FABRIZIO COLARIETI

In trincea col partigiano Ingroia

Nessun passo indietro, anzi. Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, intende rimanere un “partigiano della Costituzione”, con tanto di tessera dell’Anpi in tasca. Dopo la sua provocazione al congresso del Pdci di Rimini e le polemiche che lo hanno investito, facendo irritare anche l’Anm e spingendo il Consiglio superiore della magistratura ad aprire un fascicolo, al Punto il procuratore aggiunto di Palermo racconta che ne è valsa la pena. A chi, poi, lo vorrebbe in politica, magari come sindaco del capoluogo siciliano, risponde «no grazie», e al nuovo governo chiede ascolto e dialogo per continuare a lottare contro Cosa Nostra.
Dottor Ingroia, le sue parole al congresso del Pdci le sono costate l’apertura di un’inchiesta da parte del Csm. Ne è valsa la pena definirsi un “partigiano della Costituzione”?
«Per ora si parla dell’apertura di un fascicolo del Csm per una presunta incompatibilità ambientale, anche se non ho ancora capito con chi. Comunque sì, ne è valsa la pena, ne sono assolutamente convinto. Credo ne valga la pena in ogni occasione nella quale c’è modo di esprimere la propria posizione di difesa della costituzione, dei suoi principi e del diritto di ogni cittadino, magistrati compresi, di svolgere un ruolo di difesa della Carta costituzionale. In qualunque sede e a qualunque costo. Ho giurato sulla costituzione e la difenderò sempre, anche a costo di essere investito dalle polemiche ogni qualvolta che mi trovo a difenderla. Come ho già detto sono abbastanza sereno, sono convinto di aver esercitato un mio diritto e perciò non ho nulla da temere».
Ma non crede che iniziative di questo tipo rischino di dare troppi argomenti a quanti puntano il dito contro le toghe politicizzate?
«Sì, sono consapevole che c’è questo rischio. Tuttavia non mi rassegno che di fronte al rischio di accuse strumentali e pretestuose debbano innescarsi meccanismi di autocensura, e quindi, di fatto, un arretramento rispetto ai nostri sacrosanti diritti. Non solo come magistrato, ma non intendo rassegnarmi anche come cittadino. Non posso e non devo rinunciare ai miei diritti soltanto perché c’è qualcun altro che, in modo pretestuoso e strumentale, afferma che ogni volta che esercito questo diritto sto commettendo un abuso. Essendo il mio un diritto, e non un abuso, rivendico, perdoni il gioco di parole, il diritto di esercitare ogni mio diritto».
Cosa pensa di molti suoi ex colleghi, come Di Pietro e De Magistris per citarne solo alcuni, transitati dalla toga alla politica?
«Ce ne sono molti altri, anche dall’altra parte. C’è Nitto Palma, Tiziana Parenti, Alfonso Papa. Di magistrati passati in politica ce ne sono tanti, a destra e a sinistra. Ritengo che i magistrati, come gli avvocati e come ogni altro cittadino, abbiano il diritto di elettorato, attivo e passivo, perciò non vedo perché debba essere precluso ai magistrati di svolgere attività politica. Dopodiché c’è il tema dei profili di opportunità e dei limiti rispetto a chi esercita una pubblica funzione che è fondata sull’imparzialità. Penso che bisogna trovare semplicemente un punto di equilibrio che si deve articolare su due passaggi fondamentali. Il primo: i magistrati, soprattutto quelli più in vista per le funzioni che svolgono, magari come pubblico ministero, non dovrebbero concorrere per incarichi di tipo politico-amministrativo, soprattutto nel distretto dove svolgono le loro funzioni. Ci sono stati casi di magistrati che si sono presentati come sindaci nello stesso comune dove esercitavano la propria attività di pubblico ministero. Questo, obiettivamente, è sconsigliabile in linea di principio. Secondo: vanno posti dei limiti anche sull’eventuale rientro in magistratura di chi ha svolto attività politica. Francamente non mi pare il caso che un magistrato, dopo aver ricoperto un incarico politico, torni in prima linea. Deve dimettersi, come hanno fatto Luigi De Magistris, una volta eletto sindaco, o Nitto Palma, dopo essere stato nominato ministro della Giustizia, oppure come nel caso di Giuseppe Ayala, che è tornato in magistratura dopo una lunga esperienza politica con un ruolo molto defilato presso la Corte d’appello di L’Aquila. In ogni caso, ripeto, è del tutto sconsigliabile che si torni in prima linea».
Quella di entrare in politica è una tentazione che, personalmente, ha mai avvertito?
«Fino ad oggi no».
Eppure recentemente il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, ha dichiarato che se si candidasse a sindaco di Palermo alle amministrative del prossimo anno la sosterrebbe, ci sta pensando?
«Pur non avendo mai avuto rapporti con Lombardo, tranne nell’unica occasione in cui mi trovai a interrogarlo, l’ho già ringraziato pubblicamente per gli apprezzamenti che ha espresso, ma ho già detto che non ritengo opportuna, proprio per le ragioni che le ho appena elencato, una mia candidatura a sindaco di Palermo».
In materia di giustizia e di lotta alla mafia cosa si aspetta dal nuovo governo?
«Innanzitutto mi sembra positiva e promettente la prima dichiarazione pubblica resa dal ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, che ha dichiarato che la lotta alla mafia è una delle sue massime priorità. Da questo governo mi aspetto continuità e un’apertura al dialogo e all’ascolto nei confronti della magistratura rispetto ai gravi problemi che ancora oggi abbiamo in materia di lotta alla mafia. Un dialogo che non sempre è stato presente con il precedente governo. Il passato è passato, ovviamente, ma non possiamo dimenticare che l’ex presidente del Consiglio sulla magistratura ne ha dette di tutti i colori. I progetti di legge che il precedente governo ha fatto erano tutti disegni di legge che, tranne rarissime eccezioni, davano poco ascolto alle istanze che venivano dal mondo della giustizia e della magistratura in particolare. Dallo stile del nuovo presidente del Consiglio, almeno credo, mi pare abbia già dimostrato di avere una grande capacità di ascolto e disponibilità al dialogo, e questa è una novità assai significativa».

Fabrizio Colarieti - Il Punto, 8 dicembre 2011 [pdf]

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