Giuseppe De Lutiis, uno dei massimi esperti italiani di spie lo ripete anche nel suo libro “Storia dei servizi segreti in Italia” (Editori riuniti): “Non esistono i Servizi segreti deviati, ma le deviazioni dei Servizi segreti”. E forse nelle segrete stanze della nostra intelligence - tra uno scandalo e l’altro - la situazione è ancora questa. Non ha vita facile, perciò, il prefetto Gianni De Gennaro (ex capo della polizia, nella foto), a due anni dalla sua nomina, definita di “alto prestigio”, al vertice del Dipartimento informazioni della sicurezza (il Dis, ex Cesis): il super Servizio che vigila e coordina l’attività delle due agenzie – Aisi e Aise – nate dopo la riforma del 2007 al posto di Sismi e Sisde.
Recentemente, provando a imporre un “volto nuovo” dell’intelligence, anche raccogliendo, per esempio, migliaia di curriculum di giovani italiani interessati a lavorare per i Servizi, proprio De Gennaro disse che era necessario sgombrare il campo dai luoghi comuni e dai pregiudizi legati al passato. Diffondere, insomma, l'idea di una intelligence trasparente e affidabile, che lavora per la difesa del bene comune, integrata nelle dinamiche sociali del Paese. Eppure non solo De Gennaro ha il sentore, leggendo i giornali e ascoltando la tv, che l'unica idea dei Servizi di informazione che passa è l'istituzionalizzazione di un concetto negativo, “semplificato nella più diffusa definizione di Servizi deviati”.
C’è qualcosa che non va, qualcosa che serpeggia nei palazzi, che fa tremare le poltrone, che continua a velare l’immagine dell’intelligence italiana. Un virus che viene da lontano, dagli scandali degli anni settanta - dal Supersismi all’Ufficio affari riservati del Viminale passando per i fondi neri del Sisde dei primi anni novanta. Un virus che si tramanda da generazioni di “barbafinte”, che ha ormai impregnato, come nel caso dell’Aisi (ex Sisde), le pareti della direzione romana via Giovanni Lanza. Là anche il direttore Giorgio Piccirillo (ex carabinieri), pare non abbia vita facile, insieme ai suoi vicedirettori, Nicola Cavaliere (ex polizia) e Paolo Poletti (ex finanza), nel tenere saldo il timone e rinnovare le fila. A mietere vittime, a offuscare l’immagine dell’Agenzia per la sicurezza interna, sono gli scheletri nell’armadio, i sospetti che arrivano dal passato. A Palermo che ruolo ebbero decine di agenti segreti, molti dei quali ancora in servizio, durante la stagione di sangue che vide cadere Falcone e Borsellino? L’onda lunga di quell’epoca vela ancora oggi la rispettabilità del Servizio segreto civile e a mettere tutto in discussione non sono solo le parole di Massimo Ciancimino.
Il sospetto condiziona le scelte, mina la credibilità e rende complicato il cambiamento, ormai necessario. All’Aisi dicono che andava fatta pulizia, fino in fondo. Andavano salvaguardate le professionalità migliori e i ruoli – senza condizionamenti - per portare oltre la riforma solo la parte buona. In parte ci sono riusciti perché la nostra intelligence, dopo tutto, può ancora contare su uno zoccolo duro di anonimi professionisti che ogni giorno lavorano per il bene del Paese. Eppure, dopo l’era Mario Mori (ex carabinieri), il precedente direttore che portò nel Sisde una ventata di cambiamento e dall’Arma decine di uomini “fidati” - tanti da trasformare mezzo Servizio in “Super Ros” - l’intelligence interna è arrivata al traguardo della riforma con le ossa rotte. Uno di quegli uomini, un sottufficiale che dal Ros transitò nel Sisde sotto Mori, secondo una recente indagine della procura di Reggio Calabria sarebbe una delle due talpe che avrebbe fornito informazioni alle cosche della 'ndrangheta su numerose inchieste in corso. È una mela marcia, una delle tante. Ma il Servizio segreto civile pare possa contare su pochi uomini, poche tecnologie, con un fronte, quello interno (per esempio nell’area anarchica e dell’antagonismo), lasciato allo sbando con decine di canali informativi chiusi, anche per mancanza di fondi, da un giorno all’altro. Rimettere in piedi un Servizio, dopo una riforma, che ha anche imposto la ridistribuzione dei compiti tra le due agenzie, dicono 007 con anni di esperienza dietro le spalle, è davvero complicato. All’Asie (l’ex Sismi), dopo la discutibile gestione del precedente direttore, Nicolò Pollari (ex finanza), dopo gli scandali (Telecom e Abu Omar), la riforma e una rapidissima ristrutturazione, l’aria che si respira non è migliore e la macchina – secondo fonti bene informate - stenta a ripartire.
Di certo se i magistrati di tre procure (Palermo, Caltanissetta e Firenze) bussano alla porta dei Servizi per farsi consegnare l’album delle foto di una quarantina di agenti segreti da mostrare a Massimo Ciancimino, che li chiama in causa, una goccia alla volta, nella trattativa tra Stato e Mafia, c’è qualcosa che non va. Attendibilità di Ciancimino a parte è ormai assodato che giù a Palermo, che si chiamino Franco o Carlo o “faccia da mostro”, un pezzo marcio e infedele della nostra intelligence giocò, dall’altra parte della barricata, un gioco sporco. Come non è “normale” che il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (il Copasir), nell'ambito delle proprie funzioni di controllo, decida di chiedere al direttore del Dis, Gianni De Gennaro, di riferire sulle procedure di acquisizione di beni e servizi e sui lavori realizzati nelle strutture di competenza di Dis, Aise e Aisi dalla “cricca” di Diego Anemone. Per esempio sui lavori milionari compiuti in una delle sedi “coperte” dell’Aisi a Roma, tuttora operativa, in piazza Zama. Non sono solo le palazzine a finire dentro le inchieste giudiziarie, ci sono finiti, recentemente, anche nomi eccellenti, come quello del generale della Guardia di finanza, in forza proprio all’Aisi, Francesco Pittorru.
Anche intorno alla politica torna ad agitarsi lo spettro dei Servizi deviati. Il riferimento è alla squadra di agenti dell'Aise che avrebbe tenuto sotto “osservazione” politici e uomini delle istituzioni. A denunciarlo, un paio di mesi fa, è stato Italo Bocchino (Pdl). Il finiano ha riferito al Copasir di essere stato oggetto d'attenzioni da parte di settori dei Servizi segreti. La vicenda, molto torbida, è nota e parte il 31 gennaio scorso quando al cellulare di Bocchino arriva un sms di minaccia inviato da una cabina telefonica di Reggio Calabria. Da quel telefono pubblico, lo stesso giorno, partono anche altri due sms analoghi destinati a due agenti dei Servizi. Nelle stesse ore si diffonde anche un’altra notizia, poi smentita, su un oscuro episodio accaduto a Roberto Maroni. La scorta dell'esponente leghista, attuale ministro dell’Interno, notò nei pressi della sua abitazione romana un'auto sospetta con alcune persone a bordo che si identificarono come carabinieri. Dai controlli, tuttavia, sarebbe emerso che quella macchina era stata noleggiata dall'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (l’Aise).
di Fabrizio Colarieti - il Punto n° 24 del 17 giugno 2010 [pdf]