Giancarlo Nutarelli è il fratello del tenente colonnello Ivo Nutarelli, uno dei tre piloti delle Frecce Tricolori (gli altri due erano il parigrado Mario Naldini e il capitano Giorgio Alessio) morti in Germania il 28 agosto 1988, durante l’Airshow Flugtag che causò la morte di 67 persone e il ferimento di altre 346. Grazie alla sua tenacia un pool di avvocati, giornalisti ed esperti del settore ha lavorato per un anno e mezzo a un’indagine che, a distanza di 25 anni, rimette tutto in discussione, a partire proprio dalle conclusioni dell’inchiesta dell’Aeronautica secondo cui il disastro di Ramstein fu causato da una serie di errori commessi proprio da Nutarelli.
Ustica e Raimstein: due storie che si legano sull’Appennino tosco-emiliano. Per capire come la storia di Ivo Nutarelli e Mario Naldini incrocia quella di Ustica bisogna ripartire da quella notte di 33 anni fa, qualche minuto prima della scomparsa dai radar del Dc9 Itavia (77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio). Siamo a Grosseto e in volo addestrativo, ai comandi di un TF-104G, ci sono Naldini e Nutarelli. I due istruttori sono in missione con un allievo e prima di rientrare alla base, intorno alle 20.48, dichiarano lo stato di emergenza generale “squoccando” due volte in tre minuti. Una circostanza, questa, che sottintende uno scenario di reale pericolo. Dieci minuti dopo Ciampino perderà i contatti con il Dc9.
Secondo il giudice istruttore Rosario Priore, che per anni indagherà sull’affaire Ustica, i due piloti erano certamente “a conoscenza di molteplici circostanze attinenti al Dc9, ma non v’era stato nel corso degli anni alcun segno di cedimento da parte loro, se non qualche battuta, pronunciata in ambienti ristretti”.
Dunque Naldini e Nutarelli sono due testimoni privilegiati e per questo, forse, sono anche scomodi. Lo sono per almeno due motivi: erano in volo la sera dei misteri e la loro missione si svolse sull’Appennino tosco-emiliano, cioè nel tratto dove secondo le conclusioni dell’inchiesta di Priore la rotta del Dc9 fu interessata dall’intrusione di un caccia che sfruttò l’“ombra” dell’Itavia per attraversare lo stivale fino a dove fu abbattuto. Entrambi dunque avrebbero potuto riferire informazioni utili su cosa avvenne sul Tirreno mentre il Dc9 si avvicinava al punto di non ritorno. Così come avrebbero potuto indicare agli inquirenti che ruolo giocò quella stessa sera la base di Grosseto e il centro radar di Poggio Ballone. Da sempre, infatti, la magistratura nutre molti dubbi sulla genuinità delle informazioni fornite dall’Aeronautica in merito a quanto videro i suoi radar, sia nella fase iniziale del volo sia in quella finale.
L’esibizione in Germania tra perizie assenti e inchieste archiviate. Naldini e Nutarelli, nel tempo che trascorrerà tra la strage di Ustica e l’incidente di Ramstein, non racconteranno nulla su quella notte e sul perché lanciarono quel segnale d’allarme, ripetendolo più volte prima di rientrare a Grosseto. A Ramstein, secondo la versione ufficiale, a provocare l’incidente, durante l’esecuzione della figura del “cardioide”, fu la collisione fra tre Aermacchi Mb-339: il solista, Pony 10, ai comandi di Nutarelli, il Pony 1 di Naldini e il Pony 2 di Alessio. I velivoli di Naldini e Alessio, in fiamme, finirono ai lati della pista, il terzo, quello di Nutarelli, si schiantò sulla folla.
L’Aeronautica, due mesi dopo, nell’ambito di un’inchiesta interna conclusa con un rapporto ufficiale di 157 pagine rimasto segreto fino al 2012 , concluderà che fu Nutarelli a compiere una serie di errori che lo portarono in rotta di collisione con gli altri velivoli. Da quel rapporto traspare un quadro di assoluta normalità: velivoli e piloti in perfette condizioni, normali le fasi di pianificazione del volo, nulla da segnalare nelle prove del giorno precedente. I tre Mb-339 non furono sottoposti a una perizia di parte, solo a frettolosi accertamenti compiuti dagli stessi tecnici dell’Ami, e la procura di Udine aprì un’inchiesta per disastro aviatorio colposo, ma la archiviò dopo poco limitandosi ad ascoltare alcuni testimoni e senza porre sotto sequestro i rottami dei tre aerei.
Le conclusioni sostenute dal gruppo di lavoro che ha raccolto l’appello del fratello di Nutarelli sono diametralmente opposte. Innanzitutto a causare quell’incidente non fu un errore del solista, riferisce la relazione redatta per conto dell’avvocato Daniele Osnato, già legale di una novantina di familiari delle vittime della strage di Ustica. “Sappiamo esattamente cosa accadde a Ramstein”, spiega, “sappiamo come avvenne l’incidente, sappiamo perché avvenne proprio lì e sappiamo cosa andò storto”.
Il dossier difensivo: nessun errore del pilota. Minacciati i suoi familiari. L’indagine difensiva, che presto sarà trasmessa alla magistratura, è tornata ad analizzare l’intero contesto rileggendo una mole enorme di dati: documenti e testimonianze inedite e centinaia di foto e filmati. E proprio incrociando le nuove evidenze con alcuni filmati amatoriali emergerebbe che l’aereo di Nutarelli, chiudendo la figura del “cardioide”, potrebbe non aver risposto ai comandi rendendo vano ogni tentativo di evitare la collisione. Priore concluse che Ramstein fu un incidente che nulla aveva a che fare con la strage di Ustica. Si fermò a valutare solo la sproporzione tra il fine (eliminare due testimoni scomodi) e i possibili mezzi (manomettere l’aereo di Nutarelli avendo la certezza che andasse a collidere con quello di Naldini). “Abbiamo superato queste obiezioni – spiega l’avvocato Osnato – acquisendo elementi di novità rispetto a quelli che aveva il giudice Priore all’epoca. La nostra ricostruzione degli eventi, oltre che essere supportata da elementi probatori, s’inserisce coerentemente nello scenario di Ustica. Nutarelli non sbagliò quella manovra”.
“Sono partito con l’idea che qualcosa di poco chiaro fosse accaduto, al di là della bravura di mio fratello che non potevo giudicare”, racconta Giancarlo Nutarelli stringendo tra le mani le pagine del dossier. “Conoscevo il suo carattere, come si comportava, non amava di certo il rischio e l’azzardo – aggiunge – I primi dubbi li ho avuti già al suo funerale di fronte a strani atteggiamenti. Nel 2000 ho incontrato i familiari delle vittime tedesche e ho iniziato a cercare una verità, se c’era. Combattevo da solo, mi sono arrivate anche telefonate anonime e ho capito che la mia vita e quella dei miei familiari poteva essere in pericolo”. “Poi, nell’era di Facebook – conclude il fratello del pilota della Pan – mi sono imbattuto in una discussione pubblica dove si parlava di mio fratello, dicevano che era un bravo pilota e davano peso ai miei stessi dubbi. Mi sono sentito rincuorato e ho iniziato a dare il mio contributo al gruppo di lavoro. Voglio risposte, qualunque cosa, purché emerga che mio fratello non causò quella terribile tragedia”.
Fabrizio Colarieti e Antonella Beccaria (Il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2013)