro che portarono a termine Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Lo inviò in Italia il presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt, per creare una prima rete di intelligence in grado di scoprire i collegamenti tra i clan americani e quelli del Sud d'Italia. Ma Petrosino ebbe anche un'altra importante intuizione: costruire un grande archivio comune per "mappare" la geografia criminale, tenendo conto anche del fatto che la Mano Nera si basava su una organizzazione verticistica e piramidale, proprio come la mafia e la camorra.
Giuseppe Petrosino era nato nel 1860 a Padula, in provincia di Salerno, prima che il padre, un sarto, si trasferisse negli Stati Uniti. Era un cittadino americano che amava fortemente l'Italia, un Paese che ebbe modo di visitare soltanto qualche mese prima di essere ucciso, restandone tuttavia fortemente deluso.
Il suo assassinio è rimasto impunito per 105 anni. Fino ad oggi non si conoscevano né mandanti né esecutori. Don Vito Cascio Ferro, il boss di Bisacquino che Petrosino conosceva bene, era l'unico che poteva confessare il nome di chi, quella sera di marzo, sparò alle spalle dell'ufficiale. Ma lo stesso don Vito, oggi chiamato in causa da un discendente del killer che uccise Joe, morì abbandonato, senza acqua e cibo, nel carcere di Pozzuoli.

di Fabrizio Colarieti

Cavi-sottomarini-Sicilia-174x131Il primo colosso delle telecomunicazioni che ha lanciato il sasso nello stagno è stato Vodafone. La compagnia telefonica britannica, che opera in 29 paesi, in un dettagliato rapporto presentato il 6 giugno scorso, ha denunciato pubblicamente che le agenzie di intelligence spiano i suoi utenti, in particolare quelli europei. Un'uscita che ha sorpreso la comunità internazionale suscitando nuovi interrogativi sul tema della privacy e sull'invasività dei programmi governativi di sorveglianza elettronica.
In soldoni i metadati di Vodafone, ma anche di altre compagnie, cioè le informazioni principali che riguardano una conversazione telefonica o una connessione telematica (i numeri di telefono o gli IP di ciascun utente, l'ora, la durata, la posizione degli interlocutori), come si dice in gergo, sarebbero stati rastrellati o pettinati dalle sonde della National Security Agency americana e dal Government Communications Headquarters britannico.
Nulla di nuovo, perché già all'epoca delle rivelazioni dell'ex tecnico della Nsa, Edward Snowden, il mondo aveva appresso dell'esistenza di una serie di programmi di sorveglianza globale molto invasivi - come PrismTempora e Upstream - messi in campo dagli Usa e dal Regno Unito. Tecnologie che permettono di spiare attraverso la rete internet, ma anche prelevando i dati direttamente dai cavi sottomarini o dai transiti satellitari.
Anche l'Italia è finita nella rete di sorveglianza della Nsa, innanzitutto per la sua posizione strategica. Come ha rivelato l'Espresso, gli inglesi, in particolare, si sono concentrati molto sui cavi sottomarini in fibra ottica che convogliano oltre il 99 per cento delle comunicazioni intercontinentali (dalle telefonate agli accessi Internet) attraverso il Mediterraneo. Ed è noto che ogni conversazione tra Oriente e Occidente transita per una complessa ragnatela di 18 cable landing points che si trovano in Sicilia. ...continua a leggere "Perché i cable landing points italiani fanno gola all’intelligence americana e inglese"