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«Avevo dichiarato guerra alla mafia e a marzo annunciai in Parlamento che ci sarebbero state delle stragi, non mi ascoltarono e si preferì adottare una linea più morbida. Non ho segreti ma alla Commissione antimafia ho detto di andare a guardare negli archivi del Viminale». Vincenzo Scotti, alla soglia dei 79 anni, ricorda ogni particolare delle ore in cui Nicola Mancino prese il suo posto al ministero dell’Interno. Era il '92, Cosa nostra presentava il conto a Falcone e Borsellino e lo Stato, forse, trattava la resa.
Onorevole Scotti, a distanza di vent’anni si è fatto un’idea del motivo per cui venne rimpiazzato al Viminale?
«Non c’era niente di personale. Il problema era strettamente politico. La risposta è nella storia scritta in quei due anni, a partire dal momento in cui cambiò la linea politica su come andava combattuta la mafia».
In altre parole sta dicendo che il fatto che lei si occupasse costantemente di lotta alla mafia dava fastidio a qualcuno?
«Con il decreto dell’8 giugno, quello che introduceva nell’ordinamento anche il 41-bis, volevamo impedire che i boss continuassero a gestire gli affari di famiglia anche dall’interno delle carceri. E quest’azione incontrò notevoli resistenze, in molte direzioni e con ragioni diverse. Da una parte c’era l’azione mia e di Martelli, apertamente a sostegno del pool di Palermo, e dell’altra c’erano alcuni, con ragioni nobili e altre meno, che ritenevano che la lotta alla mafia andasse condotta con forme meno aggressive di quelle che noi proponevamo. Questa è la storia di quegli anni. Secondo noi non bisognava continuare con i provvedimenti straordinari, ma bisognava cambiare le istituzioni investigative e giudiziarie».
Quindi?
«Quindi istituimmo la Direzione nazionale antimafia e la Dia, introducemmo la legge sui pentiti, cioè arrivammo a costruire una corpo di leggi e di strutture per dichiarare guerra alla mafia. Come del resto fu la mia scelta di indicare il nome di Borsellino, chiedendo la riapertura dei termini del concorso, per l’incarico di Procuratore nazionale antimafia. Una scelta che nasceva dall’esigenza di garantire continuità a un’azione. Avevano ammazzato Falcone, bisognava rispondere accentuando e non riducendo la pressione sulla mafia, quindi anche sostenendo la candidatura alla Dna di un uomo che aveva lavorato con lui». ...continua a leggere "Scotti: La mia lotta alla mafia"

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Potrebbe essere l’autunno più caldo degli ultimi vent’anni. È la storia che torna a presentare il conto ai già provati protagonisti della Prima Repubblica, con un rigurgito di veleni e sospetti che arriva da lontano. E’ lo Stato che interroga se stesso, come tante volte è accaduto in Italia, chiedendo ai suoi apparati di sollevare il coperchio di una pentola che bolle ancora. Il 29 ottobre, giù a Palermo, un giudice, Piergiorgio Morosini, dovrà posare gli occhi sui 120 faldoni che compongono l’inchiesta sulla cosiddetta trattativa tra lo Stato e la Mafia e decidere se mandare a processo – come chiede la procura – i 12 indagati. Tutti nomi eccellenti, sia dentro Cosa nostra sia dentro i palazzi del potere. E in quelle carte c’è abbastanza per rimettere tutto in discussione. Vent’anni dopo quel maledetto Novantadue, l’anno delle stragi, del delitto Lima (12 marzo), di Capaci (23 maggio) e via D’Amelio (19 luglio). E’ lo scenario nel quale, secondo i magistrati di Palermo, si mette in moto e va in scena la trattativa. Da allora si cercano ancora verità e risposte. Quello che non sappiamo, la verità sull’agguato a Paolo Borsellino e molto altro, il ruolo della politica e di chi, nell’ombra, si occupava del lavoro sporco, potrebbe emergere da questo rompicapo. E’ il tentativo dei magistrati Antonio Ingroia, Antonino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene, che l’11 giugno hanno sottoscritto l’avviso di chiusura delle indagini preliminari e successivamente chiesto il giudizio, a vario titolo, per dodici tra politici, militari e mafiosi. Tra loro ci sono i boss Leoluca Bagarella, Antonino Cinà, Giovanni Brusca, Totò Riina e Bernardo Provenzano. Gli ufficiali dei carabinieri Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, i politici Calogero Mannino, Marcello Dell’Utri e Nicola Mancino. E poi, il testimone, Massimo Ciancimino, il figlio del sindaco mafioso di Palermo, Don Vito, indagato per concorso in associazione mafiosa e calunnia (ai danni dell’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro). ...continua a leggere "Amnesie di Stato"

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Neanche la penna di Joseph Conrad, l’autore del celebre romanzo L’agente segreto, avrebbe potuto partorire una storia così. Eppure, a leggerla con gli occhi di un qualunque complottista – e in Italia ce ne sono davvero tanti – il ritorno in auge dell’eterno sospetto, che dietro il pool di Milano e l’inchiesta mani pulite ci fosse la manina dell’intelligence americana, ancora oggi annovera autorevoli sostenitori. «Una storia – commenta a Il Punto l’allora capo del pool di Milano, Francesco Saverio Borrelli – che è frutto di un’immaginazione un po’ sfrenata». Perciò nulla da invidiare alle pagine e allo stile di Conrad. E gli ingredienti, manco a dirlo, ci sono tutti: un politico, Bettino Craxi, che se la intende con il Medio Oriente; una potenza straniera, gli Stati Uniti d’America, che non vede di buon occhio tanta libertà nel Mediterraneo; e, infine, l’incidente diplomatico che fa traboccare il vaso, il braccio di ferro di Sigonella dopo il dirottamento della nave Achille Lauro (1985). Un precedente non di poco conto, che avrebbe verosimilmente «armato» la diplomazia Usa, spingendola a intromettersi nella vita pubblica italiana. Come? Infiltrandosi tra i magistrati che indagando sulla politica (il Psi e Bettino Craxi in primis) stavano cambiando il corso della storia. ...continua a leggere "Mani pulite non è un romanzo"

gabrielli«Se volete crocifiggetemi pure, ma la coperta è corta». Era il 18 luglio e il capo del Dipartimento della protezione civile, il prefetto Franco Gabrielli, era già in volo tra un incendio e l’altro. Parlava da San Teodoro, nel nord-est della Gallura, dove tre giorni prima un incendio aveva inghiottito in poche ore 800 ettari di macchia mediterranea, capannoni, autovetture e ferito cinque persone. Gli amministratori locali avevano parlato di ritardi nell’arrivo dei Canadair, sollevando, a inizio stagione, il problema della scarsità di mezzi aerei per fronteggiare l’emergenza incendi. Tuttavia il peggio doveva ancora arrivare.
MANCANZA DI RISORSE. «Quest’anno abbiamo avuto finanziamenti per 80 milioni di euro - aveva aggiunto ancora Gabrielli - che ci hanno consentito di avere a disposizione una flotta aerea composta da 30 mezzi (fra Canadair, Elitancher e Fire Boss), ma il prossimo anno i finanziamenti, sulla base delle previsione degli stanziamenti, verranno dimezzati, e questo ci consentirà di avere appena 14 mezzi aerei su tutto il territorio nazionale. Sono preoccupato». Il 31 luglio Gabrielli rincara la dose in un’intervista alla Stampa: «Nel 2013 la campagna della flotta aerea di Stato potrebbe anche non partire a causa dei tagli. Occorre fare delle scelte, stabilire delle priorità. E la lotta agli incendi lo è. Occorrono - spiega ancora il capo del Dipartimento della protezione civile - investimenti sia per la flotta aerea di Stato sia per le squadre di terra. Spero che qualcuno mi ascolti e che le mie parole non cadano nel vuoto: corriamo rischi troppo alti». Poi il prefetto guarda oltre e lancia anche un altro allarme, ricordando a tutti che gli incendi sono precursori di altri disastri (invernali) - frane e dissesti -, cioè altre grane per i piani alti di via Ulpiano. L’11 agosto è un’altra giornata da dimenticare. La protezione civile è nel pieno dell’emergenza con un media di 40 roghi al giorno, dal nord al sud Italia. In fiamme sta andando la Riserva dello Zingaro, siamo in Sicilia lungo la costa trapanese e dentro una delle riserve naturali più belle del Paese, e a mancare all’appello sono ancora gli aiuti che arrivano dal cielo: i Canadair. Gabrielli è di nuovo sotto attacco e come mette piede in Sicilia torna a lanciare l’allarme ai microfoni di Sky Tg24: «Con i fondi previsti nel 2013 non si potranno garantire i servizi dei Canadair contro gli incendi». Dal governo - che solo qualche mese prima aveva annunciato che la scure della spending review avrebbe riguardato anche la protezione civile, compresa una possibile cessione dell’intera flotta Canadair - non arrivano né conferme né smentite. Intanto il fuoco si muove più rapidamente dell’uomo, e i dati diffusi dal Corpo forestale dello Stato, relativi ai primi sette mesi del 2012, parlano chiaro: gli incendi sono quasi raddoppiati rispetto allo scorso anno, più 93 per cento pari a 4.700 roghi, 671 ogni mese. La superficie percorsa dal fuoco sfiora i 24mila ettari, e nella fotografia della Forestale manca il mese di agosto. ...continua a leggere "Emergenza Canadair"