FABRIZIO COLARIETI

Palermo top secret

Accordi, trattative, tavoli di accomodamento e “barbe finte” che si muovono nell’ombra. Dentro ogni mistero, giù a Palermo, ce n’è nascosto un altro e poi un altro ancora. Sono come le scatole cinesi. C’è la trattativa tra lo Stato e la Mafia, e quel signor Franco, che gioca su più tavoli e che Massimo Ciancimino, il figlio scapestrato di Don Vito, ha tirato in ballo, ma che nessuno ha finora identificato. E quindi, chissà se esiste davvero. C’è l’arresto del Capo dei capi, Totò Riina, e la mancata perquisizione della sua villa in via Bernini, un altro rompicapo infinito. E poi la mancata cattura da parte del Ros di Binnu Provenzano, nelle campagne di Mezzojuso nel ’95, e il suo arresto, compiuto undici anni dopo dalla polizia. E, ancora, la storia di «Svetonio», la fonte che porta l’Aisi a un passo dalla cattura di Matteo Messina Denaro, l’ultimo grande latitante, il nuovo capo della Cupola siciliana, imprendibile da diciannove anni.
LA RESA DI BINNU
In Sicilia nulla è come appare, le storie di mafia non hanno mai un the end, neanche dopo i processi e le sentenze. Mancano sempre dei pezzi e nell’ombra si muovono sempre i soliti faccendieri, messaggeri, informatori ed emissari. L’ultima vicenda, che chiama in causa lo Stato e Cosa nostra, e chi nel mezzo trattava con entrambi, riguarda proprio Bernardo Provenzano. Non è una trattativa, non ci sono né pizzini né papelli, ma condizioni  - anzi “tavoli di accomodamento” - e tanti danari. E anche qui c’è uno strano personaggio che si muove nell’ombra, a libro paga della guardia di finanza e del Servizio segreto militare. Si spaccia per commercialista esperto in flussi finanziari, parla romano stretto ai microfoni di «Servizio pubblico», e racconta di quando Provenzano, tramite un altro misterioso contatto, provò a mediare la sua resa. Il tutto si consumò tra il 2003 e il 2005. Una vera e propria trattativa con un emissario che detta le regole e le condizioni di resa. Il messaggero di Binnu u tratturi è un informatore della guardia di finanza dall’86, uno che conosce bene la lingua dei mafiosi. Sulla scena, oltre lui, si muovono anche gli uomini del Sismi al comando del generale Walter Cretella Lombardo. Nel novembre del 2003 è la finanza ad accompagnare l’emissario dall’allora procuratore nazionale antimafia, Pier Luigi Vigna. A raccontarlo, in un’audizione al Csm, è il suo successore, Piero Grasso. «Quando nell’ottobre del 2005 presi il posto del procuratore Vigna, mi fu prospettata, da parte dei colleghi, la situazione di un informatore, di un qualcuno che voleva rendere delle dichiarazioni e collaborare per la cattura di Provenzano». E poi ancora: «In quell’occasione mi si prospettò, da parte della Guardia di Finanza, questo signore che diceva addirittura di avere dei contatti con il latitante Provenzano, il quale si doveva trovare in località naturalmente non precisata ma comunque nel Lazio». Per arrendersi Provenzano vuole 2 milioni di euro da depositare su un conto in Costa Rica e la garanzia che a gestire l’operazione sia lo stesso Vigna, e non i magistrati di Palermo. L’intermediario, che tuttavia non ha un contatto diretto con il boss, prospetta l’operazione anche a due magistrati calabresi, Alberto Cisterna e Vincenzo Macrì, e fa presente che il latitante più longevo della storia è disponibile ad arrendersi in segreto. Mentre a reperire il denaro doveva pensarci il Sismi. L’informatore della finanza, e per sua stessa ammissione anche del Servizio segreto militare, incontrerà per due volte consecutive Vigna e gli altri due magistrati e arriverà a prospettarli anche una possibile collaborazione di Provenzano. L’operazione salta a novembre del 2005 quando l’emissario si ritrova davanti Grasso che nel frattempo ha preso il posto di Vigna alla Dna. Grasso non si fida di quell’uomo, vuole una prova, possibilmente biologica, che porti all’identificazione certa di Binnu. «Quando ero procuratore a Palermo - spiega il procuratore antimafia al Csm - avevamo fatto un’indagine sulla presenza di Provenzano a Marsiglia: eravamo riusciti a ottenere un frammento di un reperto medico». La prova non c’è e il messaggero non vuole rivelare l’identità dell’uomo che lo tiene in contatto con il capo di Cosa Nostra. La trattativa si ferma qui. A catturare Provenzano, tra forme di formaggio e pizzini, pochi mesi dopo, l’11 aprile 2006 sulla Montagna dei Cavalli sopra Cor- leone, saranno gli agenti della catturandi di Palermo e dello Sco di Roma.
LE LETTERE DI SVETONIO
Doveva essere la sua ultima missione, la più importante. L’agente segreto Svetonio, al secolo Antonino Vaccarino, per anni fonte riservata del Sisde a Palermo, doveva consegnare nelle mani di Matteo Messina Denaro un cd-rom contenente alcuni documenti e un virus informatico. E quell’invisibile software spia, una volta annidatosi nella memoria del personal computer, doveva permettere agli 007 di individuare il covo del numero uno di Cosa Nostra, sul cui capo pende tuttora una taglia dei Servizi da un milione e mezzo di euro. Messina Denaro, il quarto criminale più ricercato del mondo, avrebbe dovuto inserire quel cd in uno dei suoi computer, e il resto della missione, secondo i piani dell’intelligence interna, lo avrebbe fatto proprio quel “cavallo di Troia”, permettendo di localizzare il luogo da cui il boss si connetteva. La storia della fonte Sve- tonio parte da lontano: da Castelvetrano, sua città natale, ma anche dello stesso Messina Denaro. E’ un insegnante di lettere, ma è stato anche consigliere comunale per la Dc, assessore, sindaco e - infine - uomo del Servizio segreto civile. Una fonte specializzata nel doppio gioco: al Sisde, che lo coltivava fin dal 2001, prometteva informazioni per catturare Messina Denaro, al boss, via lettera, prospettava aiuti politici e informazioni riservate. Nel 2007 i magistrati della Dda di Palermo, analizzando la sua corrispondenza - decine di pizzini trovati nel covo di Provenzano, che davano prova del rapporto di fiducia nato tra l’ex sindaco e un certo “Alessio”, identificato poi in Messina Denaro - si sono trovati davanti anche a una inconsueta conferma da parte dell’Aisi. Svetonio era una loro fonte e così è venuta fuori anche la storia di quel virus, appositamente progettato per portare alla cattura del boss. Svetonio e Alessio nelle loro lettere ragionavano di politica, di appalti (come quello per la costruzione di una stazione di servizio sulla Palermo-Mazara del Vallo), di 41bis e addirittura di cultura. Leggendo quelle missive, infatti, balzarono agli occhi degli inquirenti anche alcune sorprendenti citazioni del boss, come i pensieri dello scrittore brasiliano Jorge Amado, sulla politicizzazione della magistratura, o il paragone con un personaggio nato dalla penna di Daniel Pennac, a cui il capomafia di Castelvetrano diceva di assomigliare tanto. Quel compact disk, almeno così pare, non fu mai consegnato a Messina Denaro perché Svetonio, dopo l’arresto di Provenzano, fu scoperto e i mafiosi fecero sapere che il suo tradimento lo aveva trasformato in un «morto che camminava». L’ex sindaco conosceva bene Matteo Messina Denaro, insegnò al fratello Salvatore, perciò era l’uomo giusto, e quella corrispondenza, che doveva portare a un incontro, aveva dato fino a quel momento molta fiducia agli analisti. L’indagine aperta sul conto di Vaccarino, dopo la scoperta di quei pizzini, fu archiviata nel settembre del 2007 su richiesta dalla Procura di Palermo «per mancanza di condotte concrete e penalmente rilevanti». Era accusato di associazione mafiosa, perché si sarebbe interessato ad appalti, offrendosi di agevolare operazioni poco chiare nell'interesse di Messina Denaro e – nella sua seconda veste – anche dei Servizi segreti.

Fabrizio Colarieti per Il Punto, 7 giugno 2012 [pdf]

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