Chi c’era, chi l’ha sentito, e poi ha potuto raccontarlo, ricorda che l’urlo della terra arrivava da sotto i piedi, come se fosse a pochi centimetri. Una folata di vento, un fruscio, poi due boati insieme, in fila. Un attimo dopo, erano le 3 e 36 di un anno fa, non c’era più nulla. Tutto era schizzato in aria. E poi, giù, a terra. Chi c’era, e ha avuto il tempo di mettersi in salvo, ricorda che il terremoto, per lasciare il suo segno indelebile lungo la Valle del Tronto, da Accumoli fino ad Amatrice, ha impiegato oltre venti secondi, prima piano e poi forte. Un tempo, inciso in pochi centimetri di tracciato, che è sembrato infinito. La ferita più lunga, la più dolorosa da mandare giù e da rimarginare, la scossa di mercoledì 24 agosto l’ha lasciata lungo Corso Umberto. In un attimo, quella che era la strada principale di Amatrice, si è trasformata in un campo di battaglia. «Immagini simili le abbiamo viste solo ad Aleppo, ma lì c’era la guerra», racconterà, poche ore dopo, uno dei mille soccorritori accorsi al capezzale di Amatrice. Le case, fatte male, fatte di sassi e tetti pesanti, sono venute giù, inginocchiate su se stesse, come i lembi di una scatola di cartone. E quando il sole ha illuminato tutto, quella strada, che prima era larga, non c’era più. Chi è entrato per primo in Corso Umberto ricorda l’odore di gas, la polvere che graffiava la gola e irritava le pupille, il silenzio surreale e poi le urla dei sopravvissuti. C’erano solo gli amatriciani che aiutavano gli amatriciani. I primi a rialzarsi e a scavare a mani nude non hanno mai raccontato cosa hanno visto in quei primi momenti. Per andare oltre il Corso, per raggiungere il palazzetto, bisognava superare un mare di tetti e pareti collassate in avanti, al centro della strada. I primi soccorritori, una manciata di uomini dei Vigili del Fuoco, del 118 e delle forze di polizia, hanno lanciato l’allarme dando una sommaria dimensione a quel disastro. Poco, rispetto a quello che verrà fuori prima del successivo tramonto. Uno di loro, un pompiere, ha usato una sola parola che ne riassumeva molte: «apocalisse». La stima dei morti e dei feriti, molti dei quali gravissimi, arriva poco dopo: 200 feriti e altrettante vittime. Numeri buttati lì, all’alba. Un primo bilancio, arrotondato per difetto, di un disastro che di morti ne farà 249 (149 donne, 100 uomini, tra loro 25 tra bambini e adolescenti), di feriti 380 e di sfollati oltre 2500. La terra continuerà a tremare per mesi scrivendo un nuovo pezzo di storia della sismicità italiana, la più violenta dopo l’Irpinia del 1980. Oltre settantamila scosse, tante ne ha registrate, dopo i mainshock del 24 agosto (6.0) e del 30 ottobre (6.5), la Rete sismica nazionale dell’Ingv. La terra, nell’epicentro di Accumoli, raccontano le immagini dei satelliti, scenderà, per sempre, di 20 centimetri. Uno scalino che ricorda all’uomo che là, in quella terra stupenda che segna il confine tra Lazio, Mar- che e l’Umbria, è la natura che comanda.
di Fabrizio Colarieti per Il Messaggero