Quanti uomini facevano parte del commando che sequestrò l’ex presidente della Dc, Aldo Moro, annientando la sua scorta? Quante e quali armi spararono sulla scena del crimine? Quale fu l’esatta dinamica dell’agguato? A queste e ad altre domande, che da trentasette anni tormentano la storia del nostro Paese, la scienza e le nuove tecnologie di crime analysis potrebbero dare delle risposte. È l’obiettivo degli accertamenti avviati il 22 febbraio dalla Polizia Scientifica in via Mariani Fani, a quasi quarant’anni dall’eccidio del 16 marzo 1978, che in quel luogo costò la vita a due carabinieri e a tre agenti di polizia aprendo, per Moro, le porte di un lungo calvario.
A pretendere delle risposte, innanzitutto, è il Parlamento, attraverso una Commissione d’inchiesta, fortemente voluta dal Partito Democratico, che ad ottobre, dopo l’approvazione di una legge istitutiva, è tornata a indagare sui cinquantacinque giorni più lunghi della storia repubblicana. È stato lo stesso organismo a spedire in via Fani gli investigatori della Scientifica con l’incarico di compiere, utilizzando un sofisticato scanner laser, una ricostruzione grafico-digitale che consentirà, dopo una lunga elaborazione al computer, di “rivivere” e “muoversi” su tre dimensioni all’interno della scena del crimine. Permetterà di ri-posizionare tutti gli elementi: i 9 brigatisti che ufficialmente presero parte all’agguato, le auto che bloccarono il corteo di Moro, quelle utilizzate dalle bierre per la fuga e, forse, anche fare chiarezza sul ruolo di quella misteriosa moto Honda su cui, ancora oggi, si addensano dubbi e sospetti. Un’analisi che servirà soprattutto a tracciare le traiettorie di quei 91 colpi sparati in una manciata di minuti, 49 dei quali attribuiti ad una sola arma che non sbagliò mai. ...continua a leggere "Caso Moro, la scientifica torna in via Fani per far “rivivere” la scena del crimine"
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Caso Moro, quattro magistrati e un investigatore collaboreranno con la Commissione
La Commissione d’inchiesta sul caso Moro si avvarrà della collaborazione di quattro magistrati e di un investigatore dell’Arma dei Carabinieri. E’ quanto ha deciso lo stesso organismo parlamentare presieduto dal Giuseppe Fioroni. Tre magistrati sono stati già designati dal comitato di presidenza del Consiglio superiore della magistratura e hanno prestato il loro consenso a collaborare con la Commissione.
Si tratta del sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale dell’Aquila,Antonietta Picardi, del magistrato distrettuale requirente della Procura generale presso la Corte di appello di Roma, Antonia Giammaria, e del sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Viterbo, Massimiliano Siddi. La Commissione Moro ha già deliberato di avvalersi anche della collaborazione di Gianfranco Donadio, già Procuratore nazionale antimafia aggiunto e già fuori ruolo presso la Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali.
La Commissione, che secondo la legge ha gli stessi poteri investigativi dell’Autorità giudiziaria, attende un nulla osta da parte dei Carabinieri per avvalersi anche della collaborazione del tenente colonnello Massimo Giraudo, in passato già consulente di organismi parlamentari e inquirente di lungo corso nell’ambito di inchieste su eversione e stragismo. L’investigatore potrebbe riprendere e completare le indagini sul caso Moro già condotte per la Commissione stragi fino al 2001 e fornire ulteriori elementi di informazione.
Attraverso la Polizia di Stato, e in particolare gli esperti della Scientifica, la Commissione intende verificare anche quali accertamenti è ancora possibile compiere sulle vetture coinvolte nella strage di via Fani delle quali la Commissione ha acquisito la disponibilità. Si tratta, in particolare, della Fiat 128 giardinetta con targa diplomatica utilizzata dai brigatisti, della Fiat 130 a bordo della quale viaggiava Aldo Moro e dell’Alfa Romeo Alfetta utilizzata dagli uomini della scorta.
di Fabrizio Colarieti
Caso Moro, Grassi: «in via Fani c’erano uomini e automezzi dei Servizi»
In via Fani la mattina del 16 marzo 1978, il giorno in cui le Brigate Rosse rapirono Aldo Moro e annientarono la sua scorta, c’erano uomini e automezzi dei Servizi segreti. E’ quanto ha rivelato al settimanale Oggi il vicepresidente dei deputati del Partito democratico e membro della Commissione parlamentare sul caso Moro, Gero Grassi. «Certamente queste persone non erano lì a prendersi un caffè», ha aggiunto l’esponente democratico. «Spararono anche loro? Lo sospettiamo fortemente, ma non siamo ancora in grado di dimostrarlo. Quello che però possiamo dire con assoluta certezza – ha detto ancora Grassi – è che le Brigate rosse non agirono da sole, ma furono quantomeno “accompagnate”».
L’attacco al presidente della Dc e alla sua scorta durò tre minuti, dalle 9.02 alle 9.05, e poté perfezionarsi grazie a un fondamentale particolare. «Per anni – spiega Grassi – ci hanno raccontato che la Fiat 130 su cui viaggiava Aldo Moro fu bloccata dalla 128 condotta dal brigatista Moretti che tagliò l’incrocio a marcia indietro e la tamponò sul frontale. Ma non è vero. Non ci fu nessun tamponamento. E’ vero, invece che all’incrocio tra via Fani e via Stresa, nel posto dove abitualmente stazionava il furgone del fioraio Spiriticchio, a cui erano stati squarciati gli pneumatici la sera prima, c’era parcheggiata una Austin Morris targata Roma T50354, della società Poggio delle rose, di proprietà dei Servizi segreti italiani, con sede in via Libertà, 10».
Fu proprio quest’auto, secondo il vicepresidente dei deputati del Pd, a bloccare la via di fuga alla 130 di Moro. E c’è dell’altro. Alla sinistra dell’auto di Moro, vi era parcheggiata un’altra Mini minor il cui proprietario era Tullio Moscardi, membro di Gladio, la struttura paramilitare segreta della Nato. «Sul lunotto posteriore di quest’auto – ha concluso Grassi – c’era in bella evidenza un foglio rettangolare bianco. Sembra un particolare insignificante, ma oggi siamo in grado di dire che nel linguaggio delle operazioni coperte, quel simbolo vuol dire una cosa precisa: “Servizi in azione”».
di Fabrizio Colarieti
Caso Moro, la Commissione tornerà a indagare sulla dinamica dell’agguato di via Fani
La Commissione Moro ricostruirà, punto per punto, l’agguato di via Fani. Sarà una ricostruzione dettagliata che riguarderà la dinamica, le diverse fasi e presenze deducibili dai fatti. «Dobbiamo verificare – ha detto il presidente dell’organismo parlamentare Giuseppe Fioroni – se ci sia stato o no il tamponamento tra l’auto delle Br e quella di Moro e molto altro. Ricostruiremo i fatti in quello che la magistratura chiama “incidente probatorio”».
«Ci sono mille cose che non quadrano a cominciare da via Fani: grazie ad un inchiesta giornalistica ora sappiamo che la Austin Morris che bloccò la strada alla 130 di Moro, impedendole di svincolarsi dalla trappola che le era stata tesa, è riconducibile ad una società di copertura dei servizi segreti», ha dichiarato il vicepresidente dei deputati del Pd, Gero Grassi, intervenendo alla Camera alla presentazione di un libro su Aldo Moro.
Secondo quanto ha ricostruito la giornalista Stefania Limiti, la mattina del 16 marzo 1978 la Fiat 130 su cui viaggiava Moro e l’Alfetta della sua scorta imboccarono la parte alta di via Fani, lasciando via Trionfale. Giunsero poi all’altezza dell’incrocio di via Stresa e lì si trovarono di fronte una Fiat 128 targata corpo diplomatico: si è sempre detto che quest’auto fu tamponata dall’autista di Moro, in realtà non vi fu alcun tamponamento intenzionale che avrebbe potuto alterare la dinamica dell’azione, dando tempo agli uomini della scorta di reagire (come spiega anche Mario Moretti nel suo libro intervista). La 128 si fermò regolarmente allo stop e contemporaneamente i brigatisti, appostati dietro le siepi del bar Olivetti, aprirono il fuoco.
All’angolo di via Stresa era parcheggiata un’auto che impedì all’autista della 130 con a bordo il presidente della Dc di tentare una più agile manovra per eludere la Fiat 128 che gli si era posta di fronte (quella guidata dal commando della Br). Racconta Valerio Morucci: “lapresenza casuale di una Mini (in realtà era l’Austin Morris a dx nella foto, ndr) all’angolo di via Fani con via Stresa fu fatale per Aldo Moro”. Quando l’autista del presidente Dc si rese conto di trovarsi al centro di un agguato, tentò istintivamente di spingere l’acceleratore e trovare una via di fuga ma la manovra gli fu impossibile. L’Austin gli sbarrò la strada. La trappola era scattata: i mitra dei brigatisti già avevano cominciato a sparare, i cinque uomini della scorta vennero annientati e Moro finì nelle mani del commando.
L’Austin Morris, la cui targa (Roma T50354) è ben visibile in molte foto, era stata acquistata un mese prima dell’operazione Moro da una società immobiliare di nome Poggio delle Rose che aveva sede nella capitale, in Piazza della Libertà 10, esattamente nello stabile nel quale si trovava anche l’Immobiliare Gradoli Spa riconducibile a fiduciari del Sisde. La presenza dell’Austin in via Fani secondo la giornalista Stefania Limiti «non ha mai assunto nessuna rilevanza nelle ricostruzioni successive: come se fosse stata opportunamente sfilata dalla scena del crimine, sottratta alla ricostruzione ufficiale del caso, sbianchettata dal quadro».
di Fabrizio Colarieti