Vai al contenuto

1

In attesa che Wikileaks pubblichi le ultime fughe, giusto per farsi un'idea, giusto per capire cosa scrivono di solito gli americani nei loro coloriti dispacci interni dedicati al nostro Paese, e in particolare alla nostra politica, basta rileggersi quanto l'Ambasciata americana di Roma scriveva a Washington, al Dipartimento di Stato, e a Langley, alla Cia, sull'affaire Ustica. Si tratta di un malloppo di telex in lingua inglese, che vanno dal 1980 al 2000, giunti in Italia nel 2003 - già declassificati e zeppi di censure - grazie al Freedom Information Act. Stragi80.it li pubblicò tutti e vale proprio la pena rileggersi quelle carte, proprio per capire cosa scrivono gli analisti americani quando parlano del Bel Paese.

Per scaricare i telex in pdf: prima parte - seconda parte - pdf-ocr

Vent'anni di preoccupazioni - di Paola Pentimella Testa (Avvenimenti, 7/5/2004)

«Secondo lei a un paese alleato e potente come gli Stati uniti d’America è possibile negare qualcosa? Abbiamo perso la guerra, non se lo dimentichi». Quel qualcosa, che Fabio Ghioni dice e non dice rispondendo alle nostre domande, è il “rumors” - mai smentito né confermato - che l’intelligence americana abbia da tempo piazzato delle “sonde” sui cavi telefonici in transito in Italia. La posizione strategica dello stivale è definita dagli esperti “punto stella”. Passano infatti per il Belpaese tutti i cavi che permettono - su scala globale - le comunicazioni telefoniche e lo scambio di dati. A gestire il “punto stella” è proprio Telecom Italia Sparkle. L’azienda, controllata da Telecom Italia, gestisce la sua rete attraverso Seabone, il backbone in fibra ottica di 375mila chilometri che in tutto il mondo provvede a fornire il “routing” per la maggior parte del traffico generato da Telecom Italia. In Sicilia (a Palermo e Mazara del Vallo) approdano anche i cavi sottomarini SeaMeWe3 e SeaMeWe4. In rete è possibile rintracciare molta documentazione sul sistema di intercettazione globale Echelon, nato dall’accordo Ukasa sottoscritto nel ‘46 da Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda, e gestito dalla statunitense National Security Agency. Le comunicazioni che avvengono tramite cavi sottomarini possono essere intercettate, tanto e quanto quelle che viaggiano nell’etere, e questo è noto fin dal ‘71 quando un sottomarino americano riuscì a registrare le telefonate passanti attraverso un cavo militare russo. Nel 2004 la marina Usa e la Nsa hanno messo in servizio il sottomarino “J. Carter” che, a detta di Duncan Campbell, uno dei massimi esperti di Echelon, sarebbe in grado di spiare i cavi sottomarini di mezzo mondo. L’interesse dell’intelligence americana al traffico telefonico italiano, in particolare verso il Medio Oriente, è ben noto già dalla fine degli anni Novanta, come ha confermato a Report un vecchio direttore della compagnia telefonica: «I servizi segreti - ha affermato l’alto dirigente di cui non si conosce l’identità - volevano avere accesso al nodo di Palermo. C’erano dei collegamenti con l’America tant’è che io andai dal Presidente del Consiglio (Romano Prodi, ndr)». La Cia, perciò, voleva accedere al “nodo” siciliano, uno dei più importanti dell’Europa centrale, e non è chiaro se alla fine il governo gli lo ha permesso e in che termini. Un centro di ascolto statunitense, ormai abbandonato ma rimasto in funzione fino al ’97, sempre Report, lo ha filmato (puntata del 16 maggio scorso) a pochi chilometri da Aviano.

Il Punto - di Fabrizio Colarieti - 30 giugno 2010 [pdf]

antonio di pietroA volte ritornano, anche a distanza di diciassette anni. Dal dossier “Achille” alle foto che ritraggono Antonio Di Pietro a tavola con l’allora numero tre del Sisde, Bruno Contrada, di acqua sotto i ponti ne è passata davvero tanta. Era il ’96, quando il Corriere sparò a nove colonne la notizia dell’esistenza di un dossier del Sisde, per l’appunto il dossier “Achille”, dal nome della gola profonda che lo aveva ispirato, che conteneva un bel po’ di notizie riservate su Di Pietro e sul pool di Mani Pulite. In sei cartelle - anche se l’autore, lo 007 Roberto Napoli, disse che erano molte di più - c’erano i rumors raccolti dagli agenti di via Lanza sul conto di Di Pietro nel corso di un’indagine compiuta non si sa ancora per conto di chi. Il Viminale, imbarazzato e travolto dalle polemiche, spiegò che non si trattava di indagini sull’allora pm, ma di una “copiosa documentazione” in cui erano stati rinvenuti “solo alcuni atti con incidentali riferimenti al nominativo del dottor Di Pietro”. Un dossier che era parte di un fascicolo, composto da almeno un centinaio di cartelle, che tecnicamente fu definito “galleggiante”. Quattro anni prima l’uscita di quelle maleodoranti veline, per l’esattezza il 15 dicembre 1992, l’attuale leader dell’Idv partecipò - lo racconta ancora il Corriere in un ampio servizio del 2 febbraio scorso - all’ormai famigerata cena, di cui ci sono le foto, insieme a Contrada e ad altri ufficiali dei Servizi e dell’Arma. Erano tutti più giovani: Di Pietro non c’azzeccava ancora nulla con la politica e Contrada era, anche se ancora per poco, il numero tre del servizio segreto civile (lo stesso che raccoglieva rumors sul pool). Ancora per poco, perché nove giorni dopo il funzionario palermitano finì in manette con la pesante accusa di concorso esterno in associazione mafiosa sulla base delle dichiarazioni di alcuni pentiti (nel 2007 è stato definitivamente condannato a 10 anni). “Non sapevo neanche che esistessero le foto”, commenterà Di Pietro: “Ero in una mensa dei carabinieri non in un ristorante o in un night”. E poi ancora: “Sono orgoglioso che il 16 dicembre del 1992 o del 1993, non ricordo, a ridosso di Natale sono stato invitato dai carabinieri alla presenza di ufficiali e sottoufficiali e anche di alti esponenti delle istituzioni, quali anche il questore Contrada, a una cena natalizia. Io a differenza di chi va a cena con le veline di turno - dice ancora l’ex pm - sono andato a cena con i carabinieri che lavoravano con me a Mani Pulite. Se poi qualcuno, nella fattispecie Contrada, ha commesso reati per i quali successivamente è stato arrestato, è lui che ha sporcato quella cena, non certo io”. A quella cena c’era seduto anche un agente americano che poi ha fatto carriera, l’italiano Rocco Mario Mediati, che dalla multinazionale statunitense della sicurezza “Kroll”, dove lavorava all’epoca di quello scatto, è finito al “Secret Service” di via Veneto, dove lavora oggi. “Chi lo conosce?”, dice Di Pietro: “Mai avuto a che fare né con l'agenzia Kroll, né con la Cia, sia chiaro”. Vivaddio. Chi ha tirato fuori, diciassette anni dopo, le foto di quella cena? L’avvocato Mario Di Domenico, che ha scritto a quattro mani con Di Pietro lo statuto dell’Idv e dopo aver rotto con lui ha riempito un libro anche con quelle immagini, dice di averle avute da una persona che quella sera era a quel tavolo. Una barbafinta? Andreotti diceva che a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.

di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 18 febbraio 2010 [pdf]

Cervia_DavideLo aspettavano sotto casa, erano pronti a tutto pur di rapirlo. Lo hanno spinto, poi picchiato e prima di farlo salire con la forza su un’auto lo hanno narcotizzato avvicinandogli un fazzoletto alla bocca. Davide Cervia è scomparso così, diciassette anni fa. È la ricostruzione più plausibile di un’azione che assomiglia tanto all’extraordinary rendition con cui la Cia ha sequestrato, nel 2003 a Milano, l’imam Abu Omar. Questa è la storia di un uomo sparito nel nulla, diventato “indispensabile” a chi trafficava in armamenti e sofisticate apparecchiature elettroniche per la difesa made in italy mentre le truppe di Saddam Hussein invadevano il Kuwait. Urlava, si dimenava, Davide Cervia ha tentato fino all’ultimo istante di richiamare l’attenzione di un suo vicino di casa, ma non ce l’ha fatta. Da quel mercoledì 12 settembre 1990 di lui non si sa più nulla. Siamo a Velletri, in provincia di Roma, all’altezza del civico 28 della Contrada Colle dei Marmi. Davide Cervia sta rientrando a casa, dove lo aspetta sua moglie, Marisa Gentile, insieme ai suoi due figli, un bimbo di 4 anni e una bambina di 6. Sono le cinque del pomeriggio. Un agricoltore, Mario Cavagnero, è il primo testimone oculare ad assistere alle fasi successive al sequestro. L’uomo ha un fondo vicino all'abitazione di Cervia e quel pomeriggio, mentre è intento ad annaffiare una siepe, come dirà agli inquirenti, sente le urla di Cervia. Lo sente pronunciare, per almeno tre volte, il suo nome: «Mario… Mario… Mario…». Tutto avviene mentre un’auto di colore chiaro percorre in direzione della via Appia Nuova il viale che porta a casa di Cervia. Cavagnero, oggi scomparso, racconta prima ai familiari di Cervia poi ai Carabinieri di avere avuto la sensazione che dentro quell’auto ci fosse proprio il suo vicino di cui ha riconosciuto la voce, alta e concitata. C’è un altro testimone: è un autista delle autolinee Acotral, Alfio Greco. Il conducente è alla guida del pullman sulla linea Torvajanica-Velletri ed è costretto a frenare bruscamente proprio nel punto dove la Contrada Colle dei Marmi si immette sulla Via Appia Nuova. Un’auto, una Wolkswagen Golf bianca, con alla guida un giovane dalla carnagione chiara e con i baffi, non gli dà la precedenza. Lui è costretto a lasciarlo passare. L’auto è seguita, a brevissima distanza, da un’altra Golf verde scuro con a bordo almeno altre tre persone. Sui sedili posteriori, dirà l’autista del pullman agli inquirenti, c’è seduto qualcuno che ha le spalle poggiate al vetro quasi a voler coprire qualcosa o qualcuno. Le due auto, superato l’incrocio, prima di scomparire nel nulla si immetteranno a forte velocità sull’Appia Nuova in direzione Genzano-Roma. Ma chi è Davide Cervia? Nato a Sanremo nel ’59, nel settembre 1978 si arruola come volontario in Marina dove rimane, prima di congedarsi rinunciando ai ruoli permanenti, fino a tutto l’83, anno in cui conosce la donna che di lì a poco diventerà sua moglie. Fino all’agosto 1980 Cervia frequenta un corso biennale, come tecnico elettronico, alla Scuola della Marina di Taranto. Nel settembre dello stesso anno è trasferito a La Spezia e imbarcato sulla nave officina Moc 1204 e successivamente partecipa, nelle stesse officine, all’allestimento della nave Maestrale. Le sue eccellenti capacità nel campo dell’elettronica gli permettono subito di distinguersi. Terminato con ottime valutazioni l’iter addestrativo, Cervia, con la qualifica di “addetto Elt/Ete/Ge”, viene impiegato nella manutenzione e nell’utilizzo di particolari apparecchiature radar di “intercettazione” e “inganno”. In parole povere il sottufficiale è un esperto di guerra elettronica. Frequenta anche alcune aziende specializzate nella progettazione di apparecchiature per scopi militari, in particolare la Elettronica Spa di Roma e la Sma di Firenze, e gli viene rilasciato anche un apposito nulla osta di sicurezza (Nos segreto-Nato). Era abilitato - scriverà lo Stato Maggiore della Marina nel ’91, fornendo più versioni del suo foglio matricolare nel corso delle indagini - all’uso di sottosistemi di guerra elettronica installati sulle fregate della Marina. Sono tutte apparecchiature il cui funzionamento risultava classificato “riservatissimo”. Cervia con il grado di sergente lascia la Marina nell’84. Ha un bel curriculum e alle spalle cinque anni di formazione. Negli anni Ottanta-Novanta, quando la discussa industria militare italiana vantava commesse da tutto il mondo, fa presto a trovare lavoro nel privato. Si fa assumere dalla Enertecnel Sud, una società che produce componenti elettronici ad Ariccia, un altro comune dell’hinterland romano a mezz’ora da Velletri dove Cervia nell’88, ormai sposato, si è trasferito. Il tecnico lavora e pensa alla sua famiglia a cui è molto attaccato, non ha nessun motivo per mettere in pratica insani gesti. Chi lo ha rapito può essere interessato solo alle sue capacità tecnico-militari acquisite in Marina e dentro quelle aziende della cosiddetta Tiburtina Valley. Chi lo ha rapito ha bisogno di lui per far funzionare qualcosa che lui conosce come le sue tasche: i radar. Marisa Gentile, la moglie che ancora oggi si batte nella ricerca della verità, si reca a denunciare la scomparsa del marito il giorno successivo e da allora attende di sapere perché glielo hanno portato via. Il coraggio, l’ostinazione di Marisa e della sua famiglia hanno permesso che si scrivesse, nero su bianco, che Davide Cervia fu vittima di un sequestro. Lo ha scritto l’allora sostituto procuratore generale della Corte d’Appello di Roma, Luciano Infelisi,chiedendo nel novembre del ’99 l’archiviazione «perché ignoti gli autori del reato» dell’unica indagine che sia riuscita ad arrivare a una conclusione pur non facendo piena luce sul caso. C’è voluta l’ostinazione di Marisa Gentile, del giornalista Gianluca Cicinelli, che sul caso ha scritto un libro e costituito insieme alla moglie di Cervia un Comitato per la verità, e dell’avvocato Nino Marazzita affinché la Procura generale avocasse a sé l’indagine avviata dalla Procura di Velletri che non riusciva ad esercitare l’azione penale «per carenza di organico». Eppure Marisa Gentile e Gianluca Cicinelli sono finiti sul banco degli imputati accusati - e poi assolti perché il fatto non costituisce reato – per i contenuti di quel libro pubblicato nel ’94 che ruppe il silenzio sul caso Cervia. Secondo il procuratore Luciano Infelisi, Cervia non aveva motivo di allontanarsi volontariamente dalla sua abitazione, né di togliersi la vita. Quel pomeriggio tornava a casa dove aveva dato appuntamento ad alcuni tecnici dell’Enel che dovevano eseguire dei lavori e per la mattina successiva aveva chiesto a un suo collega delle uova fresche per i bambini. Ci sono i due testimoni oculari le cui deposizioni sono risultate attendibili nel ricostruire quanto accadde quel giorno a Velletri, ma manca qualcosa. Manca la volontà di scavare. La storia di Davide Cervia, come tanti altri casi in cui lo Stato si è trovato a interrogare lo Stato, è scandita da inquinamenti, omissioni, depistaggi e colpevoli silenzi che non hanno permesso alla magistratura di raggiungere alcun obiettivo se non quello di lasciare aperto il caso. È inquietante come la Marina militare ha trattato il caso Cervia e come sia arrivata, in alcuni casi, anche a smentire se stessa nel comunicare agli inquirenti le reali mansioni del sottufficiale, quasi a voler nascondere le sue capacità. È inquietante l’inerzia incontrata dentro quei palazzi dove i familiari di Cervia hanno tentato di trovare delle risposte. Sono inquietanti i contenuti delle lettere anonime giunte in questi anni alla famiglia Cervia che in alcuni casi arrivano ad avvalorare la tesi secondo cui l’uomo sarebbe stato rapito da agenti segreti di una potenza straniera per sfruttarne la sua specializzazione. E poi, ancora, che il sottufficiale avrebbe perso la vita il 4 febbraio 1991 in un centro radar a nord di Bassora (Iraq) colpito da un missile. Poi lo segnalano, insieme ad altri esperti italiani, in una struttura dell’intelligence irachena a Zawra Park sulle rive del Tigri bombardata dagli americani nel luglio del ’93. Tre anni dopo le lettere anonime arrivano a segnalare che l’esperto sarebbe vivo e si troverebbe in una base sotterranea segreta dell’Iraq a 110 chilometri da Baghdad, ma l'Ambasciata irachena presso la Santa Sede smentirà subito che Cervia si trovi lì. Le cronache dei primi anni Novanta raccontano delle truppe di Saddam Hussein che invadono il Kuwait, di una prima Guerra nel Golfo, scoppiata appena un mese prima della scomparsa di Cervia, ma anche di traffici internazionali di armamenti e apparecchiature elettroniche destinate alla Difesa. Raccontano di importanti società italiane (Fincantieri, Oto Melara, Aeritalia, Selenia, Elettronica, Sma e Meteor) in commercio con il Medio Oriente e con il Nord Africa e di esperti italiani “noleggiati” alla Libia di Gheddafi e all’Iraq di Saddam per addestrare militari all’utilizzo di apparecchiature “made in Tiburtina Valley”. Ma le nostre apparecchiature, le stesse su cui Cervia si era fatto le ossa in Marina, come il sistema missilistico antinave Otomat-Teseo, finivano anche in Iran, Venezuela, Perù, Ecuador, Malesia e Nigeria. Oggi a diciassette anni dalla scomparsa di Cervia, la moglie Marisa non se la sente più di parlare, affida tutto a un malloppo di carte che raccontano anche che i nostri servizi, in particolare il Sismi, definirono “credibile” la tesi che Cervia fu rapito per interessi commerciali-militari legati alla sua competenza professionale. Ma la realtà è un’altra. Le indagini sono ferme al 5 aprile 2000 quando la gip Paola Astolfi del Tribunale di Velletri, ritenuti ignoti gli autori del sequestro, ha archiviato l’inchiesta della Procura generale di Roma.

di Fabrizio Colarieti per Left-Avvenimenti del 1 giugno 2007 [pdf]