Due notizie distinte e congruenti hanno riacceso le speranze sul futuro di padre Paolo Dall'Oglio. Il 61enne gesuita italiano, rapito il 29 luglio 2013 nella città siriana di al-Raqqa, potrebbe essere ancora vivo. «È stato visto ad agosto 2015 a Raqqa, in Siria», ha affermato Rami Abdurrahman, direttore dell'Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus) al quotidiano Asharq al Awsat citando la testimonianza di due disertori dell'Isis. Una circostanza che combacia anche con quanto ha dichiarato recentemente il patriarca dei Caldei, monsignor Louis Raphael I Sako, secondo il quale il religioso «sa muoversi, conosce l'Islam, parla arabo, sa come rapportarsi con queste persone».
Gli analisti di Farnesina e intelligence stanno valutando attentamente l'attendibilità delle fonti. «Non abbiamo alcuna conferma, per il momento non siamo in grado di verificare queste voci», ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Aggiungendo che «purtroppo in occasioni precedenti notizie simili si sono rivelate infondate. Tuttavia non abbiamo mai smesso di cercare e lavorare in tutte le direzioni. Quindi anche queste notizie ci incoraggiano a proseguire nell'attività dell'unità di crisi della Farnesina e degli apparati di intelligence che non si è mai interrotta».
L’odissea di padre Dall’Oglio ha inizio nel 2011, quando a seguito di alcune sue esternazioni pubbliche entra nel mirino dei fondamentalisti islamici di al Qaeda e dell'Isis. Impegnato da oltre 30 anni nel favorire il dialogo islamo-cristiano, in Siria, a Nord di Damasco, aveva fondato la Comunità monastica di Mar Musa ristrutturando l’antico monastero di Mar Elian, recentemente distrutto dalle ruspe dello Stato islamico.
Nella sua ultima intervista, rilasciata ad Al Aan Tv 24 ore, prima di scomparire nel nulla, il gesuita affermava che si era spostato nel Nord della Siria «per incontrare la società civile e per ascoltare le esigenze e le priorità delle persone». Ma anche per negoziare la liberazione di un suo caro amico, Ahmad Hajj Saleh, che era stato arrestato proprio dall'Isis.
In quella stessa occasione padre Dall'Oglio disse anche che «la liberazione delle persone rapite è l'inizio della soluzione della guerra. Sono venuto qui per ricordare a me e ai siriani che dobbiamo lavorare per la riconciliazione. La libertà deve essere per tutti i siriani». Quando poi, nella primavera del 2011, il regime di Damasco non aveva esitato a reprimere con la forza le prime manifestazioni popolari, Dall'Oglio si era schierato sempre più esplicitamente a fianco dei dimostranti e dell'attivismo non violento. E proprio questa sua esplicita posizione, a favore della cessazione delle operazioni armate e della concessione ai giornalisti siriani e stranieri di lavorare liberamente nel Paese, di fatto ha decretato, nel giugno del 2012, la sua espulsione dalla Siria. «Ho rotto il fronte dell'associazione delle minoranze con il regime», aveva detto lui stesso in un'intervista a la Repubblica nel dicembre del 2012. «Questo sindacato delle minoranze, insieme con i musulmani sunniti clienti del regime, faceva una maggioranza nel Paese. Il presidente Bashar al Assad è stato stupido. Aveva tutte le carte per fare un guado verso la democrazia matura in maniera non violenta, sarebbe stato il primo presidente eletto democraticamente della Siria, avrebbe potuto tranquillamente essere l'eroe della democrazia. Si è giocato male le carte e ha mostrato di mancare di profondità culturale».
Nel maggio del 2014 il sito arabo TahrirSy affermò che padre Dall’Oglio sarebbe stato giustiziato circa due ore dopo l’arresto, avvenuto a Raqqa.
La fonte della notizia era un cittadino siriano che avrebbe assistito all'esecuzione. Dall'Oglio, a quanto riferiva il sito, sarebbe stato impiccato e il suo corpo nascosto in una buca. Qualche ora dopo, a sostegno della stessa ricostruzione, ma indicando una dinamica diversa, era arrivata anche una dichiarazione della Lega per la Difesa dei diritti dell'uomo, una Organizzazione non governativa siriana, in cui compariva anche il nome del testimone oculare citato dal sito TahrirSy, Abu Ahmed al Suri, indicandolo come «militante ammutinato» dell'Isis che sarebbe stato «pronto a testimoniare davanti a una corte internazionale». Secondo la fonte, il religioso sarebbe stato giustiziato «con 14 proiettili da combattenti jihadisti sauditi il 29 luglio ad al Raqqa» perché «aveva chiesto di incontrare l'emiro dell'Isis ad al Raqqa per chiedere la liberazione dei giornalisti stranieri rapiti dal gruppo».
Dall'Oglio avrebbe poi raggiunto la sede del governatorato, occupata dai leader dell'Isis, ed è lì che sarebbe stato arrestato e due ore dopo «ucciso da uno dei due miliziani sauditi che lo avevano preso in custodia».
Risalgono sempre all’estate del 2014 le notizie che Dall'Oglio fosse ancora vivo e detenuto nelle prigioni della formazione di derivazione qaedista.
In particolare, il 15 settembre, in un’intervista al Corriere della sera, Michel Kilo, noto intellettuale siriano che dai primi Anni 70 è una delle voci più forti tra le opposizioni di sinistra alla dittatura di Bashar al Assad, spiegò che il gesuita italiano stava bene e si sarebbe trovato in una prigione controllata da militanti iracheni dello Stato islamico insieme alle due cooperanti, Vanessa Marzullo e Greta Ramelli. Una volta libere, le due ragazze però non furono in grado di fornire informazioni sulle sorti del religioso. Kilo, senza specificare le sue fonti, nell’intervista affermava che Dall’Oglio «originariamente venne rapito da militanti dello Ahrar al-Sham». Questi poi lo consegnarono ai capi dello Stato islamico, «forse dopo un congruo pagamento come fanno spesso tra formazioni diverse, che intendevano liberarlo in cambio di un forte riscatto».
Per molti mesi è stato rinchiuso nel palazzo del governatorato di Raqqa, «dove i jihadisti hanno il loro quartier generale. Con lui sono stati tenuti altri prigionieri occidentali, credo anche James Foley, il primo dei giornalisti americani decapitati».
di Fabrizio Colarieti per Lettera43.it [link originale]