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Il presidente Francesco Cossiga, grande conoscitore del mondo dell'intelligence, amava ripetere che vi sono delle verità che è meglio che in certi momenti non si sappiano. Si riferiva ai segreti di Stato e ai tanti omissis di cui la storia repubblicana è lastricata. Muri di gomma contro cui si scontrano, cercando la verità nei meandri degli archivi governativi, magistrati, studiosi e giornalisti. Cambiano le leggi e gli interlocutori, ma i segreti - quelli veri - restano al loro posto con un timbro indelebile che li classifica. E' l'altra faccia della storia del nostro Paese: quella non ancora scritta, quella che in certi momenti è meglio che non si sappia. La verità sul sequestro dell'onorevole Aldo Moro, la morte di Enrico Mattei, il ruolo della P2 e dei servizi deviati nella strage di Piazza Fontana, in quella di Bologna e in quella di Ustica, fino ai giorni nostri, passando per la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, il sequestro dell'Imam egiziano Abu Omar e lo scandalo Telecom-Sismi. Segreto di Stato. Oltre non si può andare. Sono tutti obbligati a fermarsi, chi indaga e chi scrive.
E' il muro che si è trovato di fronte anche Claudio Gatti, inviato speciale del Sole 24 Ore, che ha provato a bussare alla porta degli archivi dei Servizi credendo che dopo 30 anni qualcuno gli avrebbe dato l'opportunità di fare il suo lavoro, cioè cercare la verità e possibilmente raccontarla. Come spiega lui stesso, in un pezzo pubblicato lo scorso 12 luglio, ha trascorso gli ultimi tre anni "facendo richieste e avendo incontri con la controparte negli apparati dello Stato per definire insieme l'istruttoria dell'istanza di accesso agli atti". Lo ha fatto avvalendosi di una legge dello Stato, la 124 del 2007, con cui sono stati riformati gli apparati di sicurezza, in particolare l'articolo 39 (comma 7 e 8 ) che regola la "disciplina del segreto". ...continua a leggere "Segreti duri a morire"

Una pioggia di missili Tomahawk si è abbattuta su Tripoli aprendo un nuovo conflitto a due passi dalle nostre coste e di colpo, guardando quelle immagini, il nastro della storia sembra riavvolgersi velocemente. E se domani Gheddafi tornasse al potere? Un’ipotesi remota che aprirebbe (anche in casa nostra) una sanguinosa caccia ai dissidenti - senza confini né regole - a cui abbiamo già assistito molto tempo fa.
Dentro lo scatolone di sabbia, dove un popolo oppresso da quarantadue anni attende la caduta del suo Rais, tutto torna a mostrarsi come trent’anni fa. Era il 1980 e Gheddafi si era già attaccato sulle spalline i gradi da colonnello. Era già lo stravagante dittatore beduino che nel tempo abbiamo imparato a conoscere e lo spregiudicato tiranno dalle sette vite con cui, oggi come allora, abbiamo sempre fatto buoni affari. Nel 1980, quando la Francia di Giscard d'Estaing gli tese un agguato nel cielo di Ustica (che costò all’Italia l’abbattimento del Dc9 Itavia), il suo regime era già in piedi da undici anni, e lui, il Muammar, era già un nostro partner commerciale da servire e riverire. E il 1980 è anche l’anno in cui la dissidenza libica in Europa, ma in particolare in Italia, subisce colpi durissimi da parte del regime gheddafiano.
La caccia al dissidente inizia tra marzo e aprile. Il 27 aprile è lo stesso Gheddafi, nel corso di una cerimonia presso l’Accademia Militare di Tripoli, a lanciare un ultimatum per il rimpatrio dei fuoriusciti: “tornate in Libia o vi uccidiamo tutti”. La data ultima per il rientro in Patria di tutti i dissidenti residenti all’estero è l’11 giugno 1980, giorno del decimo anniversario della cacciata degli americani dalla base libica di Wheelus Field. “Chi non torna sarà giustiziato”, afferma il 3 maggio, nel corso di una conferenza stampa tenuta a Roma, un membro del Comitato Popolare della Rappresentanza libica. A fine maggio il capo dell’Ufficio Popolare libico per le rappresentanze diplomatiche estere, Ahmed Shahati, convoca gli ambasciatori della Comunità europea accreditati a Tripoli e formalizza la richiesta del suo Governo: “ogni oppositore dovrà essere consegnato, in caso di rifiuto ci saranno pesanti ritorsioni”. E’ solo una formalità, perché Tripoli da almeno due mesi ha già sguinzagliato in mezza Europa decine di emissari del suo spietato Servizio di sicurezza. La loro missione è mostruosamente chiara: convincere i dissidenti a rientrare in Libia o, in caso di rifiuto, eliminarli fisicamente. E’ l’inizio di una guerra tra spie e oppositori.  ...continua a leggere "Muammar Gheddafi: very strong measures"

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Velletri (Roma), 12 settembre 1990, ore 17. L’estate non sembra ancora voler fare le valigie per lasciare il posto all’autunno che comincia timidamente a far arrossire le chiome degli alberi. Quattro uomini, che indugiano sotto il balcone del civico ventotto della Contrada Colle dei Marmi, sembrano voler rubare al giorno le ultime forze prima del tramonto fino a quando un rombo lontano desta la loro attenzione. Una giornata qualunque invece per l’uomo che si appresta a tornare a casa sulla sua Volkswagen bianca che sta per svoltare l’angolo. Nell’aria immobile rimangono solo i quattro uomini che si schierano pronti a imprimersi in maniera indelebile in quella giornata mai andata a dormire, rimasta nella memoria collettiva.
L’uomo scende dall’auto immerso nei suoi pensieri, forse la moglie, o il figlio Daniele, che a soli quattro anni riesce a sciogliere un iceberg con i suoi occhioni teneri, Erika, la maggiore, curiosa come chi, a sei anni, si appresta a scoprire il mondo. Ma chissà, poi, se ha realmente il tempo di pensare un uomo nell’istante che separa un'azione tanto comune da un’aggressione, nel momento in cui viene picchiato, incappucciato e narcotizzato da quattro uomini che decidono del suo destino.
Se fosse una fiction, se questa storia la dovessimo raccontare per la tv, la prima scena, quella di apertura, la scriveremmo esattamente così: Davide Cervia si trova d’un tratto al centro di una scena di paura improvvisa nella via tranquilla di una giornata qualunque. Le sue urla chiedono aiuto oltre le mura, la via, oltre il silenzio che avvolgerà tutto. Perché è plausibile pensare che nella realtà le cose siano andate proprio in questo modo. Perché se Davide Cervia fosse il protagonista di questa fiction sarebbe scomparso così. Questa è la ricostruzione di un’azione che assomiglia tanto a una extraordinary rendition, una consegna straordinaria, un sequestro di persona, come quelli compiuti dalla Cia in giro per il mondo nel nome della lotta al terrorismo. ...continua a leggere "Storie maledette. Il caso Cervia"

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«Sono il dottor Bruno Contrada, ex dirigente generale della Polizia di Stato, nato a Napoli il 2 settembre 1931, domiciliato in Palermo, in atto in detenzione domiciliare per espiazione pena, a seguito della nota sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Palermo, perché condannato per concorso esterno in associazione mafiosa (arrestato il 24 dicembre 1992, condanna divenuta definitiva il 10 maggio 2007)».
Bruno Contrada non può parlare con i giornalisti, né rispondere al telefono e nella sua casa di Palermo, dove per ragioni di salute sta scontando dal 2008 la condanna a 10 anni di reclusione, non può ricevere visite se non quelle del suo avvocato. Ma una settimana fa ha deciso di rompere il silenzio, che durava da anni, presentando un esposto contro il procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Antonio Ingroia. L’ex dirigente della Polizia di Stato, ed ex numero tre del Sisde in Sicilia negli anni delle stragi di mafia, punta il dito contro le pagine del libro “Nel labirinto degli dei: storie di mafia e di antimafia” scritto dallo stesso magistrato palermitano e dato alle stampa nel novembre scorso da “il Saggiatore”.
Contrada contesta un passaggio che lo riguarda direttamente, quello dove il pm Ingroia ricorda l’interrogatorio, da lui condotto, del collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino, il falso pentito “chiave” nei processi sulla strage di Via D’Amelio, condannato in via definitiva a 18 anni dopo essersi autoaccusato di aver procurato la Fiat 126 che fu imbottita di tritolo per uccidere Paolo Borsellino e i cinque uomini della sua scorta. In quell’interrogatorio, narrato a partire da pagina 81, è proprio Scarantino a tirare in ballo Contrada. ...continua a leggere "Contrada vs Ingroia"