1. Le carte straniere top secret: per analizzarle serve il consenso dei servizi. Segreto e servizi segreti sono alcune delle parole che più si ripetono nella relazione, a partire dalle informazioni provenienti dalle intelligence straniere di cui la Commissione vorrebbe entrare in possesso. Un patrimonio di informazioni particolarmente consistente e tuttora inesplorato che, tuttavia, per essere consultato e analizzato, richiede una complessa procedura di declassifica e il consenso, non scontato, dei servizi di sicurezza che hanno redatto i singoli atti.
Dentro le veline degli 007 americani, francesi e inglesi, ma anche russi e israeliani, potrebbero esserci elementi inediti e forse anche decisivi per arrivare alla verità su uno dei misteri più longevi della storia repubblicana.
2. Il colonnello Guglielmi: l'addestratore di Gladio nei pressi di via Fani. Nel corso delle audizioni sono emersi riferimenti sulla presenza del colonnello Camillo Guglielmi, soprannominato “Papà”, nei pressi di via Fani in un orario prossimo a quello della strage. La presenza dell’ufficiale, in forza al Sismi, il servizio segreto militare, ufficialmente in epoca immediatamente successiva al sequestro di Aldo Moro, è posta in relazione anche rispetto al ruolo di una motocicletta Honda avvistata da diversi testimoni oculari nel luogo dell’agguato.
Nel 1990 Pierluigi Ravasio, anch’egli agente del controspionaggio militare, aveva inoltre riferito al parlamentare Luigi Cipriani che il colonnello era stato attivato dal Sismi proprio in riferimento al sequestro.
Interrogato nel 1991 dal magistrato Luigi De Ficchy, l'ufficiale del controspionaggio dichiarò che la mattina del 16 marzo 1978, in un orario coincidente con quello dell’agguato, si trovava nei pressi di via Fani perché, verosimilmente, invitato a pranzo, in via Stresa, dal suo collega Armando D’Ambrosio, che poi confermò il suo alibi.
Il deputato Sergio Flamigni, già membro delle Commissioni d’inchiesta sul caso Moro e sulla P2, di Guglielmi scrisse che era «uno dei migliori addestratori di Gladio, esperto di tecniche di imboscata, che lui stesso insegnava nella base sarda di Capo Marrargiu dove si esercitavano anche gli uomini di Gladio». E, non a caso, l'organizzazione Gladio è uno dei fronti investigativi su cui sta lavorando molto la Commissione. Sul ruolo di Guglielmi, e anche in relazione al suo ipotizzato coinvolgimento nella strage, benché sia deceduto nel 1992, è tuttora aperto un fascicolo della Procura generale della Repubblica di Roma.
3. Le società di Barbaro: non confermati i legami con l'intelligence. Un’altra presenza sulla quale sono stati avanzati dubbi e sospetti è quella del cosiddetto uomo con il cappotto color cammello, identificato nel signor Bruno Barbaro.
Cognato del generale Fernando Pastore Stocchi, un’ufficiale del Sid, il servizio informazioni difesa, che era stato anche a capo della base Gladio di Capo Marrargiu e stretto collaboratore del generale Vito Miceli.
Barbaro era titolare di un’azienda che aveva sede in via Fani, sopra al bar Olivetti. Svolgeva attività commerciali, tra i suoi clienti figuravano il Policlinico Gemelli di Roma, ma anche la Banca d’Italia e il Senato, e aveva diversi uffici, uno dei quali in via Fusco, a Monte Mario, che affacciava su via Pineta Sacchetti, a un paio di chilometri in linea d’aria da Forte Braschi, il quartier generale del servizio segreto militare.
I sospetti su Barbaro, a carico del quale indaga tuttora anche la Procura generale di Roma, come nel caso di Guglielmi, riguardano il suo atteggiamento nei luoghi della strage, definito da alcuni 'autoritario”. In particolare un testimone oculare, l’ingegner Alessandro Marini, ha riferito di averlo visto coprire con un giornale il cadavere di un uomo della scorta di Moro impugnando addirittura una paletta.
Barbaro si era riconosciuto nella persona con il cappotto color cammello di cui aveva parlato il teste Marini in un’intervista trasmessa nel 1993 dal programma “Il rosso e il nero” e aveva contattato la redazione del programma rilasciando poi un’intervista al Tg3.
Oggi 86enne è stato rintracciato e nuovamente sentito dalla Commissione Fioroni alla quale ha spiegato di non essersi mai presentato alle autorità prima del 1994, in quanto, nell’immediatezza dell’agguato di via Fani, aveva rilasciato un’intervista al settimanale Epoca su ciò che aveva visto. Barbaro ha ricostruito in maniera coerente quanto accaduto il 16 marzo 1978 spiegando che quella mattina, intorno alle 9, era uscito dalla sua casa di via Madesimo 40 (vicino a via Fani), per recarsi nel suo ufficio al civico 109 di via Fani, dove aveva sede la società Impresandtex srl, della quale era amministratore.
L’uomo ha inoltre aggiunto che quella mattina, mentre si stava recando in ufficio, sentì alcuni spari di mitra, che riconobbe subito in virtù del suo passato partigiano; si avvicinò con molta cautela, dopo aver fatto passare alcuni minuti; e coprì il corpo dell’agente Raffaele Iozzino con un giornale preso dall’Alfetta della scorta; provò a prestargli soccorso, ma venne allontanato da una persona molto agitata, giunta a bordo di un’Alfetta e con in mano una paletta della polizia.
Quanto al cognato, Barbaro ha affermato che i suoi rapporti con il generale Pastore Stocchi non erano stretti e nessun riscontro è stato finora trovato in merito ai possibili rapporti tra l’intelligence e le sue società.
4. I funzionari della scientifica: presenze sospette da via Fani a via Carini. Una terza presenza anomala riguarda un presunto funzionario dei servizi che compare in alcune foto che dimostrerebbero che era stranamente presente nell’immediatezza di eventi di straordinaria importanza: il 16 marzo 1978 in via Fani, il 9 maggio 1978 in via Caetani, in occasione del rinvenimento del cadavere di Moro, e verosimilmente anche il 3 settembre 1982, in via Carini, a Palermo, dopo l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e di sua moglie Emanuela Setti Carraro.
La Commissione ha svolto accurate indagini nel tentativo di individuare l’uomo accertando, almeno in due circostanze, che non si tratta della stessa persona.
L’uomo ritratto in via Fani è Giuseppe Pandiscia, un funzionario della polizia scientifica, quello ritratto a Palermo è Antonino Wjan, anch’egli dirigente della scientifica, mentre non è stato possibile identificare l’uomo che si intravede nella foto scattata in via Caetani vicino alla Renault 4 in cui fu trovato il corpo dello statista.
5. L'Austin Morris in via Fani: gli intrecci societari con il Sisde. Accertamenti sono stati compiuti anche su alcune autovetture che la mattina del 16 marzo 1978 erano parcheggiate in via Fani e che, secondo alcune fonti, potrebbero aver favorito l’azione dei terroristi.
La prima di esse è l’Austin Morris Mini Clubman Estate targata Roma T50354, che quella mattina era parcheggiata sul lato destro di via Fani, a ridosso dell’incrocio con via Stresa, in una posizione che di fatto avrebbe ostacolato eventuali manovre di fuga della Fiat 130 di Moro.
Dalle indagini è emerso che l’autovettura era di proprietà dell’immobiliare romana Poggio delle rose srl ed era utilizzata da uno dei suoi soci, Patrizio Bonanni, al quale venne restituita pochi giorni dopo la strage con una fiancata danneggiata dai colpi sparati dal commando.
Bonanni, sentito dalla Commissione, ha riferito che la sera del 15 marzo aveva parcheggiato la vettura in quella posizione e si era recato in un appartamento di cui aveva la disponibilità in uno stabile di proprietà dell’Enpaf.
Quanto ad eventuali contatti o rapporti tra Bonanni o la società immobiliare Poggio delle rose con organismi di intelligence, la Commissione ha riscontrato che la sede dell’immobiliare coincideva con quella della Fidrev Fiduciaria e Revisione srl, una società che da molti anni ne seguiva la contabilità e la gestione.
La Fidrev, a sua volta legata all’Immobiliare Gradoli, proprietaria di alcuni appartamenti nello stesso stabile di via Gradoli dove durante il sequestro fu scoperto un covo Br, a partire dal 1978 curava i conti e la gestione delle società di copertura del Sisde, il servizio segreto civile.
Sulla Fidrev e sulle immobiliari Poggio delle rose e Gradoli stanno indagando tuttora, e anche su incarico della Commissione Moro, gli investigatori dello Scico della Guardia di Finanza.
6. La Mini Cooper: accertamenti sul proprietario Tullio Moscardi. La Commissione indaga anche su un’altra autovettura che la mattina del 16 marzo era parcheggiata in via Fani, sul lato sinistro, di fronte al bar Olivetti.
Si tratta della Mini Cooper targata Roma T32330, di proprietà del signor Tullio Moscardi, ora deceduto, che all’epoca dei fatti risultava residente in via del Corso.
L’auto era stata aperta dagli artificieri.
Moscardi all’epoca aveva un appartamento in via Fani, al civico 109, dove abitava insieme alla sua futura moglie, Maria Iannaccone. La coppia, in pieno sequestro Moro, aveva raccontato ai carabinieri di aver notato, affacciandosi dal terrazzo negli istanti successivi all’agguato, un uomo coperto con una sorta di passamontagna, con abito nero, alto circa un metro e ottanta, atletico ed armato di mitra.
Anche sul conto di Moscardi erano stati avanzati sospetti su possibili legami con l’intelligence, ma gli accertamenti finora compiuti hanno escluso rapporti diretti con i servizi di sicurezza.
7. Le moto sul luogo dell'agguato: in sella quattro soggetti mai identificati. La Commissione suppone la presenza in via Fani di due motociclette con in sella quattro soggetti mai identificati, due dei quali sono anche sospettati di avere legami con l'intelligence, stando alle dichiarazioni rilasciate all'Ansa da un ex investigatore dell'antiterrorismo.
La presenza della moto Honda, si legge nella relazione, va riletta con ulteriore attenzione: «Una sentenza definitiva ha assunto che gli ignoti a bordo della moto Honda di cui parlò subito l'ingegner Alessandro Marini si siano resi responsabili di tentato omicidio ai suoi danni».
E si può supporre, sulla base agli elementi raccolti fino ad ora dalla magistratura e dalla stessa Commissione Moro, che una moto fosse presente al momento della strage nella parte superiore di via Fani, prendendo la fuga verso via Stresa, ed un'altra indugiò sul luogo dell'agguato.
La Commissione, sulla vicenda, ha anche ascoltato due testimoni oculari, mai sentiti in precedenza, oltre a Marini. Si tratta di Giovanni De Chiara, che abitava in via Fani 106 e che vide allontanarsi su via Stresa una motocicletta con a bordo due persone, una delle quali aveva sparato verso qualcuno.
La seconda testimone è Eleonora Guglielmo, allora ragazza alla pari presso l'abitazione di De Chiara, la quale ha riferito di aver udito qualcuno che gridava 'achtung, achtung' e scorto una motocicletta di grossa cilindrata, con due persone in sella, che seguiva un'auto, sulla quale era stato spinto un uomo all'interno, in direzione opposta verso via Stresa. Secondo la Guglielmo il passeggero aveva capelli di colore scuro, con una pettinatura a chignon e un boccolo che scendeva, dunque poteva essere una donna.
Ci sono poi le dichiarazioni dell'agente di polizia, quella mattina fuori servizio, Giovanni Intrevado, che vide avvicinarsi a via Fani una motocicletta di grossa cilindrata con due uomini a bordo, di età tra i 25 e i 30 anni, ambedue senza casco e uno armato di mitra. La moto si avvicinò lentamente, i due scrutarono le auto della scorta di Moro e i cadaveri a terra e poi svoltarono a sinistra, in via Stresa, allontanandosi rapidamente. In quello stesso momento, un altro testimone, Gherardo Nucci, vide una persona salire a bordo di una motocicletta che si allontanò dirigendosi in via Stresa, direzione Trionfale.
Così come i coniugi Francesco Damato e Daniela Sabbadini riferirono che all'incrocio tra via Trionfale e via Fani, tra le 8.20 e le 8.30, c'erano tre uomini, due dei quali in divisa, accanto a una moto, che deviavano il traffico impedendo alle auto di imboccare via Fani.
8. Il bar Olivetti: sede di un inedito intreccio di interessi. Un altro misterioso aspetto, su cui si sta concentrando la Commissione parlamentare d’inchiesta, è la possibilità che le Brigate Rosse scelsero via Fani perché il Bar Olivetti, davanti al quale avvenne la carneficina, era sede di un inedito intreccio di interessi.
La Commissione, in particolare, sta scandagliando l'ipotesi che il titolare del bar possa essere stato in relazione o con i servizi di sicurezza o con le forze dell'ordine. Alcuni testimoni riferirono, infatti, che il bar, nonostante fosse in liquidazione, non era affatto chiuso in quelle settimane e la mattina del 16 marzo, come invece è stato ripetuto negli ultimi 37 anni.
Il titolare, Tullio Olivetti, era un personaggio molto noto agli ambienti investigativi per essere stato coinvolto in un’inchiesta su un traffico internazionale di armi e di valuta falsa (aveva riciclato 8 milioni di marchi tedeschi provento di un sequestro avvenuto in Germania), da cui uscì indenne ma con il pesante sospetto che in realtà fosse un collaboratore di apparati istituzionali. Il suo nome compare anche negli elenchi delle persone presenti a Bologna nei giorni antecedenti la strage alla stazione del 2 agosto 1980. Olivetti fu sottoposto anche a una perizia psichiatrica eseguita dal “professore nero”, Aldo Semerari, l’ambiguo criminologo legato alla camorra e alla Banda della Magliana, assassinato nel 1982.
di Fabrizio Colarieti per lettera43.it [link originale]