FABRIZIO COLARIETI

Contrada vs Ingroia

«Sono il dottor Bruno Contrada, ex dirigente generale della Polizia di Stato, nato a Napoli il 2 settembre 1931, domiciliato in Palermo, in atto in detenzione domiciliare per espiazione pena, a seguito della nota sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Palermo, perché condannato per concorso esterno in associazione mafiosa (arrestato il 24 dicembre 1992, condanna divenuta definitiva il 10 maggio 2007)».
Bruno Contrada non può parlare con i giornalisti, né rispondere al telefono e nella sua casa di Palermo, dove per ragioni di salute sta scontando dal 2008 la condanna a 10 anni di reclusione, non può ricevere visite se non quelle del suo avvocato. Ma una settimana fa ha deciso di rompere il silenzio, che durava da anni, presentando un esposto contro il procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Antonio Ingroia. L’ex dirigente della Polizia di Stato, ed ex numero tre del Sisde in Sicilia negli anni delle stragi di mafia, punta il dito contro le pagine del libro “Nel labirinto degli dei: storie di mafia e di antimafia” scritto dallo stesso magistrato palermitano e dato alle stampa nel novembre scorso da “il Saggiatore”.
Contrada contesta un passaggio che lo riguarda direttamente, quello dove il pm Ingroia ricorda l’interrogatorio, da lui condotto, del collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino, il falso pentito “chiave” nei processi sulla strage di Via D’Amelio, condannato in via definitiva a 18 anni dopo essersi autoaccusato di aver procurato la Fiat 126 che fu imbottita di tritolo per uccidere Paolo Borsellino e i cinque uomini della sua scorta. In quell’interrogatorio, narrato a partire da pagina 81, è proprio Scarantino a tirare in ballo Contrada.
Scrive Ingroia: «Avevo interrogato – per la verità – Vincenzo Scarantino, che si era autoaccusato di avere organizzato il furto della Fiat 126 usata come autobomba in via D’Amelio. Indagini più recenti della Procura di Caltanissetta sembrano, comunque, aver definitivamente smascherato Scarantino come depistatore e falso pentito. Già allora, Scarantino mi lasciava perplesso, perché c’era qualcosa in lui che “a pelle” non mi convinceva. Lo interrogai una sola volta, ricevendone una sensazione sgradevole. La attribuivo al disagio di trovarmi di fronte un probabile complice dell’omicidio di Paolo (Borsellino, ndr). Ma forse percepivo qualcos’altro. Era stato Scarantino a reclamare la presenza della Procura di Palermo, mettendo sul piatto due temi di prova apparentemente “appetitosi”: nuove accuse a carico di Bruno Contrada, alto Funzionario dei Servizi di Sicurezza, all’epoca già inquisito e in custodia cautelare per concorso esterno in associazione mafiosa; e, addirittura, dichiarazioni che coinvolgevano il già allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in oscure vicende di traffico di stupefacenti. Le dichiarazioni a carico di Contrada erano minuziose e precise, apparentemente riscontrabili; quelle che riguardavano Berlusconi, invece, erano generiche e sostanzialmente indimostrabili».
In un passaggio successivo, ed è quello che ha spinto Contrada a presentare un esposto nei confronti di Ingroia – inoltrato la scorsa settimana per conoscenza anche al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, oltre che al procuratore generale della Cassazione e alla procura di Caltanissetta – il pm scrive che diede poi «incarico alla polizia giudiziaria di fare indagini» su quanto rivelato da Scarantino e che «l'esito delle stesse fu sconfortante», concludendo che «quelle dichiarazioni» contenenti accuse su Contrada «non erano convincenti», quanto – è ormai accertato - non lo era il teste.
«Quanto ho letto nel libro del dottor Ingroia – scrive Contrada tramite il suo legale Giuseppe Lipera - ha destato in me sommo stupore, sbigottimento e turbamento, poiché nel noto processo in cui io fui imputato (i pm nel giudizio di primo grado erano il medesimo Ingroia nonché Morvillo) non si parlò mai di accuse che il sedicente pentito Vincenzo Scarantino avrebbe rivolto nei miei confronti, né mai seppi questa circostanza; ricordo benissimo anche che nel fascicolo del pubblico ministero non vi era alcun atto riguardante un interrogatorio fatto dal dottor Ingroia allo Scarantino, né dei successivi accertamenti, con esito negativo, a quanto pare, effettuati dalla polizia giudiziaria. La circostanza rivelata solo adesso dal dottor Ingroia – prosegua Contrada nel lungo esposto - ritengo che sia alquanto grave, considerato che lo stesso pm, scrive oggi nel suo libro, ritenne che le dichiarazioni dello Scarantino a mio carico “erano minuziose e precise, apparentemente riscontrabili”, mentre “quelle che riguardavano Berlusconi, invece, erano generiche e sostanzialmente indimostrabili”. Adesso mi sorge spontanea innanzitutto una domanda: perché non si indagò per capire le ragioni per cui Vincenzo Scarantino si determinò a fare quelle false propalazioni accusatorie nei miei confronti? Ed ancora: non doveva essere consequenziale quantomeno cercare di sapere chi ebbe prima a suggerire quelle bugie e poi convincere lo Scarantino medesimo a riferirle all’autorità giudiziaria? Non poteva essere questa la prova del tarlo che sconvolge la mia mente da oltre 18 anni e cioè che rimasi vittima innocente di un crudele complotto ordito da menti diaboliche e criminali? E a quando risalgono queste dichiarazioni e cosa dichiarò al dottor Ingroia di “apparentemente riscontrabile”? Mi domando ancora – prosegue l’ex dirigente del Servizio segreto civile: se le accuse lanciante dal pentito nei miei confronti non hanno avuto riscontro, come mai nei confronti del “criminale di infimo livello” (come lo ha definito Ingroia) non fu promossa azione penale (obbligatoria) per il reato di calunnia in mio danno? Se i Giudici del mio processo avessero avuto conoscenza di tutto questo, mi domando con profonda e drammatica angoscia: si sarebbe concluso in maniera diversa il mio lungo calvario processuale, considerato che la sentenza di condanna di primo grado venne prima ribaltata dalla Corte d’Appello di Palermo, che ebbe ad assolvermi con la formula più ampia (successivamente annullata dalla Corte di Cassazione) e poi confermata da altra Sezione della Corte di Appello di Palermo, se fosse stata acquisita e utilizzata quella fantomatica indagine che ebbe l’esito, definito “sconfortante” dal dottor Ingroia, in quanto non riuscì a “riscontrare il riscontrabile” delle dichiarazioni accusatorie in mio danno propalate da Vincenzo Scarantino?».
Secondo le inchieste (e i processi), basati sulle dichiarazioni di quattro pentiti (Gaspare Mutolo, Tommaso Buscetta, Giuseppe Marchese e Rosario Spatola), Bruno Contrada, che per 24 anni prestò servizio a Palermo, prima alla squadra mobile, poi alla Criminalpol e all'Alto Commissariato per la lotta alla mafia e, infine, al Sisde, era colluso con Cosa Nostra. Questi nuovi interrogativi, che per l’avvocato Lipera sono la “prova della congiura” architettata contro Contrada, saranno oggetto di nuovi accertamenti mentre è atteso, a giorni, un altro pronunciamento della Cassazione a cui il legale dell’ex 007 si era rivolto chiedendo la revisione del processo.

Fabrizio Colarieti per Il Punto, 3 febbraio 2011 [pdf]

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