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Steve PieczenikSul conto di Steve Pieczenik, lo psichiatra, ex funzionario del Dipartimento di Stato Usa e superconsulente del Governo italiano ai tempi del sequestro di Aldo Moro, vi sono «gravi indizi circa un suo concorso nell’omicidio» dello statista democristiano. E’ quanto sostiene il procuratore generale di Roma, Luigi Ciampoli (nella foto), nella richiesta di archiviazione, inoltrata ieri al gip del tribunale di Roma, dell’inchiesta sulle rivelazioni dell’ex ispettore di polizia Enrico Rossi che aveva ipotizzato la presenza di agenti dei Servizi, a bordo di una moto Honda, in via Fani.
Il pg ha disposto la trasmissione della voluminosa richiesta di archiviazione al procuratore della Repubblica di Roma «perché proceda nei confronti di Pieczenik in ordine al reato di concorso nell’omicidio di Aldo Moro, commesso in Roma il 9 maggio 1978». La controversa figura dell’esperto statunitense, che fu chiamato dall’allora ministro dell’Interno, Francesco Cossiga, a far parte del comitato di crisi istituto poche ore dopo il sequestro di Moro, è da tempo, e da molti, considerata “centrale” nella vicenda del sequestro e dell’omicidio del presidente della Dc.
Nella richiesta la procura generale sottolinea che nei confronti del superconsulente, che nei mesi scorsi era ricomparso sulla stampa americana tornando a parlare del caso Moro, «sono emersi indizi gravi circa un suo concorso nell’omicidio, fatto apparire, per atti concludenti, integranti ipotesi di istigazione, lo sbocco necessario e ineludibile, per le Brigate Rosse, dell’operazione militare attuata in via Fani, il 16 marzo 1978, ovvero, comunque, di rafforzamento del proposito criminoso, se già maturato dalle stesse Br».
«Abbiamo trovato del materiale interessante nell’analisi dell’intervista all’esperto americano realizzata da Minoli anni fa. Abbiamo visionato l’intero girato grezzo della intervista», ha spiegato Ciampoli parlando davanti alla Commissione Moro. Noi «abbiamo registrato una autoreferenzialità quasi schizofrenica da parte di questo soggetto che rivendica in maniera diretta di aver determinato l’uccisione di Aldo Moro. La strategia era quella di mettere alle strette le Br che avrebbero ucciso il Presidente quando si erano ormai piegate alla esigenza di liberarlo. Un omicidio indotto».
Nella richiesta di archiviazione vi è traccia anche del ruolo giocato nel sequestro Moro dal colonnello del Sismi, Camillo Gugliemi, presente in via Fani la mattina del 16 marzo 1978 , nei confronti del quale secondo il pg «potrebbe ipotizzarsi» il concorso nel rapimento e nell’omicidio degli uomini della scorta, ma nei suoi confronti non si può promuovere l’azione penale perché è morto. Le indagini compiute dalla procura generale confermano che Guglielmi era «presente in via Fani alle ore 9 antimeridiane» o comunque «pochi minuti dopo il fatto». L’agente del Sismi, durante il processo Moro in Corte d’assise, giustificò la sua presenza lì, a quell’ora, «asserendo di doversi recare a pranzo da un collega, che abitava nelle vicinanze». Versione che il pg definisce «risibile» e che è stata smentita anche dall’amico in questione. Dunque allo stato dei fatti, anche secondo il pg Ciampoli, «restano misteriose le ragioni della presenza di Camillo Guglielmi in via Fani».
In merito alla presenza di una moto Honda nel luogo dell’agguato, Ciampoli ha detto alla Commissione Moro che «bisogna prendere atto che in via Fani, con la moto, non c’erano solo le Br. Questi hanno successivamente sminuito queste presenze non conosciute all’epoca. Oggi sappiamo che su quel palcoscenico c’erano, oltre alle Br, agenti dei servizi segreti stranieri, interessati a destabilizzare l’Italia». «Sicuramente su quella moto non c’erano – ha spiegato il procuratore generale – né “Peppo” né “Peppa”, i due autonomi, che invece sono presenti in altri episodi. Questo è un dato sicuro. Il problema della moto non inquadrata nelle forze Br rimane».
L’indagine della Procura generale di Roma, «meticolosa e approfondita», tuttavia, non ha permesso di identificare chi fosse i due uomini in sella alla Honda e perciò deve essere archiviata perché «non c’è certezza alcuna sull’identità dei due personaggi» che, secondo quanto riferì all’Ansa l’ex ispettore di polizia Enrico Rossi, potevano essere legati ai servizi segreti. «Premesso che il quadro degli accertamenti acquisito dalla Procura di Roma non era dei più incoraggianti – ha aggiunto Ciampoli -, abbiamo accertato che sulla moto non c’era neanche Antonio Fissore (il fotografo, deceduto nel 2012, che una lettera anonima inviata al quotidiano La Stampa indicava come uno degli 007 presenti in via Fani alle dipendenze del colonnello Guglielmi, ndr). Fissore – ha spiegato il pg – risultava in volo dall’aeroporto da Levaldigi a Varese con rientro a Levaldigi alle 17.15 dello stesso giorno. Quanto allo stesso Guglielmi – ha concluso Ciampoli – abbiamo verificato che non gestiva alcun comando».
«L’audizione con il procuratore generale di Roma, Luigi Ciampoli, e con il sostituto procuratore generale preso la Corte d’Appello di Roma, Otello Lupacchini, che riprenderà domani alle 16,30, è stata di grande interesse ed ha messo in evidenza elementi cruciali del caso Moro: cioè la presenza di presenze esterne alle Br in via Fani e il ruolo dell’agente Usa Steve Pieczenik. Mi pare che più che archiviare, qui c’è da aprire nuovi dossier». Ha commentato il vicepresidente dei deputati del Pd, Gero Grassi. «C’è molto materiale su cui lavorare per scavare e cercare nuove verità. E’ certo – ha aggiunto l’esponente democratico – che, a tanti anni di distanza, le richieste di archiviazione in sede giudiziaria non vanno confuse con l’assoluzione in sede politica, dove non si valutano le responsabilità individuali ma, appunto, quelle generali, politiche. I procuratori hanno infatti spiegato a chiare lettere che non hanno potuto raccogliere elementi sufficienti per poter dare seguito alle denunce dell’ispettore Enrico Rossi perché sono intervenuti dopo una inerzia di due anni. Dunque, la nostra attenzione verso quanto ha dichiarato Rossi resta alta».

di Fabrizio Colarieti

Aldo MoroIl deputato del Pd Paolo Bolognesi vuole vederci chiaro in merito alla vicenda che ha visto negare all’ex pm Giuliano Turone l’accesso ad alcuni documenti relativi al caso Moro che il magistrato aveva chiesto di consultare presso l’Archivio della Senato. Richiesta respinta con la motivazione che l’Aisi, l’agenzia di intelligence che ha preso il posto del Sisde, per due dei cinque documenti richiesti da Turone “ha stabilito la proroga della classifica (del segreto, ndr) fino al 2019″.
Bolognesi, che rendendo nota la vicenda aveva affermato che la scelta dell’Aisi «tradisce la volontà politica di trasparenza rappresentata dalla recente direttiva del Governo», ha chiesto un incontro al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, insieme ai rappresentanti della Rete degli Archivi per non dimenticare. Negando l’accesso ai documenti all’ex pm Turone, ha aggiunto Bolognesi, «è evidente che in questo modo sarà molto difficile la battaglia di verità che insieme a molte Associazioni stiamo conducendo da anni».
«Vogliamo approfondire con il presidente Renzi – ha dichiarato l’esponente democratico -, sensibile come è noto alla questione della liberalizzazione degli atti relativi alle stragi del nostro Paese, alcune criticità relative all’attuazione da parte degli enti interessati della sua stessa direttiva del 22 aprile scorso che ha previsto la declassificazione e il versamento all’Archivio centrale dello Stato dei documenti relativi alle stragi (1969-1984)».
Sempre sul Moro, il vicepresidente dei deputati del Partito Democratico, Gero Grassi, tra i promotori della Commissione parlamentare d’inchiesta che dovrà indagare sul sequestro e l’assassinio dello statista democristiano, è intervenuto con un’interrogazione per chiedere a Renzi «che tempi siano previsti per la conclusione del processo di liberalizzazione di molti documenti che riguardano le stragi nel nostro Paese ed anche il caso Moro».
Grassi spiega che «il processo avviato è molto complesso mentre, nel frattempo, ricercatori e studiosi continuano a vedersi spesso negato l’accesso agli atti perché gli enti che li hanno emessi non provvedono alla loro declassifica, una decisione, è bene ricordarlo, che può essere presa solo dagli enti stessi. Per quanto riguarda il caso Moro circa il 30% dei documenti conservati dall’Archivio storico del Senato è classificato, circostanza che impedisce a questo archivio, come è noto autorevole luogo di raccolta di documenti che riguardano i casi più controversi della nostra storia recente, di poter rispondere positivamente alle richieste dell’utenza».
«Inoltre – continua Grassi – ho sollevato nella mia interrogazione il problema del taglio dei finanziamenti all’Archivio Centrale dello Stato, struttura che conserva la storia del Paese attraverso milioni di documenti. La questione è stata anche sollevata da una recente inchiesta giornalistica e richiede attenzione da parte del governo anche perché è proprio lì che dovrebbero arrivare le centinaia di faldoni legati alle stragi desecretate dal governo Renzi».
«Siamo convinti – ha concluso il vicepresidente dei deputati del Pd – che il nostro Paese ha bisogno della verità ma occorre grande determinazione perché è davvero inaccettabile che alcuni gruppi parlamentari non abbiano ancora indicato ai presidenti di Camera e Senato i loro componenti della nuova Commissione d’inchiesta sul caso Moro: si tratta di uno strisciante tentativo di boicottaggio che ho già denunciato pubblicamente».
Secondo Marco Carra, un altro deputato del Pd impegnato su questo stesso fronte, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro non ha avviato le sue attività non solo a causa di un ritardo burocratico, ma anche per «un’evidente volontà di impedire che la Commissione inizi a lavorare, come il nostro vicepresidente Gero Grassi, tra i promotori di questo organismo, ha più volte denunciato. La gravità della situazione – ha aggiunto – non può essere taciuta, la presidente Boldrini intervenga subito e solleciti i gruppi ritardatari perché il loro ostruzionismo mina la credibilità dell’iniziativa nei confronti dell’opinione pubblica».

di Fabrizio Colarieti

Vasili MitrokhinEra il 28 settembre 1999 e i carabinieri si affrettarono a smentire che nelle campagne di Poggio Moiano (Rieti) fosse stato rinvenuto un deposito di attrezzature militari sovietiche seguendo le indicazioni contenute nei rapporti top secret provenienti dall’archivio Mitrokhin. Quelle carte erano appena arrivate in Italia da Londra, dopo che i Servizi segreti inglesi avevano “esfiltrato” l’anziano archivista del Kgb, Vasili Mitrokhin, insieme al suo sterminato archivio.
La notizia fu smentita dichiarando che in quei giorni due agricoltori, in due zone diverse del Reatino – Poggio Moiano e Montasola -, arando il terreno, si erano imbattuti, come spesso accade, in altrettanti ordigni inesplosi risalenti alla seconda guerra mondiale.
Tuttavia nei giorni successivi alcuni parlamentari, interrogando il ministro della Difesa, rivelarono che i carabinieri del Ros, insieme agli artificieri dell’Arma e su indicazioni di una dettagliata informativa del Sismi, erano intervenuti nelle campagne di Poggio Moiano e avevano dissotterrato, proprio seguendo le indicazioni di Mitrokhin, una cassa in legno contenente alcune ricetrasmittenti russe risalenti alla Guerra Fredda.
Il 7 luglio scorso, quindici anni dopo quel ritrovamento, il Churchill Archives Centre dell’Università di Cambridge, declassificando una parte consistente dell’archivio Mitrokhin, che finora era rimasta segreta, ha diffuso una mappa della provincia di Roma (pubblicata da The Independent) in cui sono segnati tre depositi russi identificati coi nomi in codice di “Kollo”, “Fosso” e “Bor”.
“Fosso” è il deposito di Poggio Moiano e cerchiato in rosso c’è il punto, lungo la strada regionale 314, nei pressi di Cerdomare, dove avvenne il ritrovamento. La mappa è l’elemento che mancava alla ricostruzione dei fatti, perché la conferma dell’esistenza del deposito “Fosso” era già contenuta nella parte dell’archivio Mitrokhin (leggi) tradotta e trasmessa dal Ros alla Procura di Roma nell’ottobre del ’99. Il rapporto “impedian” dedicato al deposito di Poggio Moiano è il 237 e recita quanto segue: Il nascondiglio Fosso è stato approntato dalla Residentura del KGB di Roma. Un kit radio ricetrasmittente nr. 624742/2334 è stato occultato nel nascondiglio Fosso. L’operazione è stata condotta il 7 febbraio 1966. La radio trasmittente è stata posta nel nascondiglio della Residentura del KGB di Roma. Il nascondiglio Fosso è posto a 200 m circa dalla biforcazione della vecchia strada Roma-Rieti, andando lungo la strada secondaria verso Poggio Moiano sulla Strada Statale 314. Prima della biforcazione (a 58 km da Roma), il vecchio percorso della strada Roma-Rieti passa sopra un ponte di pietra che attraversa un piccolo corso d’acqua. A circa 800 m dalla biforcazione, una linea elettrica su piloni in calcestruzzo-ferro attraversa la Strada nr. 314 ed un fiumiciattolo passa sotto la strada. 10-15 m prima di un ponticello sul fiumiciattolo, a sinistra della Strada 314 un viottolo di campagna risale una collina, a fianco di una linea elettrica. La radio ricetrasmittente è occultata a 7,5 m dal secondo palo (pilone?) della linea elettrica, lasciando la Strada 314, a circa 0,5 m a sinistra della linea elettrica, guardando il citato palo. Rilevamento bussola del nascondiglio 225¡. Le istruzioni si trovano a 1,10 m (rilevazione bussola 10¡) dalla grossa quercia che si trova a 7 m a sinistra del viottolo, imboccandolo dalla Strada 314. La trasmittente BR-3U matr. 624742/2334 è stata dotata di un dispositivo esplosivo di sicurezza Molniya (lampo). La radio trasmittente ed i ricevitori non sono stati rimossi dal nascondiglio; sono stati depennati dall’inventario del Direttorato S del KGB FCD. Nel novembre del 1974 la Centrale ha deciso di non rimuoverli dal nascondiglio. Il valore della trasmittente era di 3.896 rubli e quello del ricevitore era di 998,50 rubli. Il ricevitore SVIR era valutato 1999,34 rubli. Questo era il costo del solo apparato radio, imballaggio escluso.

di Fabrizio Colarieti per RietiLife.it [link originale]

Vasili MitrokhinA ventidue anni dall'esfiltrazione, da parte del Servizio segreto britannico, dei documenti appartenenti al famoso archivio dell'ex agente del Kgb, Vasili Mitrokhin - descritti dal FBI come "l'intelligence più completa ed estesa mai ricevuta da qualsiasi fonte" -  il Churchill Archives Centre dell’Università di Cambridge ha deciso di aprire per la prima volta al pubblico i suoi archivi.
Dal 1972 al 1984 il maggiore Mitrokhin, anziano archivista dell'intelligence estera russa, ebbe accesso illimitato a migliaia di file riguardanti le operazioni di raccolta di informazioni condotte dalla rete di spie del Kgb in tutto il mondo. Mitrokhin, contrario alla brutale oppressione del regime sovietico, si dedicò a lungo a trascrivere i documenti segreti con l'obiettivo di renderli noti. Nel 1992, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, lui, la sua famiglia e il suo archivio furono esfiltrati dal Secret Intelligence Service del Regno Unito.
«Ci sono solo due posti nel mondo dove troverete materiale come questo. Uno è l'archivio del Kgb - che non è aperto e dove è molto difficile entrare - e l'altro è qui al Churchill College dove è possibile prendere visione dei dattiloscritti di Mitrokhin», ha spiegato il professor Christopher Andrew, l'unico storico, autore di due bestseller sull'archivio Mitrokhin, a cui finora era consentito l'accesso al fondo.
«Mitrokhin ha sognato di rendere pubblico tale materiale dal 1972 fino alla sua morte - ha aggiunto Andrew - e tutto questo sta accadendo nel 2014. Il funzionamento interno del Kgb, le sue operazioni di intelligence all'estero e la politica estera sovietica si collocano all'interno di questa straordinaria collezione. L'archivio dà una visibilità senza precedenti alla portata e alla natura delle attività del Kgb in gran parte della Guerra Fredda».
In conformità con il contratto di deposito, il Churchill Archives Centre sta aprendo le versioni in lingua russa dell'archivio. Tra le 19 scatole e le migliaia di pubblicazioni ci sono note del Kgb riguardanti Papa Giovanni Paolo II, le cui attività in Polonia erano attentamente monitorate prima della sua elezione al papato. Ma anche mappe e dettagli dei segreti russi, riferimenti sui nascondigli di armi e ricetrasmettenti in tutta l'Europa occidentale, Italia compresa, e negli Stati Uniti, e file su Melita Norwood, "La spia che venne dalla Co-op".
Norwood, nome in codice Hola, era il più longevo agente britannico del Kgb, che per quattro decenni passò all'intelligence sovietica informazioni classificate sulla ricerca scientifica nucleare dal suo ufficio di Londra del British Non Ferrous Metals Research Association in Euston.
Fra i documenti riemersi dall'archivio Mitrokhin, c'è anche una mappa di Roma e della sua periferia, in cui sono segnati quelli che appaiono come tre depositi di armi attorno alla capitale. Sono identificati coi nomi in codice di KolloFosso e Bor. Secondo Andrew, questi e altri nascondigli vennero creati nel corso della Guerra Fredda nell'ambito di un'operazione su vasta scala che copriva la maggior parte dei Paesi della Nato. «Dopo tutto questo tempo è probabile che le armi non siano più utilizzabili», ha aggiunto lo storico.
L'archivista scomparso nel 2004 nei suoi appunti parla anche di un deposito di armi a Berna in Svizzera, localizzato in campagna, vicino a una cappella. Un'altra nota spiega come disinnescare le trappole esplosive collegate alle casse di armi. Dai faldoni emergono anche particolari ironici sulle spie al servizio di Mosca, come il fatto che fossero perennemente ubriache e questo ne limitava molto la capacità operativa.
«I file Mitrokhin variano nel tempo dal periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione bolscevica del 1917 alla vigilia dell'era Gorbaciov», ha spiegato ancora Andrew. «Inizialmente trascriveva le sue note giornaliere su piccoli pezzi di carta nascosti nelle sue scarpe. Dopo pochi mesi, ha cominciato a portarli fuori nelle tasche della giacca e ogni fine settimana li seppelliva nella dacia di famiglia nelle campagne vicino Mosca».
Mitrokhin, nato nel 1922, iniziò a lavorato per l'intelligence russa a partire dal 1948. Dal 1972 al 1982 è stato responsabile del trasferimento degli archivi del Kgb, di cui era capo sezione, dalla Lubjanka, nel centro di Mosca, in un nuovo quartier generale dell'intelligence estera a Yasenevo.
Nel 1984, dopo il suo pensionamento, Mitrokhin ha organizzato in dieci volumi i documenti che aveva trafugato e dopo la sua esfiltrazione a Londra ha continuato a lavorare al suo archivio producendo note, analisi e ulteriore 26 volumi tipizzati.
Allen Packwood, direttore del Churchill Archives Centre, parlando del fondo Mitrokhin, ha dichiarato: «Questa collezione è un meraviglioso esempio del valore degli archivi e della potenza degli archivisti. La posizione di archivista ha permesso a Mitrokhin di avere un accesso senza precedenti ad una vasta panoramica di file del Kgb. E' stato il suo impegno per la conservazione e l'accesso alla verità che lo ha portato a copiare i documenti con enormi rischi. Siamo quindi orgogliosi di ospitare le sue carte e di onorare il suo desiderio di renderle liberamente disponibili per la ricerca».

di Fabrizio Colarieti