C’è la mano dell’uomo e nelle mani della Procura di Rieti ci sono le prove, fotografiche, che dietro i roghi delle ultime settimane, primo fra tutti quello di Monte Giano, si nasconda la precisa volontà di creare un disastro ambientale. E disastro ambientale è anche l’ipotesi di reato ipotizzata dal fascicolo, al momento a carico di ignoti, aperto venerdì scorso dal procuratore capo Giuseppe Saieva. Al momento contiene i rapporti dei vigili del fuoco e dei carabinieri-forestali che operano su diversi fronti, ma, soprattutto, contiene alcune foto di «ordigni», impropriamente chiamati «inneschi», trovati ad Antrodoco, Poggio Bustone e in altri comuni del Reatino. Gli stessi rinvenuti anche sul Monte Morrone, in Abruzzo. Se c’è un disegno dietro tutto questo, come ha ipotizzato anche il deputato Fabio Melilli, saranno gli inquirenti a dirlo. Di certo lo scenario, che nei primi momenti aveva attribuito la genesi del rogo della pineta Dux alla sola «leggerezza» di un pensionato intento a bollire pomodori da conserva, è cambiato. Aquanto risulta a Il Messaggero, che ne ha potuto parlare con fonti investigative qualificate, sul Monte Giano non sarebbero stati trovati solo degli «ordigni», cioè resti di palle di carta imbevute di sostanze infiammabili, ma anche ciuffi di paglia in zone dove non doveva essercene traccia. Paglia messa in cerchio e bruciata a margine di aree boscate andate successivamente in fiamme. Queste evidenze, ora diventate prove, sono state trovate anche a notevole distanza dal punto in cui erano partite le fiamme, cioè dove si trovava il caldaio del signor Gioventino. Gli inquirenti non escludono che nelle prossime ore, quando il fuoco sarà domato, emergeranno i resti di altri ordigni dando una ulteriore spiegazione alla vastità del disastro. Le risposte, tanto e quanto nel caso di un omicidio, sono sulla scena del crimine. La tecnica utilizzata si chiama «metodo delle evidenze fisiche» e consente di localizzare il punto di inizio degli incendi, anche basandosi su modelli di propagazione, di determinare quale tipo di attività lo ha provocato e identificarne le cause. Un lavoro complesso che risente molto dello stato dei luoghi dopo i roghi, specialmente dopo decine di lanci di acqua e ritardanti. Un lavoro, che comprende anche la ricerca di impronte sugli ordigni e analisi delle sostanze acceleranti impiegate, che è già iniziato e che gli inquirenti credono possa dare delle risposte, anche ai pesanti sospetti che circolano tra gli addetti ai lavori. Soprattutto, se si pensa alla scelta dei luoghi: accessibili solo dai mezzi aerei, in prossimità di centri abitati e in zone dove l’attenzione dei media è ancora alta, come Amatrice e Accumoli. Troppi indizi per fermarsi alla banale distrazione di un fumatore o di un pensionato che imbottiglia pomodori.
di Fabrizio Colarieti per Il Messaggero