Chi è davvero Giovanni Aiello? L'ultimo mistero palermitato è legato al volto sfigurato di un ex agente della polizia di Stato che secondo quattro procure (Palermo, Caltanissetta, Catania e Reggio Calabria) avrebbe a che fare con le pagine più buie della stagione delle stragi. Dall'Addaura, il fallito attentato contro Giovanni Falcone del 1989, agli omicidi di due investigatori scomodi, Antonino Agostino e Emanuele Piazza, ma anche alla storia, orrenda, del piccolo Claudio Domino.
Giù in Sicilia, procure e pentiti, dicono che Giovanni Aiello è "faccia da mostro", "lo sfregiato", "il bruciato". L'ultima a fare il suo nome, e a riconoscerlo durante un confronto all'americana, è stata la figlia, pentita, del boss palermitano dell’Acquansanta, Vincenzo Galatolo, Giovanna. «È lui, non ci sono dubbi. È l’uomo che veniva utilizzato come sicario per affari che dovevano restare molto riservati», ha detto nelle scorse settimane la collaboratrice, mentre Aiello era immobile dall'altra parte di un vetro dentro gli uffici della Dia di Palermo. «Si incontrava sempre in vicolo Pipitone con mio padre, con mio cugino Angelo e con Francesco e Nino Madonia. Tutti i miei parenti lo chiamavano “lo sfregiato”, sapevo che viaggiava sempre tra Palermo e Milano».
Aiello, ha rivelato Repubblica nei mesi scorsi, oggi ha 68 anni, vive da eremita in un capanno in riva al mare a Montauro, in provincia di Catanzaro. Ha i capelli biondi, la parte destra del volto sfigurata da una fucilata rimediata in Sardegna, nel '66, tre anni dopo essersi arruolato in polizia, durante un conflitto a fuoco con i sequestratori della banda di Graziano Mesina. Dopo quell'incidente il trasferimento a Cosenza, poi a Palermo, prima al Commissariato Duomo e poi nelle sezioni antirapine e catturandi della Mobile.
Nel capoluogo siciliano, Aiello, ha lavorato con Bruno Contrada, l'ex capo della Mobile e numero 3 del Sisde condannato per mafia, e prima ancora con il commissario Boris Giuliano, ucciso nel '79. Forse in quello stesso periodo, ma anche dopo, Aiello potrebbe aver collaborato anche con i Servizi segreti. Lui giura che con la mafia non c'entra e che non si reca a Palermo dal '76, l'anno in cui ha lasciato la polizia, ma la circostanza non combacia con la presenza di alcuni biglietti del traghetto per Messina, recenti, trovati dalla Dia nel suo capanno durante una perquisizione. «Tutti quegli omicidi e quelle stragi sono venuti dopo - ha detto ai giornalisti di Repubblica l'ex poliziotto -, mai più stato a Palermo neanche a trovare mio fratello». Nella casa di Montauro gli inquirenti hanno trovato armi, appunti in codice, lettere, assegni e titoli per 600 milioni di vecchie lire, alcuni articoli su Provenzano e le inchieste dell'antimafia. Aiello, ad aprile di quest'anno, ha parlato anche a una troupe di Servizio pubblico ribadendo più o meno lo stesse cose.
Prima di Giovanna Galatolo anche Vito Lo Forte, un altro pentito di mafia, nel 2009, guardando alcune foto, aveva detto che Aiello poteva essere "faccia da mostro", però lo aveva soprannominato in un altro modo. Le sue parole le riportano Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci nel libro Il patto (Chiarelettere): «Li chiamavamo il bruciato e lo zoppo. Uno aveva il viso deturpato, l’altro camminava con un bastone». Lo Forte sostiene di aver visto entrambi «incontrarsi due o tre volte con Gaetano Scotto, il mio capo famiglia». Incontri che sarebbero avvenuti - sempre secondo il pentito - in esercizi pubblici, forse anche nel ristorante di proprietà del boss.
In questa torbida storia combaciano molte cose e intorno a "faccia da mostro" aleggiano vari sospetti e una lunga scia di sangue e di morte. Le parole di Giovanna Galofano confermano, ad esempio, che la presenza della misteriosa figura si intreccia con diversi omicidi attribuiti ai Galofano e ai Madonia. Ma la figlia del boss dell'Acquasanta e Lo Forte non sono gli unici ad aver parlato dello "sfreggiato". Ne parla la “gola profonda” Luigi Ilardo, il mafioso, vice rappresentante provinciale di Caltanissetta, cugino e braccio destro del boss Giuseppe “Piddu” Madonia, che nel ‘95 aveva messo sulle tracce di Bernardo Provenzano i carabinieri, ma un anno dopo gli tapparono per sempre la bocca. Ilardo confidò al colonnello Michele Riccio del Ros che a Palermo c’era un agente segreto con la "faccia da mostro" che frequentava strani ambienti, uno chiacchierato: insomma un uomo dello Stato che stava dalla parte sbagliata, antipatico ai mafiosi solo per via di quella faccia. Il confidente, parlando di lui, disse agli inquirenti: «Di certo questo agente girava imperterrito per Palermo. Stava in posti strani e faceva cose strane».
Il suo nome, anzi il suo soprannome, comincia a saltare fuori nell’89, quando a parlare di lui è una donna che poco prima del ritrovamento di un ordigno vicino la villa di Giovanni Falcone, all’Addaura, lo notò da quelle parti, dentro un’auto, insieme a un altro individuo. La donna se lo ricorda proprio perché il suo volto era inguardabile. Era il 21 giugno 1989, Falcone aveva affittato per il periodo estivo quella villa sulla costa palermitana. Intorno alle 7.30 tre agenti di polizia trovano sugli scogli, a pochi metri dall’abitazione, una muta subacquea, un paio di pinne, una maschera e una borsa sportiva blu contenente una cassetta metallica. Dentro c’è un congegno a elevata potenzialità distruttiva composto da 56 candelotti di dinamite. La bomba non esplode, l’attentato fallisce.
“Faccia da mostro” è legato anche all’omicidio dell’agente di polizia Antonino Agostino e di sua moglie Ida Castellucci, avvenuto il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini. Agostino dava la caccia ai latitanti, pare anche per conto del Sisde, e sembra avesse informazioni sul fallito attentato all’Addaura. Le indagini non hanno mai chiarito, fino in fondo, come sono andate le cose, però sembra che l’agente, poco prima di morire, avesse ricevuto in casa una strana visita, quella di un collega con la faccia deforme. A dirlo è suo padre, Vincenzo, che riferì agli inquirenti che un giorno notò un uomo «con il viso deforme che prendeva o gli dava notizie», vicino l’abitazione del figlio. Per lui, quell’uomo, era l’inguardabile: «Quell’uomo è venuto a casa mia, voleva mio figlio. Quel tizio non è soltanto implicato nei fatti di Capaci e di via D’Amelio, ha fatto la strage in casa mia, quella in cui sono morti – disse ai magistrati il padre di Agostino – mio figlio Nino, mia nuora e mia nipote (Ida Castellucci era incinta di cinque mesi, ndr). Due persone vennero a cercare mio figlio al villino. Accanto al cancello, su una moto, c’era un uomo biondo con la faccia butterata. Per me era "faccia da mostro"».
Un altro pesante sospetto lega “faccia da mostro” a un altro delitto, quello dell’ex agente di polizia Emanuele Piazza. Il suo nome in codice era “topo”, collaborava anche lui con il Sisde, era amico di Nino Agostino, ma non era ancora un effettivo. Figlio di un noto avvocato palermitano, era un infiltrato e dava la caccia ai latitanti quando, il 15 marzo 1990, scompare nel nulla. Molti anni dopo si saprà che fu “prelevato” con un tranello dalla sua abitazione da un ex pugile, vecchio compagno di palestra, portato in uno scantinato di Capaci, ucciso e sciolto nell’acido. Cercava la verità sulla morte del suo amico Antonino Agostino, forse l’aveva anche trovata, e anche lui sapeva qualcosa sull’Addaura.
Una traccia che lega "lo sfregiato" a un’altra vicenda di sangue arriva addirittura dal lontano ‘86 ed è ancora il pentito Luigi Ilardo a chiamarlo in causa. Siamo a Palermo, quartiere di San Lorenzo, è il 7 ottobre 1986, un bambino di 11 anni, Claudio Domino, viene ucciso mentre sta rientrando a casa. Lo freddano su un marciapiede, a colpi di pistola. Suo padre è il titolare di un’impresa di pulizie che lavora anche nell’aula bunker, ma non è un mafioso. Due pentiti raccontano che a uccidere il bambino sarebbe stato l’amante di sua madre (poi giustiziato da Cosa nostra), perché li avrebbe visti insieme. Secondo un altro boss, il piccolo Claudio Domino sarebbe stato ucciso (da un altro killer poi eliminato) perché, sbirciando in un magazzino, avrebbe visto confezionare alcune dosi di eroina. I giudici, tuttavia, crederanno ai primi due pentiti, accreditando la versione che il bambino vide l’amante di sua madre e per questo fu giustiziato. Ilardo, tuttavia, riferisce agli inquirenti che quel giorno, nel quartiere San Lorenzo, mentre veniva assassinato quel bambino, c’era anche “faccia da mostro”.
di Fabrizio Colarieti