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Il giallo del “cecchino” di via Fani, non era un brigatista e sparò 49 colpi

Aldo MoroUn'operazione perfetta, da manuale. I periti balistici definirono così l’agguato di via Mario Fani in cui persero la vita tutti gli uomini della scorta di Aldo Moro. E in quell'azione prese parte anche un misterioso "cecchino", mai identificato, che in pochi secondi, con grande freddezza e precisione, annientò la scorta esplodendo da solo ben 49 colpi sui 91 repertati.
Erano le 9.02 del 16 marzo 1978, quando la Fiat 132, guidata dall'appuntato Domenico Ricci e con a bordo il presidente della Dc e il maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi, percorreva via Fani, seguita dall'Alfetta con i tre agenti della scorta, Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Le due vetture erano partite, come quasi ogni mattina, dall'abitazione di Moro, in via del Forte Trionfale, e, seguendo il percorso abituale verso il centro, avevano raggiunto via Fani.
L'agguato avvenne nell'arco di una manciata di minuti davanti al bar Olivetti, a pochi metri dall'incrocio con via Stresa. Una Fiat 128 con targa diplomatica, guidata dal brigatista Mario Moretti, frenando bruscamente tamponò l'auto di Moro. Nei successivi tre minuti il commando di brigatisti, che secondo le ricostruzioni ufficiali era formato da 9 persone che indossavano divise di avieri civili, annientò gli uomini della scorta e sequestrò il presidente della Dc.
«Lo studio topografico e balistico delle traiettorie da parte degli esecutori è stato perfetto, e per lasciare integro Moro, e per evitare l’eventuale ferimento dei complici, con una regola di economia di uomini da manuale», scrivono i periti ricostruendo quanto avvenne in via Fani. Ma sulla dinamica di quell'assalto, ancora oggi, rimangono molti lati oscuri, a partire proprio dal numero di componenti del commando. I dubbio riguardano l’effettiva composizione del nucleo di fuoco che partecipò all’agguato, come sottolineava Alfredo Carlo Moro, magistrato e fratello di Aldo, nel libro “Storia di un delitto annunciato”.
«I brigatisti - scriveva il magistrato -, come hanno essi stessi riconosciuto, non erano adeguatamente addestrati per un’impresa così difficile, e sul fatto che erano anche dotati di armi non molto efficienti perché facilmente si inceppavano». Una circostanza, questa, che da sempre mette in discussione gran parte delle certezze acquisite dalle successive inchieste a partire proprio da quei 91 bossoli rinvenuti in via Fani. Di questi 49 risultano esplosi da un’unica arma, 22 da un’altra e il resto dalle altre impiegate nell’agguato.
I dubbi riguardano proprio quei 49 colpi esplosi da un'arma che spara con freddezza ed estrema precisione. La imbracciava qualcuno che aveva grande esperienza con le armi, un soggetto addestrato come un "tiratore scelto", e come sappiamo tra i brigasti - per loro stessa ammissione - non c'era nessuno in grado di sparare in quel modo. «Si tratta dell’individuo che descrive un testimone che ha visto molto bene tutte le fasi dell’agguato», scrive ancora Alfredo Carlo Moro.
Il misterioso cecchino esplose due raffiche: la prima, un po’ più corta, a distanza ravvicinata rispetto al bersaglio, e la seconda più lunga che con un balzo indietro permise al tiratore di allargare il raggio d'azione. «Lo sparatore mostrava estrema padronanza dell’arma. Sparava avendo la mano sinistra poggiata sulla canna - scrive ancora Moro - e con la destra imbracciava il mitra, tirava con calma e determinazione, convinto di quello che faceva».
«Sia nella prima consulenza per la procura nell'immediatezza del fatto che nelle perizie balistiche eseguite successivamente in sede dibattimentale ed istruttoria scrissi che nell'agguato di via Fani per rapire Moro, vi fu un fuoco incrociato da parte delle Brigate Rosse. Lo dimostravano i fori dei proiettili ed il numero delle armi», spiegò nel 2003 all'Adnkronos il perito balistico Antonio Ugolini.
Il fuoco contro la scorta di Moro, al contrario di quanto sostenuto dagli ex Br nella ricostruzione dell'agguato, fu aperto su due fronti, sia da destra che da sinistra della strada. Almeno relativamente all'auto sulla quale si trovava il presidente della Dc. In merito ai 49 colpi il perito disse che con verosimiglianza «furono sparati da una sola pistola mitragliatrice utilizzando due caricatori, mettendo a segno buona parte dell'operazione. Tanto che sul posto venne trovato un caricatore con alcune cartucce, dimostrando che l'arma si era anche inceppata: «i caricatori della pistola mitragliatrice Fna 43 erano da trentadue o trentasei colpi ed uno, come noto, fu estratto perché l'arma si era inceppata». Tuttavia nel 1997, Valerio Morucci, uno membri del commando brigatista di via Fani, affermò che gli «Fna a sparare erano due», aggiungendo quindi che «la perizia balistica ha accomunato i colpi sparati da entrambe le armi».

di Fabrizio Colarieti

2 pensieri su “Il giallo del “cecchino” di via Fani, non era un brigatista e sparò 49 colpi

  1. Alemanno Di Napoli

    Per chiarire tutti i dettagli di questo delitto di stato - l´omicidio di Aldo Moro - andrebbe approfondito il ruolo di un commerciante di preziosi di Milano, signor Mosé, apprezzato e conosciuto grossista nel settore orafo e della gioielleria. Il signor Mosé, per quello che so io, intrattenenva rapporti con i servizi di sicurezza di paesi esteri, non un solo paese, anche dall´altra parte del Mediterraneo ed era, in virtú dei suoi molti contatti con le persone e gli ambienti piú vari della societá, un informatore di primo piano su uomini e vicende politiche del mondo sommerso dell´Italia degli anni settanta, ottanta e novanta. La sua azienda l´hanno rilevata i figli estranei a quanto sopra.

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  2. Emilio

    Una strage vile, misteriosa e letale anche per la credibilita' politica della stessa DC in quella epoca di terrorismo dilagante dove estremismi di poli opposti extraparlamentari e brigate rosse dichiararono guerra allo Stato italiano sicuramente con appoggi esterni e complicita' ancora tutte da scoprire Aldo Moro e' morto con I suoi segreti Sicuramente non fu solo terrorismo criminale ma una spietata eliminazione mirata al cuore della DC e dei suoi valori di democrazia cristiana progressista allargata Forse troppo Non si sa nulla di preciso La DC aveva troppe correnti interne al partito e troppe divergenze sottili con cui si bilanciava (o sbilanciava) con il PCI , il PSI e altre forze politiche in un periodo buio della politica italiana e dove le smagliature del potere dei partiti al governo grondavano sangue innocente A chi giovava indebolire la forza della DC in quelli anni di piombo dove I terroristi avevano campo libero e una grande forza intimidatrice nei confronti di magistrati uomini politici giornalisti docenti universitari e forze dell ordine ??? CHI COPRI LE SPALLE ALLE CELLULE BRIGATISTE per 11 ,anni mentre invece quando sequestrarono il generale U sa Dozier si intervenne bene e subito senza tentennamenti e senza ritardi nella eliinazione dei colpevoli? Due pesi e due misure ben diversi qualcuno osservo' sulle pagine dei giornali dell'epoca Grazie di leggere la mia riflessione privata su argomenti che hanno destabilizzato l opinione pubblica su quanto fosse facile colpire figure di spicco di una Italia democraticamente ferita e offesa nei suoi personaggi piu lungimiranti e onesti della vita pubblica Grazie a tutti Emilio un vecchio , indomito ,sincero democristiano

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