AAA cercasi magistrati pronti a morire, anche di lavoro. A Santa Maria Capua Vetere, provincia di Gomorra, regno dei Casalesi, è stato pubblicato per due volte consecutive in un anno un bando per coprire 21 posti da magistrato, ma nessuno ha risposto. La pianta organica del Tribunale meno ambito d’Italia parla chiaro: in trincea dovrebbero esserci 94 toghe, ma ce sono solo 72, più il presidente. Negli ultimi sei anni 71 magistrati hanno chiesto di andare via, per l’eccessivo carico di lavoro, e ora il Csm pensa di tamponare l’emorragia – che rischia di paralizzare l’attività di sei sezioni penali in una terra dove si combatte la Camorra ogni giorno - inviando magistrati tirocinanti. Intanto 6 giudici e 2 sostituti procuratori hanno chiesto di essere trasferiti a Napoli, ma non ci stanno ad essere additati come fuggiaschi. Santa Maria Capua Vetere è l’emblema della “geografia giudiziaria”, classe 1861, che mette sullo stesso piano tribunali ormai inutili, ma a organico pieno, e altri sull’orlo del collasso, senza né mezzi né uomini e in prima linea in territori ad altissima densità criminale. Rispondendo alle domande de Il Punto, il giudice palermitano, Piergiorgio Morosini, segretario generale di Magistratura Democratica, la corrente progressista dell’Anm, lancia un appello: «Mettiamo attorno allo stesso tavolo i rappresentanti di politica, magistratura, avvocatura e pubblico impiego, per individuare le priorità alle quali dobbiamo dare necessariamente una risposta immediata».
Dottor Morosini, a Santa Maria Capua Vetere mancano all’appello 21 magistrati, il Csm sta provando a tamponare l’emorragia inviato “giudici ragazzini” per sostenere l’enorme carico di lavoro, siamo di fronte al collasso della giustizia che denunciate da anni?
«Direi che siamo di fronte a temi atavici della giustizia italiana, legati al fatto che la pianta organica dei tribunali e delle procure non è aggiornata rispetto alle esigenze che abbiamo in questo momento. Santa Maria Capua Vetere è una sede che si occupa di criminalità organizzata di stampo camorristico concepita in un’epoca in cui l’azione di contrasto nei confronti dei clan non era così incisiva, quindi, rispetto a questo problema, ci sono responsabilità anche da parte della politica».
E’ arrivato il momento di rimettere mano alla geografia giudiziaria, ma partendo da dove e con quali risorse?
«E’ fondamentale farlo. Intanto si possono fare delle cose a costo zero. Ci sono delle sedi ormai sovradimensionate che possono essere accorpate a sedi più grandi, recuperando così risorse per i tribunali che ne hanno bisogno, come quello di Santa Maria Capua Vetere. La stessa Anm, fin dal 2008, ha presentato un piano di revisione della geografia giudiziaria facendo riferimento a una serie di tribunali sovradimensionati, che producono poco o nulla e assorbono risorse in termini di mezzi e di uomini. Un progetto che è stato proposto alla politica, attraverso audizioni in Commissione giustizia, sia alla Camera che al Senato, e anche attraverso una proposta presentata all’allora ministro Alfano. Perciò non siamo all’anno zero, almeno rispetto alle idee. Ad esempio si potrebbe ipotizzare di abolire tutti gli uffici giudiziari che hanno in organico meno di 10 magistrati, e questa è una cosa che si può fare a costo zero, non ci sono risorse da impiegare».
Come accennava, l’Anm ha più volte fatto riferimento alla necessità di eliminare i piccoli tribunali, le sedi inutili e gli sprechi, per recuperare risorse, quali sono le priorità?
«In realtà occorrerebbe fare prima delle piccole cose, che non costerebbero tantissimo ma che sarebbero molto efficaci. Ad esempio dovremmo cercare di ridurre i casi in cui si fa un processo penale, depenalizzando alcune condotte che sono considerate reato, ma che nella realtà sono degli illeciti amministrativi. Come le contravvenzioni, che insieme al delitto sono una categoria del reato, ma che nella realtà rappresentano fatti di minore entità che, non solo appesantiscono il processo, ma in molti casi determinano anche una condizione carceraria che in questo momento è insostenibile. Nel senso che il 70 per cento dei detenuti è in carcere per reati di piccola entità, molto spesso senza vittima né offesa. Perdiamo molto tempo a processare gli extracomunitari contumaci, che non troviamo, quando abbiamo una Corte Europea che dice che questi processi non dovremmo neanche celebrarli, perché sono in contrasto con la Convenzione dei diritti dell’uomo. Noi continuiamo a celebrarli, sono migliaia, perdendo tempo e risorse, quando potremmo metterli da parte e occuparci invece dei processi dove l’imputato c’è».
Con l’accorpamento degli Uffici giudiziari, quali sarebbero gli effetti sul sistema e basterebbero a compensare le carenze?
«E’ chiaro che una sola misura non basta. Sarebbe una novità, che consentirebbe di avere risorse dove ce n’è bisogno e il tentativo di razionalizzarle avrebbe anche un valore simbolico. Se questo è un principio che entra con fatti concreti nel nostro sistema, questo stesso principio può essere esteso anche ad altre materie. Prima le facevo l’esempio di tanti processi inutili, come quelli destinati alla prescrizione, pensi che per una guida senza patente dobbiamo superare tre gradi di giudizio. Ecco, insieme alla riforma della geografia giudiziaria, occorrerebbe fare una riforma che riguardi la depenalizzazione dei reati minori, e poi delle riforme di dettaglio del processo penale. Abbiamo perso tempo a parlare di processo breve e processo lungo, quando in realtà abbiamo delle norme sulle notificazioni che appesantiscono molto il lavoro, norme che risalgono a quando le notifiche avvenivano portando le buste a cavallo. Il sistema è cambiamo, oggi con il processo telematico potremmo ottenere dei risultati rapidissimi con costi bassissimi, soltanto che sulla informatizzazione degli uffici, che, pure, è stata avviata, abbiamo una realtà che è a macchia di leopardo, con uffici molto virtuosi e altri che sono all’anno zero. Darei, poi, un’indicazione di metodo rispetto a queste riforme: sarebbe ora di mettere attorno allo stesso tavolo i rappresentanti della politica, della magistratura, dell’avvocatura e quelli del pubblico impiego, che si occupano di giustizia, per individuare le tre o quattro priorità alle quali dobbiamo dare necessariamente una risposta immediata, in maniera non conflittuale. In questo momento un metodo di concertazione dovrebbe essere adottato anche sul piano della giustizia».
Il nuovo ministro della Giustizia, Paola Severino, ha dichiarato, a margine di un incontro con l’Anm, che sulla riforma la fase politica è ormai superata con la discussione sulla delega, ora servono i provvedimenti attuativi, quale sarà l’apporto di Magistratura democratica?
«Come gruppo di Md siamo aperti al dialogo rispetto a soluzioni che rendano più celere il processo. Questo è il punto fondamentale del nostro discorso. Siamo disponibili a fornire dei suggerimenti tecnici, come abbiamo sempre fatto in questi anni. Ad esempio sul piano straordinario antimafia, che ha visto la luce con il governo Berlusconi, sotto molti profili un’occasione persa, vorremmo indicare una serie di norme che a nostro avviso sono importantissime per rendere davvero efficiente l’azione di contrasto ai clan. Come la legge anticorruzione, che, peraltro, avremmo l’obbligo di varare sulla base di una convenzione europea che l’Italia ha stipulato nel 1999. Perché è con la corruzione che i clan mafiosi costruiscono la loro fortuna. Abbiamo visto più volte come un sistema di corruzione sia alla base di grossi affari, pensi ad esempio ai traffici di rifiuti».
Il momento è favorevole: il ritorno al dialogo tra magistratura e politica potrebbe favorire una riforma condivisa, cosa si aspetta dal nuovo governo?
«Il nuovo governo deve ancora dimostrare di avere una sensibilità effettiva sui temi della giustizia. La cosa che posso affermare è che se il comportamento dell’esecutivo sarà costruttivo Magistratura democratica non farà mancare il suo contributo di idee e di elaborazione culturale».
di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 22 dicembre 2011 [pdf]