Il Gruppo intervento speciale dei Carabinieri (Gis) ha festeggiato, a Roma, il suo 40° anniversario di fondazione. Alla cerimonia, tenutasi alla Caserma Salvo D’Acquisto di viale Tor di Quinto, hanno partecipato i ministri della Difesa e dell’Interno, Elisabetta Trenta e Matteo Salvini, oltre al Capo di stato maggiore della Difesa, Claudio Graziano, e al Comandante generale dell’Arma, Giovanni Nistri. Il Comandante generale dei Carabinieri, nel corso del suo intervento, ha sottolineato come il Gis operi mosso dal desiderio di servire. “Uomini del dovere che mettono i loro diritti in secondo piano dietro quelli dei cittadini” ha detto il generale Nistri. “Non super uomini, ma degli uomini consapevoli”. Riprendendo il motto del Gis “nella virtù del singolo trae la forza il gruppo”, l’Arma “tutti i giorni si deve ricordare che è nella virtù dei 110.000 uomini che compongono la nostra Istituzione che abbiamo tratto, che traiamo e che trarremo sempre la forza per continuare a servire le istituzioni”. “Nella virtù di 110.000 uomini – ha aggiunto il comandante generale dei Carabinieri -, che sono molti ma molti più di dei pochi che possono dimenticare la strada della virtù”. Salvini, nel corso del suo intervento, ha ricordato che il suo dovere di ministro è di dare all’Arma “non solo uomini e mezzi ma il senso dell’onore e il senso del rispetto”. ...continua a leggere "Le teste di cuoio dei Carabinieri festeggiano 40 anni. Alla cerimonia del Gis anche Salvini e Trenta"
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Chi è Pasquale Angelosanto, il nuovo comandante del Ros
Il generale Pasquale Angelosanto è il nuovo comandante del Raggruppamento operativo speciale (Ros), l’élite investigativa dell’Arma dei Carabinieri. Angelosanto ha preso il posto del generale Giuseppe Governale che da due anni era alla guida della struttura anticrimine dell’Arma. Governale lascia in eredità al Ros importanti indagini sul fronte del contrasto della corruzione e della criminalità organizzata, ma anche del terrorismo di matrice jihadista e dell’eversione interna. Governale, contestualmente, è stato nominato direttore della Direzione investigativa antimafia (Dia), incarico finora ricoperto dal generale della Guardia di Finanza, Nunzio Antonio Ferla.
Angelosanto, 58 anni, approda al Ros dopo aver comandato per due anni il terzo Reparto del Comando generale dei Carabinieri che si occupa di informatica, telecomunicazioni, sistemi telematici, armamento ed equipaggiamenti speciali. La sua carriera è ricca di importanti incarichi, tutti in ambito operativo e soprattutto investigativo.
Dopo aver frequentato l’Accademia militare di Modena e la Scuola ufficiali Carabinieri di Roma, ha svolto numerosi incarichi in seno allo stesso Raggruppamento operativo speciale e nei reparti territoriali particolarmente impegnati nella lotta al crimine organizzato. ...continua a leggere "Chi è Pasquale Angelosanto, il nuovo comandante del Ros"
Retroscena di una trattativa
Il momento esatto non si conosce. È intorno al 13 dicembre 1991, il giorno in cui la Cupola delibera che Falcone e Borsellino dovevano morire. Una data che combacia con l’inizio della strategia del terrore e con un lungo rosario di eventi ancora da decifrare. È l’inizio di un conflitto che terminerà, lasciando sul campo decine di morti, solo dopo le stragi del 1993. In mezzo ci sono l’omicidio dell’europarlamentare Salvo Lima e gli eccidi di Capaci e via D’Amelio. E ci sono anche la presunta trattativa Stato-Mafia e quel “papello”, con le condizioni di Totò Riina, che secondo le più recenti indagini della Procura di Palermo - l’ossatura del processo che si aprirà il prossimo 27 maggio - finì prima nelle mani dei carabinieri e poi nel cuore delle istituzioni.
LA SENTENZA DI MORTE. A capotavola, racconteranno le inchieste degli anni a seguire, c’è proprio lui, il Capo dei capi. Intorno a Totò u curtu, la Cupola al completo: Greco, Aglieri, La Barbera, Cangemi, Brusca, Ganci, Biondino, Madonia e Graviano. «Ora è arrivato il momento in cui ognuno di noi si deve assumere le sue responsabilità», queste le parole del padrino di Corleone, prima di pronunciare la sentenza di morte. La mafia siciliana sta attraversando un momento davvero difficile. Lo Stato gli ha inferto colpi durissimi. Il maxi processo, nato dalle indagini di Falcone e Borsellino, in meno di un anno, tra il 1986 e il 1987, ha già mandato alla sbarra e fatto condannare quasi 400 mafiosi, senza contare i 19 ergastoli che hanno di fatto decapitato i vertici di Cosa nostra, compresi gli imprendibili Riina e Provenzano. La lama della giustizia è penetrata a fondo colpendo non solo uomini d’onore e capi mandamento, ma anche gregari e soldati. Le collaborazioni di Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno, Antonino Calderone e Francesco Marino Mannoia, hanno permesso al pool di Palermo di comprendere il linguaggio mafioso e la struttura di un’organizzazione criminale che fino a quel momento non era stata ancora definitiva né “verticistica” né con il nome di Cosa nostra. Il maxi processo si concluderà in Cassazione il 30 gennaio 1992, meno di quaranta giorni dopo la riunione della Cupola. E non colpirà la piovra solo sul piano repressivo, ma anche su quello dell’autorevolezza. Secondo i pm di Palermo, che hanno indagato sulla presunta trattativa Stato-Mafia, è proprio da lì «che iniziò una nuova presa di coscienza all’interno dei vertici dell’organizzazione mafiosa e che prese avvio la crisi dei rapporti di Cosa nostra con i referenti politici tradizionali, che agli occhi dei capimafia avevano fallito su uno dei terreni più importanti per i quali la mafia a loro si rivolgeva: la garanzia dell’impunità». ...continua a leggere "Retroscena di una trattativa"
Processo allo Stato
Qualcuno lo ha paragonato al processo Andreotti, quando per la prima volta il sospetto che la politica, quella con la “p” maiuscola, fosse collusa con la mafia finì dentro un’aula di tribunale. Oggi, ventuno anni dopo il tritolo di Capaci e via D’Amelio, sul banco degli imputati, insieme alla politica e a vertici di Cosa nostra, c’è finito anche lo Stato. Processerà se stesso, a partire dal 27 maggio, il giorno in cui, secondo il gup Piergiorgio Morosini, quattro boss mafiosi, due politici, tre ufficiali dell’Arma dei carabinieri e un ambiguo testimone dovranno rispondere di fronte alla giustizia di aver preso parte, con ruoli differenti, alla presunta trattativa Stato-Mafia.
LA TRATTATIVA. E’ uno dei capitoli più oscuri della storia del nostro Paese. Secondo i magistrati di Palermo – che dopo quattro anni di indagini hanno chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di tutti gli indagati oggi imputati in attesa di giudizio dinanzi alla prima Corte d’Assise di Palermo – per fermare le stragi, tra il 1992 e il 1994, lo Stato scese a patti con Cosa nostra. Facendo avvicinare i vertici della cupola palermitana dagli emissari del Ros dei carabinieri con in tasca il benestare della politica a trattare una resa militare, sedendosi a un tavolo che era già sporco di sangue. Quello del giudice Paolo Borsellino, che dello scellerato dialogo in corso tra i carabinieri e i colonnelli di Riina era venuto certamente a conoscenza poco prima della sua morte, e di Giovanni Falcone, ilmagistrato che aveva osato sfidare la piovra convincendo don Masino Buscetta a parlare e che da anni sosteneva l’esistenza di un “terzo livello”. Questo, in estrema sintesi, è il teorema a cui ha creduto il gup Morosini rinviando a giudizio 10 dei 12 indagati dell’inchiesta avviata dai pm Antonio Ingroia, Lia Sava, Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. ...continua a leggere "Processo allo Stato"