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ROMA - C'era un tratto di cielo, la sera del 27 giugno 1980, che non era controllato a sufficienza dai radar italiani, civili e militari. E in quel buco nero sparì il Dc9 Itavia, precipitando nelle acque di Ustica. E' per questo motivo che ieri lo Stato è stato condannato a risarcire le vittime di quella strage irrisolta. A stabilirlo è una sentenza della terza sezione civile del Tribunale di Palermo, che ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti a pagare oltre 100 milioni di euro (più interessi e oneri accessori) a ottanta familiari delle vittime. Affermando anche la precisa responsabilità dei due dicasteri, che non fecero abbastanza per garantire l'incolumità dei 77 passeggeri e dei quattro membri dell'equipaggio di quel volo Itavia 870 che ha segnato un pezzo della nostra storia recente.
Il Dc9 decollato da Bologna - secondo quanto hanno sostenuto i legali dei familiari che nel 2008 intentarono causa nei confronti dello Stato - per raggiungere Palermo attraversò un tratto dell’aerovia Ambra 13 scarsamente vigilato dalla rete radar della Difesa. E in quel buco nero, a metà strada tra le isole di Ponza e Ustica, l’aereo I-Tigi si trovò al centro di una battaglia aerea e finì per diventare un bersaglio, precipitando in mare dopo essere stato colpito da un missile o a causa di una collisione con un altro velivolo.
I familiari delle vittime, invocando l'esistenza del diritto all'accertamento della verità, avevano citato in giudizio i due ministeri affermando che non potevano non essere a conoscenza - prima, durante e dopo la sciagura - che quel tratto di rotta era scarsamente coperto dai radar. Il giudice palermitano Paola Proto Pisani, dopo aver rispolverato l’istruttoria penale condotta dal giudice Rosario Priore, che nel 2007 portò all’assoluzione definitiva degli ultimi due imputati (gli allora vertici dell’Aeronautica militare), afferma oggi che con ogni probabilità intorno al Dc9 c’erano altri aerei, come evidenziarono le registrazioni radar di Ciampino. Una ricostruzione che collima con quanto scrisse Priore nelle conclusioni della sua sentenza-ordinanza, e cioè che fu proprio l’Aeronautica a non informare correttamente il governo sulla presenza d’intenso traffico militare intorno all’ultima “battuta” radar del Dc9.
La sentenza del tribunale di Palermo, che già in passato aveva condannato lo Stato a risarcire altri familiari delle vittime, riapre così lo scivoloso dibattito sull’affaire Ustica. Tutto questo mentre la procura di Roma attende le risposte alle rogatorie internazionali trasmesse lo scorso anno a Francia, Stati Uniti, Germania e Nato dopo le dichiarazioni di Francesco Cossiga che nel corso di alcune interviste (e sotto giuramento davanti ai giudici di Palermo) tirò in ballo l’aviazione francese, affermando che il Dc9 era stato colpito per errore durante un’operazione coperta che doveva portare all’abbattimento di un aereo che trasportava Gheddafi. Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione familiari delle vittime, ha definito la sentenza di Palermo di «elevato spessore civile». «E’ stato finalmente riconosciuto - ha aggiunto - il danno subito dai familiari per la negazione della verità e della giustizia, e questa sentenza è anche la conferma, come abbiamo sempre sostenuto, che quanto avvenne quella notte intorno al Dc9 è scritto nelle conclusioni dell’istruttoria di Priore».

di Fabrizio Colarieti - Il Messaggero, 13 settembre 2011 [pagina originale]

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Il presidente Francesco Cossiga, grande conoscitore del mondo dell'intelligence, amava ripetere che vi sono delle verità che è meglio che in certi momenti non si sappiano. Si riferiva ai segreti di Stato e ai tanti omissis di cui la storia repubblicana è lastricata. Muri di gomma contro cui si scontrano, cercando la verità nei meandri degli archivi governativi, magistrati, studiosi e giornalisti. Cambiano le leggi e gli interlocutori, ma i segreti - quelli veri - restano al loro posto con un timbro indelebile che li classifica. E' l'altra faccia della storia del nostro Paese: quella non ancora scritta, quella che in certi momenti è meglio che non si sappia. La verità sul sequestro dell'onorevole Aldo Moro, la morte di Enrico Mattei, il ruolo della P2 e dei servizi deviati nella strage di Piazza Fontana, in quella di Bologna e in quella di Ustica, fino ai giorni nostri, passando per la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, il sequestro dell'Imam egiziano Abu Omar e lo scandalo Telecom-Sismi. Segreto di Stato. Oltre non si può andare. Sono tutti obbligati a fermarsi, chi indaga e chi scrive.
E' il muro che si è trovato di fronte anche Claudio Gatti, inviato speciale del Sole 24 Ore, che ha provato a bussare alla porta degli archivi dei Servizi credendo che dopo 30 anni qualcuno gli avrebbe dato l'opportunità di fare il suo lavoro, cioè cercare la verità e possibilmente raccontarla. Come spiega lui stesso, in un pezzo pubblicato lo scorso 12 luglio, ha trascorso gli ultimi tre anni "facendo richieste e avendo incontri con la controparte negli apparati dello Stato per definire insieme l'istruttoria dell'istanza di accesso agli atti". Lo ha fatto avvalendosi di una legge dello Stato, la 124 del 2007, con cui sono stati riformati gli apparati di sicurezza, in particolare l'articolo 39 (comma 7 e 8 ) che regola la "disciplina del segreto". ...continua a leggere "Segreti duri a morire"

«Era il 27 giugno del 1980, un venerdì, ne sono certo. Erano passate da qualche minuto le ventuno, e quello che ho visto non l’ho mai dimenticano né raccontato a un magistrato né, tantomeno, a un giornalista. Mi fu consigliato di non parlare». Siamo in Calabria, precisamente a Sellia Marina, provincia di Catanzaro. Su un terrazzo del villaggio turistico Hotel Triton c’è un imprenditore in vacanza con sua moglie. L’uomo, che oggi vive in Toscana, è di origini calabresi e nel giugno dell’Ottanta aveva trent’anni.
Alle sue spalle svettano le montagne della Sila e proprio di fronte i suoi occhi, il sole bagna, a poco a poco, il mar Ionio. Della tragedia di Ustica, del Dc9 Itavia, precipitato nel Tirreno con i suoi ottantuno passeggeri quella stessa sera e intorno a quello stesso orario (le 20.59), il testimone non sa nulla. Nessuno sa nulla. Nessun telegiornale ha ancora lanciato la notizia. Nessuno ha ancora iniziato le ricerche di quell’aereo che, dopo il tramonto, è scomparso dagli schermi radar.
«Quel giorno io e mia moglie eravamo in Calabria, a Sellia Marina precisamente, e alloggiavamo al Triton».
Comincia così il suo racconto inedito, che ascoltiamo solo trentuno anni dopo quella lunga notte. La stessa che quest’uomo non ha mai dimenticato.
«Prima di andare a cena eravamo sul terrazzo. Guardavamo le montagne della Sila, erano circa le 21 e 05, massimo le 21 e 10». Guardando una cartina ingiallita dell’Igm, piena di appunti e di frecce, l’imprenditore si fa più preciso: «Guardavamo in direzione di Sersale e in lontananza, proprio verso la Sila, si vedevano come dei fuochi d’artificio. La cosa strana era che erano solamente orizzontali: raffiche velocissime che avevano lo stesso colore della luce emessa dalle lampadine a filamento, e quei bagliori sono durati almeno un minuto. Ho guardato meglio, c’era ancora luce, e ho visto che c’erano degli aerei in salita verso Crotone: ho avuto la sensazione che uno rincorresse l’altro sparandogli. Dopo alcuni minuti, forse cinque, ma anche meno, ne ho visti altri due, li ho sentiti arrivare alle mie spalle, potrebbero aver sorvolato Catanzaro, venivano da Sud-Sud-Ovest. Volavano a bassissima quota, a pelo d’acqua e paralleli in direzione di Capo Rizzuto». [Guarda la ricostruzione] ...continua a leggere "Ustica: il Mig era inseguito da due F-16. Lo afferma un testimone oculare."

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Imporre il proprio pensiero, distorcere la realtà, piegare le verità, ripulire le mani, cancellare ciò che è stato detto e ridisegnare ciò che è accaduto. E' la roadmap con cui il sottosegretario Carlo Giovanardi vuole cambiare a tutti i costi il corso della storia. Quella già scritta sulla Strage di Ustica del 27 giugno 1980, mettendo in discussione la libertà di espressione e riscrivendo, a modo proprio, vent'anni d'inchieste e perizie. E chi non la pensa come lui, è bene che si allinei. Cominciando dal contenuto di un opuscolo distribuito fino a qualche giorno fa al "Museo per la Memoria di Ustica" di Bologna che raccontava, chiaramente e in poche righe, la disgraziata storia del Dc9 Itavia. Ricordava, ad esempio, che nel '89 la Commissione parlamentare sulle Stragi presieduta dal senatore Libero Gualtieri segnalò, censurandoli, i comportamenti dei militari in servizio presso alcuni centri radar "volti ad occultare ciò che era avvenuto quella sera nei cieli del Tirreno". "Come la Commissione, anche la magistratura - scrivevano l'Istituto Parri e MamBo in quel depliant - ritenne che la mancata ricostruzione della cause del disastro fosse stata orchestrata per mezzo di depistaggi ed inquinamenti delle prove ad opera di appartenenti all'Aeronautica Militare italiana". E ancora: "In tale contesto, un episodio di guerra guerreggiata e occultata, nell'ambito della Guerra fredda e del confronto con la Libia, ha causato la perdita col Dc9 Itavia delle 81 vite che trasportava, e ha motivato i vertici dell'Aeronautica Militare, e di parte dello stesso Stato, a preferire i vincoli delle alleanze militari internazionali piuttosto che la lealtà verso il loro proprio Stato e le sue proprie istituzioni democratiche. Essi hanno ritenuto di dover essere fedeli al patto militare prima che al loro paese". Ed è proprio il passaggio sulla "doppia lealtà" che disturba Giovanardi, tanto da spingere il Comune di Bologna a togliere dalla circolazione quel depliant. ...continua a leggere "Il depliant che non piace all’Aeronautica"