La bagarre sul nome di Marco Carrai, che negli ambienti della sicurezza informatica e dell’intelligence non è considerato uno qualunque, sta rischiando di far passare in secondo piano il valore del progetto che ha in mente il governo Renzi. L’Italia, infatti, è uno dei pochi paesi occidentali che non ha ancora scelto di mettersi al passo con i tempi in materia di sicurezza del cyberspazio. Lo sta facendo negli ultimi anni, con grande ritardo ed esponendosi a continui richiami anche da parte dell’Ue, ponendo le basi normative e adeguando i suoi apparati di sicurezza, ma non ha ancora creato un’agenzia per la cybersecurity.
E’ scontato ripetere quanto la difesa del cyberspazio sia una priorità strategica per la sicurezza nazionale, un aspetto che coinvolge tutto il Paese, le infrastrutture sensibili, le aziende e i cittadini. Non a caso le grandi intelligence, sia governative che private, stanno potenziando questo settore e la propria capacità di difesa dei confini “virtuali”, schierando sul campo super esperti di informatica al posto della fanteria e avviando partnership con le grandi aziende e le università. Le organizzazioni criminali e terroristiche non sono da meno e possono contare su enormi risorse finanziarie e know-how adeguato.
Il cyberspazio, perciò, è un vero e proprio campo di battaglia. Secondo il rapporto Clusit 2015, gli attacchi informatici causano alle sole aziende italiane danni per 9 miliardi di euro l’anno. E si pensi a quali rischi è esposta la rete, in ogni momento, e a quale scenario potremmo assistere nel caso in cui un’organizzazione terroristica attaccasse le principali infrastrutture informatiche del nostro Paese. ...continua a leggere "La difesa del cyberspazio è fondamentale per la sicurezza del Paese"
Categoria: Intelligence
Sequestro Moro, i sospetti sui servizi in otto punti
Sono molti i fronti e gli spunti investigati, legati al possibile ruolo giocato dai servizi segreti nel caso Moro, nella lunga relazione di metà mandato presentata recentemente dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’assassinio dell’ex presidente della Dc. In più punti del voluminoso documento i membri dell’organismo presieduto da Giuseppe Fioroni, dopo un anno di audizioni e consulenze, tornano a sottolineare numerose ambiguità e misteri che da sempre incrociano la strada dell’affaire Moro. Strane presenze, auto sospette e luoghi che avrebbero un significato diverso rispetto a quanto finora scritto. Tutti elementi su cui, a parere dei parlamentari, anche la magistratura potrebbe tornare a indagare, provando così a riscrivere un pezzo di storia.
1. Le carte straniere top secret: per analizzarle serve il consenso dei servizi. Segreto e servizi segreti sono alcune delle parole che più si ripetono nella relazione, a partire dalle informazioni provenienti dalle intelligence straniere di cui la Commissione vorrebbe entrare in possesso. Un patrimonio di informazioni particolarmente consistente e tuttora inesplorato che, tuttavia, per essere consultato e analizzato, richiede una complessa procedura di declassifica e il consenso, non scontato, dei servizi di sicurezza che hanno redatto i singoli atti.
Dentro le veline degli 007 americani, francesi e inglesi, ma anche russi e israeliani, potrebbero esserci elementi inediti e forse anche decisivi per arrivare alla verità su uno dei misteri più longevi della storia repubblicana.
2. Il colonnello Guglielmi: l'addestratore di Gladio nei pressi di via Fani. Nel corso delle audizioni sono emersi riferimenti sulla presenza del colonnello Camillo Guglielmi, soprannominato “Papà”, nei pressi di via Fani in un orario prossimo a quello della strage. La presenza dell’ufficiale, in forza al Sismi, il servizio segreto militare, ufficialmente in epoca immediatamente successiva al sequestro di Aldo Moro, è posta in relazione anche rispetto al ruolo di una motocicletta Honda avvistata da diversi testimoni oculari nel luogo dell’agguato. ...continua a leggere "Sequestro Moro, i sospetti sui servizi in otto punti"
Anti-terrorismo, l’Italia studia una super intelligence
Gli ultimi attentati e il crescendo di paura dagli Stati Uniti alla Cina richiedono uno sforzo sempre maggiore sul fronte della prevenzione. Il Giubileo, iniziato l’8 dicembre a Roma, mette alla prova i sistemi di sicurezza italiani, dalle forze dell’ordine all’intelligence. E il 17 dicembre sono arrivate anche le minacce - con una lettera scritta in arabo recapitata al dicastero - al ministro della Giustizia Andrea Orlando.
Forse è arrivato il momento anche di creare una struttura investigativa ad hoc che si occupi di anti-terrorismo. Una super procura esiste: è nata ampliando i poteri della Direzione nazionale antimafia (Dna) guidata da Franco Roberti, che da febbraio 2015 ha ricevuto, con un decreto legge, anche le competenze aggiuntive in materia di coordinamento del contrasto al terrorismo, estese anche a tutte le Direzioni distrettuali antimafia (Dda). Ma manca un braccio operativo.
Attualmente le competenze in materia di anti-terrorismo già ci sono, però sono frammentate tra vari reparti investigativi. Il Ros dell’Arma dei carabinieri e lo Sco della polizia di Stato sono le due élite in prima fila nelle indagini contro il terrorismo, insieme alle Digos, alle divisioni della vecchia polizia politica attive in tutte le questure e ai nuclei informativi dell’Arma presenti in tutti i comandi territoriali. Poi ci sono le due agenzie di intelligence, Aise e Aisi, coordinate dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), che si occupano di analisi e prevenzione delle minacce.
La ricetta giusta secondo l’ex investigatore Michele Giuttari - già capo della squadra mobile di Firenze, per anni in prima linea contro la mafia e poi a capo del Gruppo investigativo delitti seriali che lo vide indagare anche sui crimini del Mostro Pietro Pacciani - è creare una nuova struttura interforze. ...continua a leggere "Anti-terrorismo, l’Italia studia una super intelligence"
Scuola Hyperion, gli intrecci con il caso Moro
La Commissione Moro avvierà un approfondimento sul ruolo della scuola francese di lingue Hyperion, ambiguo crocevia di misteri e coincidenze che, a 37 anni da quei fatti, secondo i parlamentari che indagano sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, meritano di essere chiariti una volta per tutte.
A cominciare, ad esempio, dallo straordinario interesse per le lingue e le traduzioni di alcuni brigatisti fuoriusciti dall'Italia. Ad annunciarlo è stato Federico Fornaro, segretario Pd della commissione Moro, a margine delle ultime audizioni davanti all'organismo parlamentare del magistrato Pietro Calogero e di Duccio Berio, che di Hyperion fu uno dei fondatori.
«Da una attenta lettura degli atti», ha dichiarato Fornaro all’Ansa, «emergono, infatti, coincidenze che meritano di essere chiarite». Fornaro si riferisce, in particolare, al ruolo dei tre fondatori della scuola, Corrado Simioni, lo stesso Berio e Vanni Mulinaris, ma anche di Franco Troiano, un impiegato alla Siemens e tra i leader, insieme al leader delle Brigate Rosse Renato Curcio, del Collettivo proletario metropolitano, di Sinistra proletaria e del cosiddetto Superclan guidato da Simioni.
Troiano fonderà anche la società Eurologos, un'azienda specializzata in traduzioni, ancora oggi sotto la sua guida e operativa in quattro continenti. ...continua a leggere "Scuola Hyperion, gli intrecci con il caso Moro"