Qualcuno voleva morto il costruttore Diego Anemone, il principale protagonista delle inchieste sui grandi appalti, dai Mondiali di nuoto al G8 a La Maddalena, che ristrutturò il quartier generale dell’Aisi a Roma? Proprio la stessa agenzia di intelligence che con un’informativa top secret alla direzione della Casa circondariale di Rieti, dove il costruttore era detenuto tra febbraio e maggio del 2010, riferì dell’esistenza di un piano che puntava ad eliminarlo. I Servizi informarono il direttore dell’istituto che la vita dell’imprenditore poteva essere a rischio, non all’esterno, cioè dal momento in cui fosse stato rimesso in libertà, bensì proprio tra le mura del carcere. La polizia penitenziaria da quel momento in poi sorvegliò a vista la sua cella e non lasciò mai solo Anemone, neanche durante le ore che il costruttore trascorreva negli spazi comuni insieme agli altri detenuti. A un ristretto numero di agenti di custodia fu assegnato l’incarico di sorvegliarlo, anche di notte, fino al giorno della sua scarcerazione, il 9 maggio 2010. La segnalazione giunta alla direzione del carcere – secondo quanto ha appreso Il Punto – era sintetica, solo poche righe nel gergo dell’intelligence per riferire che il Servizio segreto civile aveva appreso, da fonti ovviamente non specificate, che la vita del maggiore indagato delle inchieste sulle cricche era seriamente in pericolo. ...continua a leggere "Volevano uccidere Anemone?"
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Tovarish Tokarev
Anche le pistole possono rivendicare un’azione. E quella che il 7 maggio ha gambizzato a Genova l’amministratore delegato dell’Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, non è una pistola qualunque. A terra, in via Montello, nel cuore del quartiere Marassi, i carabinieri hanno trovato un bossolo calibro 7,62 dal fondello inciso con caratteri cirillici. Potrebbe essere uscito dalla canna di una semi-automatica di fabbricazione sovietica, una TT-33 Tokarev. Un’arma da guerra, molto affidabile, che in passato ha firmato numerose azioni e che fa pensare a una sola matrice, quella eversiva. E non a caso, chi indaga sull’attentato ad Adinolfi si appresta a contestare l’aggravante della finalità di terrorismo, sempre se si riuscirà a dare un volto ai due individui che hanno portato a termine l’azione con tecniche brigatiste, avvicinando il dirigente in sella a una moto Yamaha XMax, poi abbandonata a poca distanza dal luogo dell’agguato.
L’INCUBO EVERSIONE. In Italia torna così l’incubo della violenza politica, dopo che il piombo aveva smesso di parlare quell’assurdo e incomprensibile linguaggio, retaggio degli Anni ’70. L’ultima vittima della lotta armata, firmata Brigate rosse, fu il giuslavorista Marco Biagi, assassinato dalle Br guidate da Nadia Desdemona Lioce, a Bologna il 19 marzo 2002. Prima di lui, il 20 maggio 1999, la stessa sorte era toccata al consulente del ministero del Lavoro, Massimo D’Antona, freddato dalle stesse Br a Roma, in via Salaria. Sembrava finita. Anche le relazioni semestrali dei Servizi segreti avevano smesso di segnalare, tra le minacce interne, quella vetero-brigatista, lasciando quello spazio agli anarchici della Fai (Federazione anarchica informale), o a quelli insurrezionalisti specializzati in pacchi bomba. Invece no, l’attentato ad Adinolfi ha tutte le caratteristiche di un’azione brigatista, studiata nei minimi particolari, a partire proprio dalla scelta dell’obiettivo, della città, simbolo della lotta politica, e dall’arma impiegata. Mancava solo la rivendicazione. Prima alcuni post di “appoggio”, diffusi su Indymedia, a firma dei Gruppi armati proletari, poi un documento di quattro pagine inviato al Corriere della Sera da un sedicente Nucleo “Olga” della Fai, in onore di Olga Ikonomidou, anarchica greca in carcere dallo scorso anno. Nel documento, ritenuto attendibile dagli inquirenti, Adinolfi viene definito uno dei tanti «stregoni dell’atomo», responsabile, insieme al’ex ministro Claudio Scajola, «del rientro del nucleare in Italia». Secondo gli investigatori dell’antiterrorismo l’assenza di una rivendicazione era un’anomalia, ma anche la sua ritardata diffusione è fisiologica, perché, spiegano, «per poter rivendicare un’azione è necessario assicurarsi che chi l’ha compiuta sia al sicuro».
LE INDAGINI. Il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, parlando dell’attentato ad Adinolfi, ha riferito che si stanno battendo tre piste: quella vetero-brigatista, quella anarcoinsurrezionalista e quella legata agli interessi dell’Ansaldo Nucleare nell’Est europeo. A quella che potrebbe associare l’attentato alla matrice brigatista, ha aggiunto la Cancellieri, possono ascriversi «le modalità con le quali è avvenuto l’agguato, in particolare l’uso di un’arma da fuoco e la preparazione che lo ha preceduto, che sembra dimostrare una certa capacità organizzativa». D’altra parte, ha ricordato il titolare del Viminale, «non sono mancati in passato episodi intimidatori, ascrivibili a soggetti dell’area marxista-leninista, in cui ricorrono elementi di affinità e analogia operativa con questo attentato, come ad esempio il ricorso a pallottole calibro 7.62 Tokarev». Quanto alla pista anarchica la Cancellieri ha ricordato che nel marzo del 2009 fu diffuso sul web «un documento in cui, pur in completa assenza di minacce specifiche, erano stati indicati numerosi manager di diverse società impegnate nel settore dell’energia nucleare, fra i quali anche Roberto Adinolfi». Anche se va aggiunto che gli anarchici, come noto, difficilmente compiono azioni utilizzando armi da fuoco. Per quanto riguarda invece la pista commerciale, il ministro dell’Interno ha riferito che l’Ansaldo ha recentemente sviluppato la propria attività nell’Est europeo, con particolare riferimento alla Romania, all’Ucraina e alla Russia, attraverso la costruzione di nuove centrali nucleari e la gestione dei rifiuti radioattivi, e tutto ciò potrebbe aver prodotto «reazioni di natura violenta indirizzate verso l’amministratore delegato». Peraltro, ha osservato la Cancellieri, «tale eventualità potrebbe trovare riscontro nell’uso della pistola Tokarev, diffusa negli ambienti criminali dell’Est Europa». Gli investigatori del Ros dei carabinieri stanno analizzando il proiettile usato per l’agguato, per capire se l’arma che l’ha esploso era stata già utilizzata in precedenti azioni. Proiettili simili, compatibili con la Tokarev, e un manuale d’uso di questa pistola, vennero sequestrati proprio a Genova. E sempre nel capoluogo ligure, nel giugno del 2009, la Digos, perquisendo l’abitazione di Riccardo Massimo Porcile, poi condannato a Roma per terrorismo, trovò una scheda tecnica di due modelli di pistole Tokarev (la TT30 e la TT33). La perquisizione a Porcile, attualmente detenuto a Catanzaro, fu disposta nell’ambito dell’inchiesta su un gruppo accusato di aver progettato la ricostituzione del “Partito armato” sulla falsariga delle Brigate rosse. Ha parlato di pista anarchica anche il capo della polizia, Antonio Manganelli, confermando che gli investigatori guardano «all’area antagonista armata, dove sfumano i confini tra gruppi marxisti-leninisti e anarco-insurrezionalisti».
L’INTELLIGENCE. Nell’ultima relazione al governo l’intelligence interna fa riferimento a uno scenario di rischio multiforme, «con un’accresciuta capacità d’impatto sulla sicurezza nazionale in correlazione con l’acuirsi della congiuntura di crisi». L’Aisi conferma che tra le minacce ci sono gli sviluppi delle «progettualità antagoniste e i fermenti dell’area eversiva». Secondo gli elementi raccolti dagli 007, «l’aggravarsi della crisi economica e le misure adottate per fronteggiarla sono ritenute dal circuito antagonista una favorevole opportunità per riproporre schemi “movimentisti” tesi a catalizzare e radicalizzare il disagio sociale». La “galassia del dissenso”, secondo i Servizi, e frammentata e caratterizzata da divergenze che marcano i differenti percorsi ideologici e tattici delle sue varie componenti. Si parla di «residui circuiti di matrice marxista-leninista ispirati all’esperienza brigatista», numericamente esigui, ma comunque convinti che la crisi economica, e l’inasprirsi delle condizioni di vita, siano «condizioni favorevoli per alimentare l’insanabile contrapposizione proletariato/borghesia». Per gli analisti dell’Aisi, quindi, è concreta la possibilità che tali circuiti, anche su input filtrati dalle carceri, «intensifichino gli sforzi nei confronti di “nuove leve” sensibili al richiamo di forme di lotta radicale» e ipotizzano «che nel breve/medio periodo individualità d’ispirazione rivoluzionaria, suggestionate dall’impatto della “rabbia” sociale, tentino di aggregarsi per eseguire e rivendicare attacchi – anche di non elevato spessore – contro simboli e obiettivi del “potere costituito”, allo scopo di mantenere alta la tensione e verificare l’eventuale “risposta” o “chiamata” di altre componenti propense a intraprendere un percorso di lotta armata». Alto anche il rischio – e potrebbe essere il caso della gambizzazione di Adinolfi – di azioni emulative compiute da soggetti che intendono accreditarsi, anche rispolverando vecchie sigle.
di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 24 maggio 2012 [pdf]