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Fabio Ghioni

«Dubito che la fuga di notizie targata Wikileaks sia il risultato di un’azione di pirateria informatica. La mia opinione è che qualcuno abbia fornito ad Assange i file dei clabes pronti per l'uso e data la natura delle informazioni non escludo si tratti di uno o più servizi d'intelligence».

Fabio Ghioni, l’hacker che "bucò" i server del Corriere della Sera e della statunitense Kroll investigations, quando era a capo della security informatica del gruppo Telecom Italia, non ha dubbi: dietro Wikileaks e il suo fondatore, Julian Assange, ci sono i Servizi. «Il sistema che usa Wikileaks - spiega Ghioni - si chiama Cloud Computing ovvero le informazioni che ospita e diffonde in rete sono distribuite su batterie di server localizzati in diverse parti del mondo per consentire la perenne disponibilità dei dati, indipendentemente dal verificarsi di catastrofi naturali o rogatorie internazionali».

E' davvero impossibile, a questo punto, fermare la pubblicazione degli oltre 250mila clablogrammi? «Nulla è impossibile - aggiunge l’ex capo della sicurezza informatica di Telecom Italia -, ma è sufficientemente difficile, e comunque non è possibile bannare un simile servizio usando la rete stessa, servono azioni materiali».

E bloccando i suoi indirizzi Ip? «Il sistema di mirroring - prosegue l’esperto informatico - mette al sicuro Wikileaks da tentativi di esclusione del servizio usando metodi convenzionali, come il banning dell’Ip, utilizzato ad esempio per fermare i siti pedopornografici, ma solo con metodi non convenzionali».

Di quali infrastrutture informatiche è in possesso l’organizzazione di Assange? «Le strutture tecniche che usa Wikileaks - va avanti Ghioni - richiedono un’organizzazione complessa e importanti investimenti, ecco perché credo che dietro di lui ci sia un burattinaio, un’organizzazione molto più potente, forse governativa. Wikileaks è ormai uno strumento di potere perfetto - prosegue l’hacker - dietro al quale possono esserci hacker che si muovono contro l’establishment, ma anche note organizzazioni criminali, come il Russian Business Network, oppure servizi segreti che vogliono screditare altri stati».

Assange vincerà la sua battaglia? «Vincerà soltanto se fa parte del sistema - chiosa Fabio Ghioni - e se è ancora vivo e libero di spostarsi in ogni luogo, certamente ne fa parte».

intervista di Fabrizio Colarieti, 30 novembre 2010.

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In attesa che Wikileaks pubblichi le ultime fughe, giusto per farsi un'idea, giusto per capire cosa scrivono di solito gli americani nei loro coloriti dispacci interni dedicati al nostro Paese, e in particolare alla nostra politica, basta rileggersi quanto l'Ambasciata americana di Roma scriveva a Washington, al Dipartimento di Stato, e a Langley, alla Cia, sull'affaire Ustica. Si tratta di un malloppo di telex in lingua inglese, che vanno dal 1980 al 2000, giunti in Italia nel 2003 - già declassificati e zeppi di censure - grazie al Freedom Information Act. Stragi80.it li pubblicò tutti e vale proprio la pena rileggersi quelle carte, proprio per capire cosa scrivono gli analisti americani quando parlano del Bel Paese.

Per scaricare i telex in pdf: prima parte - seconda parte - pdf-ocr

Vent'anni di preoccupazioni - di Paola Pentimella Testa (Avvenimenti, 7/5/2004)

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«Siamo gelosi custodi della nostra Abbazia, ma il progresso e la civiltà camminano su buone strade e un miglioramento della viabilità è senz’altro positivo». Sono le parole del sindaco di Micigliano, Francesco Nasponi, ed è un peccato che nell’era del digitale i cittadini di Micigliano non abbiamo potuto seguire la puntata di “Buongiorno regione”, andata in onda ieri su Rai 3 in diretta dall’Abbazia dei Santi Quirico e Giulitta. Lo è perché a Micigliano - dove la tv di Stato non si vede ancora - gli abitanti del piccolo comune avrebbero potuto percepire, ascoltando le balbettanti parole del sindaco, quanto la spinosa vicenda del mega svincolo in costruzione ai piedi del paese lo preoccupi ancora. Il servizio della Rai è servito a far conoscere la storia del millenario insediamento benedettino ma anche cosa accadrà in quei storici luoghi quando lo svincolo sarà completato. L’Abbazia, ristruttura nel 2000 con i fondi del Giubileo (oltre 4 miliardi di lire), sarà soffocata dai piloni dell’enorme svincolo e così di quel suggestivo scorcio delle Gole del Velino resterà al massimo una cartolina. La Rai, stavolta, ha fatto il suo dovere riaccendendo i riflettori su una vicenda tutt’altro che chiusa e ricordando che su quel cantiere dell’Anas (appaltato alla Safab Spa per 46 milioni di euro) incombe - tuttora - una diffida con cui il 5 maggio scorso la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Lazio ha ordinato la “sospensione dei lavori” e il “ripristino dello stato dei luoghi”. Detta in due parole: quei lavori sarebbero stati avviati violando i pareri che la stessa Soprintendenza aveva emesso a protezione dell’Abbazia di cui Nasponi dice di essere un “geloso custode”. «Non compete al nostro microcomune - ha poi aggiunto il sindaco ai microfoni della Rai - né al sindaco far rispettare l’ordinanza che noi abbiamo regolarmente affisso, è l’Anas che doveva controllare le procedure e vigilare sull’appalto». Nasponi dimentica che la Soprintendenza, con una nota del 7 aprile 2009, gli intimò di rispettare il suo parere dando avvio a un procedimento di tutela dell’area. Il Comune non mosse un dito e scattarono le norme di salvaguardia previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio: “necessità di sottoporre alla preventiva valutazione da parte di questa Soprintendenza di qualsiasi intervento riguardasse l’area e sono state adottate delle prescrizioni di gestione dell’ambito territoriale, alle quali l’amministrazione comunale era tenuta da quella data ad attenersi”. Dal 5 maggio scorso nessuno ha sospeso i lavori, neanche i carabinieri di Antrodoco e del Nucleo tutela patrimonio culturale di Roma che quella stessa diffida l’hanno da tempo.
di FABRIZIO COLARIETI - Il Messaggero del 19/11/2010

Leggi anche l'inchiesta di Narcomafie sulla Safab.

Chiamatela dietrologia, oppure antiamericanismo. Ma resta un dato di fatto: anche in questa brutta storia i nostri fedeli alleati americani ci sono entrati con le mani e con i piedi. È stata colpa loro? Chi può dirlo. Ma di certo, quella sera, mentre i 140 tra passeggeri e membri dell’equipaggio del Moby Prince andavano a morire contro quella petroliera, gli americani nel porto e alla rada di Livorno c’erano eccome. Così la tragedia di quel traghetto è diventata, nel tempo, la “Ustica del mare”. Troppe coincidenze. Troppi sospetti. Troppe presenze anomale in quel tratto di mare ingolfato come quel pezzo di cielo dove il 27 giugno 1980 si trovò, in altrettanto casuale compagnia, il Dc9 della compagnia Itavia.In quell’occasione le vittime furono 81, ovvero 82 con la verità finita per sempre, insieme a gran parte dei passeggeri di quel volo, in fondo al mare. Due storie diverse, due tragedie distanti tra loro ma unite dallo stesso pauroso sospetto. A tornare indietro con la memoria, di pretesti, volendo, se ne trovano anche altri. Dall’arrivo delle spie americane in Sicilia, subito dopo il secondo conflitto mondiale, la cui attività, secondo molti, fu fortemente legata a quella della mafia, alla Strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947), fino all’uccisione in Iraq dell’agente segreto Nicola Calipari (4 marzo 2005), passando per la strage della funivia del Cermis (3 febbraio 1998). I misteri, quelli che tutti chiamano “misteri d’Italia”, in questo Paese hanno quasi sempre un inquietante risvolto a stelle e strisce, e non è sempre colpa della dietrologia.Gli americani, secondo i complottisti, mettono lo zampino dappertutto, e quindi se là, in quel mare, la sera del rogo del Moby Prince, c’erano anche loro, è accaduto sicuramente qualcosa che nessuno deve sapere. ...continua a leggere "Moby Prince. Spettatori di una sovranità limitata"