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Chi manovrava le Brigate Rosse? Chi c’era dietro l’Istituto linguistico Hyperion di Parigi? E quali legami aveva la Hyperion con il terrorismo internazionale? Articoli, saggi, inchieste giudiziarie, sentenze, testimonianze: abbondano analisi e ricostruzioni della storia sulla più potente e sanguinaria organizzazione terroristica italiana, le Brigate Rosse. Eppure sono ancora molte le lacune, i passaggi non chiariti, i personaggi rimasti nell’ombra. Un nuovo saggio, in libreria da alcune settimane, tenta di fare luce su questi aspetti ripercorrendo la storia e le inchieste degli ultimi trent’anni. Lo firmano il giudice Rosario Priore, protagonista di alcuni dei più importanti processi della nostra storia, dall’attentato al Papa alla strage di Ustica, e il giornalista Silvano De Prospo. Lo fanno collegando a doppio filo la storia delle BR, sin dai suoi esordi, con quella di un gruppo di persone di cui ancora troppo poco si è scritto: Corrado Simioni, Duccio Berio e Vanni Mulinaris, fondatori agli inizi degli anni Settanta del Superclan – misteriosa organizzazione clandestina nata come costola delle Brigate Rosse – successivamente riparati a Parigi, e qui diventati insegnanti di lingue in un istituto, il centro Hyperion, su cui grava da decenni un sospetto: che fosse un centro di coordinamento dell’eversione internazionale.
Attraverso un meticoloso lavoro sulle fonti storiche e giudiziarie, “Chi manovrava le Brigate Rosse?” (Ed. Ponte alle Grazie, 12,41 euro) riesce a dare riscontro fondato all’ipotesi che le BR non agissero in autonomia, ma che dietro all’organizzazione si muovesse un reticolo d’interessi legato al terrorismo internazionale, agli apparati dello Stato italiano, al lavorio incessante dei principali Servizi stranieri. ...continua a leggere "Chi manovrava le Brigate Rosse?"

Dov’erano i servizi segreti? A Roma qualcosa non ha funzionato. Ed è qualcosa che va oltre la gestione dell’ordine pubblico. Sono mancate le informazioni, il lavoro info-investigativo, insomma il materiale d’intelligence, quello che gli analisti chiamano humint.
Perché, guardando le immagini della guerriglia urbana che ha assalito Roma il 15 ottobre, si ha la netta impressione che nessuno era preparato.
Quanti erano? Da dove venivano? Come si sono organizzati? Come hanno comunicano tra loro? Più o meno le stesse domande dell’alba del giorno dopo. Quello del classico “ormai è tardi” all’italiana.
Eppure di segnali, a volerli leggere, ce n’erano eccome. Bastava sbirciare nei soliti forum o digitare su Google la sequenza “Roma 15 ottobre”, per trovare traccia della chiamata, e tra le righe anche di quanto sarebbe accaduto in piazza.
Sono mancate le informazioni, quelle che l’intelligence dovrebbe fornire a chi sta sul campo. Prevedere un fatto, analizzarne l’evoluzione, tracciarne i confini, questo, a Roma, è mancato. L’assenza d’informazioni, o se volete di soffiate, non è una novità. Il vivaio di fonti negli ambienti dell’antagonismo non è più quello di una volta.
I tagli e la riforma dei Servizi, quella che nel 2007 ha spazzato via Sisde e Sismi lasciando il posto ad Aisi e Aise, ha prodotto anche questo. Il Servizio segreto civile, più dei cugini del controspionaggio militare, da quella riforma ne è uscito con le ossa rotte e oggi, a distanza di quattro anni, può contare su pochi uomini, poche tecnologie e canali informativi prosciugati da anni.
La nostra intelligence annaspa, è affannata, incapace di dare risposte e prevedere scenari. Abbiamo buoni analisti in campo, ma mancano i segnali da interpretare. Risultato: nelle informative dei Servizi ci finisce solo il frutto di analisi fatte al computer, un collage di open source intelligence, insufficiente e inadeguato. Non c’è altra spiegazione.
E nel “caso Roma” il fallimento dei servizi segreti sta tutto nelle poche righe licenziate poche settimane fa (il 22 settembre) dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza del prefetto Gianni De Gennaro: «In relazione alle indiscrezioni di stampa concernenti la manifestazione programmata in occasione della giornata internazionale di protesta contro governi e multinazionali, prevista per il prossimo 15 ottobre, il DIS precisa che l’Agenzia per la sicurezza interna (AISI) sta fornendo il consueto contributo informativo alle autorità preposte alla gestione dell’ordine pubblico. Dal contesto delle notizie ad oggi acquisite, pur non rilevandosi elementi di carattere emergenziale, si evidenzia l’esigenza di un attento monitoraggio e ulteriore approfondimento dell’evolversi della situazione».
Non sappiamo se l’attento monitoraggio è stato compiuto dagli agenti di via Lanza, ma una cosa è certa: a chi era in piazza il 15 ottobre è mancato un elemento importante. Lo ha detto anche un black block a due giornalisti di La Repubblica: bastava ascoltarli, leggere i loro messaggi in rete e interpretare il loro linguaggio.
Non farlo, o farlo inaguatamente, ha condizionato le scelte e costretto chi operava in piazza a improvvisare.

di Fabrizio Colarieti per Notte Criminale [link originale]

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ROMA - Nel cielo di Ustica la notte del 27 giugno 1980 ci fu un’azione di guerra. E in questo scenario il Dc9 della compagnia Itavia, che andava da Bologna a Palermo, fu abbattuto da un missile o a causa di una quasi collisione con un altro aereo mai identificato. E’ questa la conclusione cui è giunto il 10 settembre il giudice della terza sezione civile del Tribunale di Palermo, Paola Proto Pisani, condannando i ministeri della Difesa e dei Trasporti a pagare un risarcimento record (100 milioni di euro oltre oneri e interessi) agli 81 familiari delle vittime della strage di Ustica. Dalla sentenza - resa nota ieri dagli avvocati Daniele Osnato e Alfredo Galasso, che l’hanno definita «una crepa nel muro di gomma» - emerge che l’incidente avvenne «a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia», che tra Ponza e Ustica «viaggiavano parallelamente ad esso» e di un altro velivolo militare «precedentemente nascostosi nella scia del Dc9 al fine di non essere rilevato dai radar». Secondo la Proto Pisani, a causare il disastro che portò alla morte di tutti e 77 i passeggeri e dei 4 membri dell’equipaggio, non fu, perciò, né un cedimento strutturale né un’esplosione interna, bensì «la diretta conseguenza dell’esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto edilDc9». In pratica lo stesso scenario ricostruito nel ‘99 dal giudice istruttore Rosario Priore, che, tuttavia, non riuscì a individuare gli autori della strage. Il tribunale civile siciliano era stato chiamato a stabilire se, e in quale misura, i due dicasteri non avevano svolto ogni necessaria azione per tutelare l’incolumità del volo Itavia, impedendo così ai parenti di conoscere la verità. Attorno al Dc9, afferma la sentenza, «c’era una situazione aerea complessa», confermata anche dal tracciato radar di Ciampino. Il tribunale di Palermo punta il dito anche contro gli ufficiali e sottoufficiali dell’Aeronautica militare, che sistematicamente depistarono e intralciarono il più «proficuo svolgimento delle indagini, mediante sottrazione di documentazione».

di Fabrizio Colarieti – Il Messaggero, 22 settembre 2011 [pagina originale]

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ROMA - C'era un tratto di cielo, la sera del 27 giugno 1980, che non era controllato a sufficienza dai radar italiani, civili e militari. E in quel buco nero sparì il Dc9 Itavia, precipitando nelle acque di Ustica. E' per questo motivo che ieri lo Stato è stato condannato a risarcire le vittime di quella strage irrisolta. A stabilirlo è una sentenza della terza sezione civile del Tribunale di Palermo, che ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti a pagare oltre 100 milioni di euro (più interessi e oneri accessori) a ottanta familiari delle vittime. Affermando anche la precisa responsabilità dei due dicasteri, che non fecero abbastanza per garantire l'incolumità dei 77 passeggeri e dei quattro membri dell'equipaggio di quel volo Itavia 870 che ha segnato un pezzo della nostra storia recente.
Il Dc9 decollato da Bologna - secondo quanto hanno sostenuto i legali dei familiari che nel 2008 intentarono causa nei confronti dello Stato - per raggiungere Palermo attraversò un tratto dell’aerovia Ambra 13 scarsamente vigilato dalla rete radar della Difesa. E in quel buco nero, a metà strada tra le isole di Ponza e Ustica, l’aereo I-Tigi si trovò al centro di una battaglia aerea e finì per diventare un bersaglio, precipitando in mare dopo essere stato colpito da un missile o a causa di una collisione con un altro velivolo.
I familiari delle vittime, invocando l'esistenza del diritto all'accertamento della verità, avevano citato in giudizio i due ministeri affermando che non potevano non essere a conoscenza - prima, durante e dopo la sciagura - che quel tratto di rotta era scarsamente coperto dai radar. Il giudice palermitano Paola Proto Pisani, dopo aver rispolverato l’istruttoria penale condotta dal giudice Rosario Priore, che nel 2007 portò all’assoluzione definitiva degli ultimi due imputati (gli allora vertici dell’Aeronautica militare), afferma oggi che con ogni probabilità intorno al Dc9 c’erano altri aerei, come evidenziarono le registrazioni radar di Ciampino. Una ricostruzione che collima con quanto scrisse Priore nelle conclusioni della sua sentenza-ordinanza, e cioè che fu proprio l’Aeronautica a non informare correttamente il governo sulla presenza d’intenso traffico militare intorno all’ultima “battuta” radar del Dc9.
La sentenza del tribunale di Palermo, che già in passato aveva condannato lo Stato a risarcire altri familiari delle vittime, riapre così lo scivoloso dibattito sull’affaire Ustica. Tutto questo mentre la procura di Roma attende le risposte alle rogatorie internazionali trasmesse lo scorso anno a Francia, Stati Uniti, Germania e Nato dopo le dichiarazioni di Francesco Cossiga che nel corso di alcune interviste (e sotto giuramento davanti ai giudici di Palermo) tirò in ballo l’aviazione francese, affermando che il Dc9 era stato colpito per errore durante un’operazione coperta che doveva portare all’abbattimento di un aereo che trasportava Gheddafi. Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione familiari delle vittime, ha definito la sentenza di Palermo di «elevato spessore civile». «E’ stato finalmente riconosciuto - ha aggiunto - il danno subito dai familiari per la negazione della verità e della giustizia, e questa sentenza è anche la conferma, come abbiamo sempre sostenuto, che quanto avvenne quella notte intorno al Dc9 è scritto nelle conclusioni dell’istruttoria di Priore».

di Fabrizio Colarieti - Il Messaggero, 13 settembre 2011 [pagina originale]

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