Vai al contenuto

sicurezzaGli ultimi attentati e il crescendo di paura dagli Stati Uniti alla Cina richiedono uno sforzo sempre maggiore sul fronte della prevenzione. Il Giubileo, iniziato l’8 dicembre a Roma, mette alla prova i sistemi di sicurezza italiani, dalle forze dell’ordine all’intelligence. E il 17 dicembre sono arrivate anche le minacce - con una lettera scritta in arabo recapitata al dicastero - al ministro della Giustizia Andrea Orlando.
Forse è arrivato il momento anche di creare una struttura investigativa ad hoc che si occupi di anti-terrorismo. Una super procura esiste: è nata ampliando i poteri della Direzione nazionale antimafia (Dna) guidata da Franco Roberti, che da febbraio 2015 ha ricevuto, con un decreto legge, anche le competenze aggiuntive in materia di coordinamento del contrasto al terrorismo, estese anche a tutte le Direzioni distrettuali antimafia (Dda). Ma manca un braccio operativo.
Attualmente le competenze in materia di anti-terrorismo già ci sono, però sono frammentate tra vari reparti investigativi. Il Ros dell’Arma dei carabinieri e lo Sco della polizia di Stato sono le due élite in prima fila nelle indagini contro il terrorismo, insieme alle Digos, alle divisioni della vecchia polizia politica attive in tutte le questure e ai nuclei informativi dell’Arma presenti in tutti i comandi territoriali. Poi ci sono le due agenzie di intelligence, Aise e Aisi, coordinate dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), che si occupano di analisi e prevenzione delle minacce.
La ricetta giusta secondo l’ex investigatore Michele Giuttari - già capo della squadra mobile di Firenze, per anni in prima linea contro la mafia e poi a capo del Gruppo investigativo delitti seriali che lo vide indagare anche sui crimini del Mostro Pietro Pacciani - è creare una nuova struttura interforze. ...continua a leggere "Anti-terrorismo, l’Italia studia una super intelligence"

Aldo MoroLa Commissione Moro avvierà un approfondimento sul ruolo della scuola francese di lingue Hyperion, ambiguo crocevia di misteri e coincidenze che, a 37 anni da quei fatti, secondo i parlamentari che indagano sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, meritano di essere chiariti una volta per tutte.
A cominciare, ad esempio, dallo straordinario interesse per le lingue e le traduzioni di alcuni brigatisti fuoriusciti dall'Italia. Ad annunciarlo è stato Federico Fornaro, segretario Pd della commissione Moro, a margine delle ultime audizioni davanti all'organismo parlamentare del magistrato Pietro Calogero e di Duccio Berio, che di Hyperion fu uno dei fondatori.
«Da una attenta lettura degli atti», ha dichiarato Fornaro all’Ansa, «emergono, infatti, coincidenze che meritano di essere chiarite». Fornaro si riferisce, in particolare, al ruolo dei tre fondatori della scuola, Corrado Simioni, lo stesso Berio e Vanni Mulinaris, ma anche di Franco Troiano, un impiegato alla Siemens e tra i leader, insieme al leader delle Brigate Rosse Renato Curcio, del Collettivo proletario metropolitano, di Sinistra proletaria e del cosiddetto Superclan guidato da Simioni.
Troiano fonderà anche la società Eurologos, un'azienda specializzata in traduzioni, ancora oggi sotto la sua guida e operativa in quattro continenti. ...continua a leggere "Scuola Hyperion, gli intrecci con il caso Moro"

intercettazioniNell’agenda del governo, nelle pieghe di un provvedimento da adottare sull’onda dell’emergenza terrorismo, potrebbe rispuntare l’impiego del cosiddetto “trojan di Stato”. La pratica, molto invasiva, di remote computer searches che consentirebbe all’intelligence di sorvegliare le comunicazioni elettroniche “perquisendo” a distanza ogni tipo di dispositivo connesso alle rete.
A marzo era stato il deputato di Scelta Civica, Stefano Quintarelli, ad accorgersi che nel decreto legge antiterrorismo, approvato in Senato due settimane dopo, era spuntata una norma molto pericolosa che legalizzava l'utilizzo di software, chiamati captatori occulti, in grado di introdursi in computer, smartphone e tablet e di acquisire, da remoto, dati sensibili di ogni tipo.
Quintarelli, prima che la norma fosse ritirata, l’aveva definita «una delle operazioni più invasive che lo Stato possa fare», perché il remote computer searches non è una semplice intercettazione, come quelle telefoniche o ambientali, bensì una vera e propria «ispezione, una perquisizione, un'intercettazione e un'acquisizione occulta di dati personali».
Qualcosa di molto simile ai software spia commercializzati da Hacking Team, la società milanese finita nella bufera a luglio dopo l’attacco hacker che ha svelato le potenzialità del suo sistema Galileo venduto in tutto il mondo.
Non tutti sono contrari all’utilizzo dei “trojan di Stato”, in primis i servizi segreti, che da tempo sollecitano di mettersi al passo con i tempi e con le altre intelligence straniere che utilizzano abitualmente sistemi molto invasivi per “rastrellare” stock di metadati, cioè l’insieme di informazioni che identificano chi c’è dietro un computer o uno smartphone, cosa sta comunicando e dove si trova. ...continua a leggere "Terrorismo, il dibattito sull’uso del trojan di Stato"

intercettazioniGli italiani si abituino ai problemi di connessione, ai frequenti black out delle reti, ai social network e alle app per messaggistica temporaneamente inaccessibili e alle difficoltà di effettuare chiamate, anche se lo smartphone dice che c’è abbastanza campo. Saranno questi i “disservizi” più frequenti a cui assisteremo nei prossimi mesi, in particolare nelle grandi città. È il prezzo che, con ogni probabilità, sarà necessario pagare per difenderci dalla minaccia terroristica, anche se l’efficacia della sorveglianza di massa è tutta da dimostrare, come abbiamo imparato dall’11 settembre 2001 in poi.
Poco male per 9 italiani su 10 che, secondo un sondaggio Demos per il quotidiano La Repubblica, si dicono favorevoli a un aumento della sorveglianza di strade e luoghi pubblici attraverso le telecamere, e la metà di essi (il 46%) vorrebbe rendere più facile alle autorità anche il controllo sulle comunicazioni elettroniche, dalle e-mail alle telefonate.
Tuttavia il tema è delicato, c’è in ballo la privacy e la libertà di tutti coloro che non hanno nulla a che fare con il jihad. Il Giubileo impone uno straordinario sforzo per gli apparati della sicurezza nazionale, che comprende un uso intensivo delle tecnologie di sorveglianza di massa nei confronti di precisi target, ma anche del resto dei cittadini che ogni giorno utilizzano il cellulare o il computer per comunicare. ...continua a leggere "Sorveglianza di massa: limiti e controversie"