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6742Aldo Giannuli, attento studioso del mondo dell’intelligence, nel suo ultimo libro, Come i servizi segreti usano i media (Ponte alle Grazie, 236 p. 13,50 euro), non ha dubbi: se il flusso delle telecomunicazioni si arrestasse improvvisamente, per una qualsiasi ragione, la nostra società cesserebbe istantaneamente di funzionare (dai trasporti alle banche, dalle borse agli ospedali, dalla distribuzione commerciale alla produzione industriale). È lo scenario peggiore che la mente umana, moderna, possa immaginare: un blackout, ovviamente doloso, capace di mettere ko telefoni, internet, stazioni radiotelevisive, treni, aerei, energia, acquedotti e tutto ciò che ha bisogno di sequenze di bit per funzionare. Un timore, non proprio infondato, che sta spingendo tutti i governi - compreso quello italiano - ad accrescere la propria capacità di difesa dei confini “virtuali” e del cyberspazio, schierando super esperti di informatica al posto della fanteria. Una scommessa che impegna, in prima linea, proprio l’intelligence, civile e militare, chiamata a mutare la propria missione in funzione di nuove e più complesse minacce. Non a caso, Gianni De Gennaro, attuale sottosegretario con delega ai Servizi segreti, ripete in ogni occasione che il cybercrime - cioè il terrorismo informatico e ogni forma di crimine in rete - è già una minaccia reale e concreta per la sicurezza dello Stato. «I nostri servizi segreti - ha detto l’ex capo del Dis parlando la scorsa settimana agli studenti dell’Università di Camerino - oggi si trovano ad affrontare sfide molto diverse. Ci sono ancora pericoli tradizionali, come il terrorismo, ma il compito dei servizi segreti non riguarda soltanto la difesa del territorio, la difesa del Paese, perché, nel mondo globalizzato, la missione non è la difesa di tipo militare, ma la difesa dei mezzi economici e della reti informatiche». ...continua a leggere "Cybercrime, ecco la guerra 2.0"

anemoneQualcuno voleva morto il costruttore Diego Anemone, il principale protagonista delle inchieste sui grandi appalti, dai Mondiali di nuoto al G8 a La Maddalena, che ristrutturò il quartier generale dell’Aisi a Roma? Proprio la stessa agenzia di intelligence che con un’informativa top secret alla direzione della Casa circondariale di Rieti, dove il costruttore era detenuto tra febbraio e maggio del 2010, riferì dell’esistenza di un piano che puntava ad eliminarlo. I Servizi informarono il direttore dell’istituto che la vita dell’imprenditore poteva essere a rischio, non all’esterno, cioè dal momento in cui fosse stato rimesso in libertà, bensì proprio tra le mura del carcere. La polizia penitenziaria da quel momento in poi sorvegliò a vista la sua cella e non lasciò mai solo Anemone, neanche durante le ore che il costruttore trascorreva negli spazi comuni insieme agli altri detenuti. A un ristretto numero di agenti di custodia fu assegnato l’incarico di sorvegliarlo, anche di notte, fino al giorno della sua scarcerazione, il 9 maggio 2010. La segnalazione giunta alla direzione del carcere – secondo quanto ha appreso Il Punto – era sintetica, solo poche righe nel gergo dell’intelligence per riferire che il Servizio segreto civile aveva appreso, da fonti ovviamente non specificate, che la vita del maggiore indagato delle inchieste sulle cricche era seriamente in pericolo. ...continua a leggere "Volevano uccidere Anemone?"

Totò RiinaOgni stagione, a Palermo, ha i suoi corvi e i suoi misteri. E anche stavolta, come in un gioco di specchi, più o meno come all’epoca delle stragi di mafia, si è di nuovo materializzato, tra le stanze del palazzo di giustizia di Piazza Vittorio Emanuele Orlando, un corvo. Dodici pagine, 24 paragrafi scritti al computer, con lo “stellone” della Repubblica italiana in cima al primo foglio. A prima vista, quella recapitata a fine settembre nell’abitazione del sostituto procuratore Nino Di Matteo, sembra una velina in pieno stile dei Servizi. Perché i suoi contenuti – degni di approfondimento secondo la procura di Caltanissetta che sta compiendo «cauti accertamenti» su quella dozzina di cartelle – fanno tornare in mente le perverse azioni di depistaggio che per anni, durante lo stragismo, hanno distinto la cosiddetta ala deviata della nostra intelligence e condizionato decine di inchieste giudiziarie.
LA LETTERA ANONIMA - Il linguaggio, lo stile, i dettagli minuziosamente riferiti, dicono che quell’ambiguo interlocutore ha voglia di vuotare il sacco, di collaborare, o forse no, solo di depistare e distrarre gli inquirenti che indagano, ancora oggi, sulle stragi del ’92 e sulla trattativa tra lo Stato e Cosa nostra. Giù a Palermo dicono che dietro quelle carte, che contengono almeno una decina di spunti investigativi «percorribili», ci sia la mano di un ex carabiniere, che cita tanti suoi colleghi, o comunque di un uomo dello Stato, ben informato e ben introdotto negli ambienti degli apparati di sicurezza e della polizia giudiziaria siciliana. Potrebbe essere anche un ex infiltrato, cioè qualcuno che ha operato nell’ombra al soldo dell’intelligence, che conosce notizie e azzarda analisi, non alla portata di tutti. È lui stesso ad affermare che ciò che scrive è frutto della sua esperienza, cioè di quello a cui in alcuni casi ha anche assistito. C’è, perciò, una sostanziale differenza tra il “corvo” del ’92 e l’odierno anonimo che ha titolato il suo dossier Protocollo fantasma: perché il primo nei suoi scritti, alcuni dei quali recapitati su carta intestata della Criminalpol, puntava a demolire l’antimafia e i suoi simboli siciliani (Ayala, Falcone, De Gennaro) e non a condurla verso nuove verità, tutte da verificare. ...continua a leggere "C’è un corvo anche a Palermo"

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Neanche la penna di Joseph Conrad, l’autore del celebre romanzo L’agente segreto, avrebbe potuto partorire una storia così. Eppure, a leggerla con gli occhi di un qualunque complottista – e in Italia ce ne sono davvero tanti – il ritorno in auge dell’eterno sospetto, che dietro il pool di Milano e l’inchiesta mani pulite ci fosse la manina dell’intelligence americana, ancora oggi annovera autorevoli sostenitori. «Una storia – commenta a Il Punto l’allora capo del pool di Milano, Francesco Saverio Borrelli – che è frutto di un’immaginazione un po’ sfrenata». Perciò nulla da invidiare alle pagine e allo stile di Conrad. E gli ingredienti, manco a dirlo, ci sono tutti: un politico, Bettino Craxi, che se la intende con il Medio Oriente; una potenza straniera, gli Stati Uniti d’America, che non vede di buon occhio tanta libertà nel Mediterraneo; e, infine, l’incidente diplomatico che fa traboccare il vaso, il braccio di ferro di Sigonella dopo il dirottamento della nave Achille Lauro (1985). Un precedente non di poco conto, che avrebbe verosimilmente «armato» la diplomazia Usa, spingendola a intromettersi nella vita pubblica italiana. Come? Infiltrandosi tra i magistrati che indagando sulla politica (il Psi e Bettino Craxi in primis) stavano cambiando il corso della storia. ...continua a leggere "Mani pulite non è un romanzo"