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Clemente MastellaE’ stato un giudice a staccare la spina. E ora Il Campanile non suona più. La sezione fallimentare del tribunale di Roma, con sentenza del 29 marzo, ha messo la parola fine alla travagliata storia del fu quotidiano dell’Udeur. In stampa fino al dicembre del 2009, il quotidiano del partito di Clemente Mastella, suonava puntuale come un orologio svizzero, ovviamente a colpi di contributi pubblici. Poi la cessione e l’inizio della fine, arrivata a colpi di carte bollate in un’aula di Tribunale su istanza (di fallimento) presentata da un gruppo di ex dipendenti (rappresentati dagli avvocati Raffaele Nardoianni e Giorgia Loreti) della cooperativa editrice Il Campanile Nuovo, nella speranza di recuperare stipendi arretrati e Tfr.
DALLE STAMPE ALLE STALLE. La storia del foglio di largo Arenula inizia dodici anni fa, ed è simile a quella di tanti altri house organ di partito. Quasi invisibile nelle edicole, pochi giornalisti e una testata – almeno fino a quando l’Udeur era in Parlamento – gestita da una cooperativa saldamente ancorata ai contributi statali per l’editoria. La favola cambia decisamente trama il 16 gennaio 2008, quando Clemente Mastella, prima si dimette da ministro della Giustizia, poi ritira la fiducia al governo guidato da Romano Prodi, che cadrà qualche giorno più tardi al Senato al termine della drammatica seduta che lasciò alla storia lo sputo di Tommaso Barbato (rimasto fedele a Mastella) a Nuccio Cusumano (in rotta con l’Udeur decise di sostenere Prodi). L’Udeur pagherà dazio alle successive elezioni salutando il Parlamento. Per il Campanile è l’inizio di una lunga agonia, che terminerà con la sentenza di fallimento.
CONTRIBUTO CLANDESTINO. Orfana del suo partito, ma non ancora del contributo statale, la testata dell’Udeur nel dicembre del 2009 viene ceduta ad una compagine di nuovi soci, che ha il «partner imprenditoriale e finanziario di riferimento» nell’imprenditore Fabio Caso, già celebre alle cronache per il tentativo di acquisto nel 2008 de L’Unità, l’avventura (brevissima) di Dieci e il naufragio de Il Globo nei primi anni 2000. L’operazione va a buon fine e sarà chiusa, guarda caso, proprio in concomitanza dell’accredito del contributo 2009 (relativo al 2008): una somma compresa tra i 600 e i 700 mila euro. “Il Clandestino, un giornale non a Caso”, recitava lo slogan di lancio della nuova testata, già in edicola da qualche mese al momento dell’acquisizione della cooperativa Il Campanile Nuovo. Che dopo l’acquisizione diventerà editrice proprio del Clandestino. Una nuova avventura che, come nel copione di un film già visto, è destinata a durare poco. Fino al 18 marzo 2010, dopo un’escalation di tensioni interne alla redazione che fecero saltare ben quattro direttori: David Parenzo, Pierluigi Diaco e i fratelli Luigi e Ambrogio Crespi. Emblematico, al riguardo, il telegramma inviato - un attimo prima del botto - proprio da Ambrogio Crespi al presidente della cooperativa, e per conoscenza a Fabio Caso. Crespi annuncia le dimissioni dalla carica di consigliere di amministrazione del Campanile, ma i passaggi più significativi di quel telegramma sono altri. La redazione decide di pubblicarlo: lo impagina nella prima dell’edizione del giorno dopo, ma mai arrivata in edicola. Cosa c’è scritto? E’ un’anticipazione di quanto sta per accadere: «Ho appreso - scrive il direttore editoriale, Amin essere da questa cooperativa non consentirebbero una prosecuzione utile agli scopi per la quale ci siamo determinati». Poi i dubbi: «Sono stati effettuati dal conto corrente della cooperativa, dalla Bnl presso il Senato della Repubblica, dei prelievi di importi rilevanti senza alcuna forma di consultazione preventiva, condivisione di strategia e, non ultima, valutazione di opportunità». Prosegue Crespi: «I contratti di lavoro del personale giornalistico sono stati regolarmente trasferiti in data 1° febbraio da Edizioni Clandestine alla Cooperativa Campanile Nuovo ma le buste paga distribuite a marzo riportano ancora le Edizioni Clandestine. Resta chiaro l’errore materiale ma lo stesso suggerisce anche una possibile mancata comunicazione agli organi di gestione delle buste paga anche ai fini previdenziali e contributivi dell’avvenuto trasferimento». Perciò le buste paga erano finte. E’ ancora Crespi a spiegare a tutti che stavolta l’avventura è davvero finita: «Non esisterebbe alcun documento formale che consentirebbe alla Cooperativa Campanile Nuovo l’utilizzo della testa “Il Clandestino” di proprietà delle Edizioni Clandestine Srl. Il pagamento di alcuni fornitori di massima importanza non è stato onorato. Tra questi, il collegio sindacale che rischia di pregiudicare la possibilità di ottenere il contributo pubblico».
TITOLI DI CODA. Il contributo è perso, un mese dopo Fabio Caso e suo padre Gian Gaetano finiscono in manette (e successivamente scarcerati) con l’accusa (relativa ad altre vicende) di abusivismo bancario, false fatturazioni e bancarotta fraudolenta, il Clandestino non tornerà mai più in edicola. Della cooperativa Il Campanile Nuovo resta, invece, solo una scatola vuota.

di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 26 aprile 2012 [pdf]

Dov’erano i servizi segreti? A Roma qualcosa non ha funzionato. Ed è qualcosa che va oltre la gestione dell’ordine pubblico. Sono mancate le informazioni, il lavoro info-investigativo, insomma il materiale d’intelligence, quello che gli analisti chiamano humint.
Perché, guardando le immagini della guerriglia urbana che ha assalito Roma il 15 ottobre, si ha la netta impressione che nessuno era preparato.
Quanti erano? Da dove venivano? Come si sono organizzati? Come hanno comunicano tra loro? Più o meno le stesse domande dell’alba del giorno dopo. Quello del classico “ormai è tardi” all’italiana.
Eppure di segnali, a volerli leggere, ce n’erano eccome. Bastava sbirciare nei soliti forum o digitare su Google la sequenza “Roma 15 ottobre”, per trovare traccia della chiamata, e tra le righe anche di quanto sarebbe accaduto in piazza.
Sono mancate le informazioni, quelle che l’intelligence dovrebbe fornire a chi sta sul campo. Prevedere un fatto, analizzarne l’evoluzione, tracciarne i confini, questo, a Roma, è mancato. L’assenza d’informazioni, o se volete di soffiate, non è una novità. Il vivaio di fonti negli ambienti dell’antagonismo non è più quello di una volta.
I tagli e la riforma dei Servizi, quella che nel 2007 ha spazzato via Sisde e Sismi lasciando il posto ad Aisi e Aise, ha prodotto anche questo. Il Servizio segreto civile, più dei cugini del controspionaggio militare, da quella riforma ne è uscito con le ossa rotte e oggi, a distanza di quattro anni, può contare su pochi uomini, poche tecnologie e canali informativi prosciugati da anni.
La nostra intelligence annaspa, è affannata, incapace di dare risposte e prevedere scenari. Abbiamo buoni analisti in campo, ma mancano i segnali da interpretare. Risultato: nelle informative dei Servizi ci finisce solo il frutto di analisi fatte al computer, un collage di open source intelligence, insufficiente e inadeguato. Non c’è altra spiegazione.
E nel “caso Roma” il fallimento dei servizi segreti sta tutto nelle poche righe licenziate poche settimane fa (il 22 settembre) dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza del prefetto Gianni De Gennaro: «In relazione alle indiscrezioni di stampa concernenti la manifestazione programmata in occasione della giornata internazionale di protesta contro governi e multinazionali, prevista per il prossimo 15 ottobre, il DIS precisa che l’Agenzia per la sicurezza interna (AISI) sta fornendo il consueto contributo informativo alle autorità preposte alla gestione dell’ordine pubblico. Dal contesto delle notizie ad oggi acquisite, pur non rilevandosi elementi di carattere emergenziale, si evidenzia l’esigenza di un attento monitoraggio e ulteriore approfondimento dell’evolversi della situazione».
Non sappiamo se l’attento monitoraggio è stato compiuto dagli agenti di via Lanza, ma una cosa è certa: a chi era in piazza il 15 ottobre è mancato un elemento importante. Lo ha detto anche un black block a due giornalisti di La Repubblica: bastava ascoltarli, leggere i loro messaggi in rete e interpretare il loro linguaggio.
Non farlo, o farlo inaguatamente, ha condizionato le scelte e costretto chi operava in piazza a improvvisare.

di Fabrizio Colarieti per Notte Criminale [link originale]

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C’era una volta il Campanile. Fino al 2009, il fu quotidiano dell’Udeur di Mastella suonava puntuale come un orologio svizzero a colpi di contributi pubblici. Ma da marzo dell’anno scorso ha smesso di scampanare e ora l’ultimo rintocco (a morto) potrebbe essere davvero molto vicino. Una settimana fa, su mandato di un gruppo di ex dipendenti della cooperativa Il Campanile Nuovo, editrice dell’omonima testata, che sperano di recuperare stipendi arretrati e tfr, gli avvocati Giorgia Loreti e Raffaele Nardoianni hanno depositato al Tribunale civile di Roma l’istanza di fallimento (R.G. 1487/2011) della società. E adesso una sentenza potrebbe scrivere la parola fine su una vicenda iniziata nel 2000 con la fondazione del giornale del partito di Mastella, passata per la cessione, nove anni dopo, a una cordata che aveva il proprio riferimento nell’imprenditore Fabio Caso, e poi avviata verso l’inglorioso finale da gennaio 2010 con l’assunzione di nuove vesti sotto il nome de Il Clandestino.
Il declino del Campanile inizia con i guai di Clemente Mastella: dopo l’ascesa al soglio di ministro della Giustizia nel 2006 è arrivata la caduta, un anno e mezzo dopo, seguita agli arresti (domiciliari) della moglie, Sandra Lonardo, all’epoca presidente del Consiglio regionale della Campania. Gli eventi precipitano rapidamente: Mastella prima si dimette da ministro, poi ritira la fiducia al governo, caduto qualche giorno più tardi al Senato al termine della drammatica seduta finita con il celebre sputo di Tommaso Barbato (rimasto fedele a Mastella) a Nuccio Cusumano (in rotta con l’Udeur decise di sostenere Prodi). Spazzato via dallo scenario parlamentare nelle successive elezioni, il partito di Mastella inizia a maturare l’idea di liberarsi della zavorra. A cominciare proprio da Il Campanile, che il 25 ottobre del 2007 aveva ricevuto, nell’ambito dell’inchiesta “Why Not?”, la visita della polizia giudiziaria, interessata ad acquisire l’elenco fornitori del giornale. L’accelerazione definitiva la diede una nuova perquisizione, ordinata dal pm di Napoli, Francesco Curcio, due anni dopo, il 29 ottobre 2009 ed eseguita il giorno seguente nell’ambito della stessa inchiesta che aveva portato all’arresto, tra gli altri, della moglie di Ma-stella. Il giornale era già in smobilitazione: già da mesi i giornalisti lavoravano da casa. Facile immaginare la sorpresa degli ufficiali di polizia giudiziaria che quel 30 ottobre di due anni fa credevano di dover perquisire una redazione e invece si ritrovarono in uno scantinato sulla Tiburtina dove, dopo il trasloco forzato da Largo Arenula, la cooperativa Il Campanile Nuovo aveva accatastato le sue cose (mobili e documenti contabili). ...continua a leggere "“Il Campanile” di Mastella verso l’ultimo rintocco"