Le mafie si nutrono di «sacche di opacità ed ambiguità». Scriveva così, a marzo di quest’anno, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Don Luigi Ciotti e alla sua associazione Libera, ricordando le vittime di Cosa nostra e l’importanza della società civile nella lotta contro la criminalità organizzata. E’ lo stesso Napolitano che spiazza tutti, affidando all’Avvocato generale dello Stato l’incarico di rappresentare la Presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione annunciato dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo. Il tema è quello della trattativa tra Stato e mafia, la causa sono quelle intercettazioni che tanto hanno infastidito e messo in difficoltà il Colle nelle scorse settimane. La vicenda è nota. Ad innescarla, le conversazioni telefoniche tra Nicola Mancino (indagato per falsa testimonianza nell’ambito dell’inchiesta palermitana) e il consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio. Una richiesta di soccorso da parte di un indagato, poi girata dal Colle al procuratore generale della Cassazione. Vicenda nella quale spuntano anche alcune intercettazioni indirette (perché sotto controllo era il telefono del privato cittadino Mancino), in cui sarebbe stata registrata la stessa voce di Napolitano. E che ora sono al centro del conflitto sollevato dall’avvocatura dello Stato. Il Colle cita Luigi Einaudi, per motivare la decisione, essendo suo dovere evitare che si pongano «nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce». ...continua a leggere "Quello “strano” conflitto sul Colle"
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Nel segno dell’antimafia (Sonia Alfano)
«In Europa non c’è un solo Paese immune al crimine organizzato. Combatteremo le mafie ovunque, e anche i “colletti bianchi” avranno le ore contate». Sonia Alfano, da Strasburgo, dichiara guerra a cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta. L’europarlamentare dell’Idv, 41 anni, figlia del giornalista Beppe Alfano, ucciso dalla mafia nel ’93, è stata appena eletta alla presidenza della Commissione antimafia europea. Un organismo che in diciotto mesi dovrà convincere tutti i Paesi membri che la criminalità organizzata non è solo una piaga italiana. Lo farà - come spiega a Il Punto - esportando la nostra legislazione antimafia, e, forse, creando anche una super procura.
Onorevole Alfano annunciando la sua nomina ha parlato del raggiungimento di un primo traguardo. E’ stato così difficile far capire all’Europa che la criminalità organizzata riguarda tutti e non solo l’Italia?
«Mi sento di dire che è stata una difficoltà giustificata. Nel senso che per tantissimi anni, in nessun atto ufficiale europeo, è mai comparso il termine mafia, né tantomeno crimine organizzato. Se a questo aggiungiamo il fatto che in tutti gli altri Paesi europei c’è la convinzione che le mafie siano un problema prettamente italiano, come anche in Italia in molti sono convinti che questo problema riguardi solo il Sud, ci rendiamo conto che far ben comprendere il problema è stato difficoltoso. In Europa s’ignorava la reale minaccia, pur essendo ben noto il radicamento della ‘ndrangheta in Germania, di cosa nostra in Olanda, in Belgio e in Francia e della camorra in Spagna. I miei colleghi hanno compreso tutto questo parlando con i loro magistrati».
Che poteri avrà la Commissione?
«Intanto farà delle audizioni con esponenti delle autorità giudiziarie e del sistema investigativo europeo per tracciare un quadro e avviare un monitoraggio rispetto alla capacità di radicamento delle varie mafie in tutti e 27 i Paesi. Già lo scorso anno, attraverso il contributo di una serie di magistrati italiani, spagnoli e canadesi, abbiamo iniziato a comprendere come sia stato possibile che le organizzazioni criminali si radicassero nei vari Paesi europei. E abbiamo la certezza che non c’è un solo Paese immune».
La Commissione che presiede come collaborerà con l’autorità giudiziaria?
«Ascolteremo i vari organi che si occupano di contrasto al crimine organizzato e saranno loro a dirci, dal punto di vista legislativo, quali sono le necessità. Tra le priorità c’è sicuramente l’introduzione del reato di associazione mafiosa, ma anche del carcere duro, oltre a un testo unico antimafia da consegnare alla Commissione europea e agli altri stati membri».
Vi avvarrete di Eurojust ed Europol o pensate di istituire una super procura?
«L’obiettivo di diversi esponenti è quello di creare la figura del procuratore europeo antimafia. Sono fermamente convinta che l’indipendenza della magistratura dal potere politico debba essere la condicio sine qua non. Quindi la direzione è quella anche per noi, ma prima vogliamo capire da chi dipenderà questa procura. Di fatto abbiamo già attivato una serie di collaborazioni molto proficue, non solo con Europol ed Eurojust, ma anche con l’Interpol, con l’Olaf, con la Corte dei Conti europea, con l’Unodc e con tutti gli organismi europei che già si occupano di mafie. Quello che possiamo fare come Commissione, e non è poco, è agevolare la cooperazione tra questi organismi».
La nostra legislazione antimafia è davvero la migliore al mondo?
«L’Italia, oltre ad avere la migliore legislazione, è il Paese che ha pagato di più in termini di vite umane. Ma è ovvio che anche nel dispositivo legislativo italiano ci sono delle lacune. Penso alla norma che tutela i testimoni di giustizia, che è la stessa che tutela i collaboratori. I testimoni, con tutto rispetto per i pentiti, sono cosa ben diversa. Stiamo limando alcune sbavature, si pensi anche al fatto che l’Italia è l’unico Paese al mondo che fa una distinzione tra vittime di mafia e vittime del terrorismo».
Ha annunciato che dichiarerà guerra anche ai “colletti bianchi”…
«Guerra senza frontiere e sconti per nessuno. Quello che è accaduto in Italia non deve accadere mai più. Perché se è stato possibile legalizzare e istituzionalizzare cosa nostra e la camorra, è avvenuto perché c’è stato chi dall’esterno ha materialmente reso possibile l’ingresso del crimine organizzato nelle istituzioni e nella politica. Non sarà più possibile. I fiancheggiatori, i prestanome, e coloro che si sono prestati a far sì che le mafie diventassero linfa vitale per una parte deviata delle istituzioni sappiano che hanno i giorni contati».
Per fare tutto questo non sono pochi diciotto mesi?
«In meno di un anno abbiamo dimostrato che quando c’è la volontà si procede in maniera assolutamente lineare e spedita e con degli obiettivi condivisi da tutti a prescindere dagli schieramenti politici. Tutto questo era inimmaginabile fino a un anno fa. Ma abbiamo dimostrato che porre come obiettivo la risoluzione di un problema che riguarda la sicurezza e la libertà di 500 milioni di cittadini non è un’impresa impossibile».
di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 17 maggio 2012 [pdf]
Nel segno dell’antimafia (Antonio Ingroia)
«Per combattere la criminalità organizzata, superando confini e ostacoli, occorre un testo unico europeo delle leggi antimafia e una super procura». Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, accoglie con soddisfazione la nomina di Sonia Alfano alla presidenza della Commissione antimafia europea, ma, rispondendo alle domande de Il Punto, avverte: «Non sarà facile fare tutto questo in poco tempo, perché non credo ci siano ancora le condizioni politiche». E sulle minacce di morte appena ricevute, che l’hanno costretto a rinunciare a partecipare a un evento in ricordo di Paolo Borsellino: «Con questo clima di odio c’è il rischio che qualche testa calda se ne approfitti».
Dottor Ingroia, partiamo dalla nomina dell’onorevole Sonia Alfano alla presidenza della Crim, è una grande opportunità non crede?
«E’ certamente un’occasione importante. Ed è un’opportunità per tutta l’antimafia avere un presidio europeo, un punto di riferimento forte. Dobbiamo guardare sempre di più verso gli snodi istituzionali, dove si può organizzare un’offensiva contro il potere mafioso che non sia più confinata dentro il territorio nazionale, ma che sia transnazionale. L’Europa deve diventare uno spazio giuridico antimafia, e per diventarlo penso che la Commissione antimafia europea sia un ottimo strumento. Deve essere, soprattutto, un’occasione per tutti».
Quali ostacoli incontra un magistrato italiano quando si trova a indagare sulla criminalità organizzata fuori dai confini nazionali?
«Ne incontra mille, spesso anche insormontabili. Innanzitutto ostacoli rappresentati da linguaggi diversi, e non mi riferisco agli idiomi linguistici, ma a quelli giuridici. Non sempre si è compresi quando si parla di cosa nostra, di camorra o della ‘ndrangheta. Siamo di fronte a un fenomeno che non è solo locale, o al massimo regionale, e questo concetto, a volte, è difficile da spiegare anche in Italia, e ovviamente ancor più in Europa. Non c’è una diffusa consapevolezza, e questo è uno degli ostacoli principali. Poi ci sono ostacoli pratici, legislativi, che sono una conseguenza delle difficoltà linguistiche cui accennavo, non essendoci sufficiente consapevolezza della dimensione transnazionale della mafia. Ogni Paese è attrezzato con strumenti giuridici modellati sulla criminalità locale che non riguardano la criminalità transnazionale, e quindi quello che è reato in Italia non lo è altrove. E’ il caso, classico, dell’associazione di tipo mafioso, oppure i presupposti che consentono di sequestrare e confiscare un bene in Italia, in base al sistema delle misure di prevenzione patrimoniali, che non sono riconosciute in altri Paesi europei, e questo, naturalmente, rende difficoltosa anche la caccia ai patrimoni mafiosi. Quello che manca è una piattaforma comune, che si costruisce solo passando attraverso una fase di omogeneizzazione delle legislazioni nazionali e attraverso sempre più efficaci ed efficienti strumenti di lotta transnazionali».
Immagina una super procura o, comunque, più coordinamento tra le forze di polizia?
«Credo occorra potenziare gli strumenti che già ci sono. Eurojust ed Europol svolgono questa funzione, cioè agevolano gli scambi d’informazioni tra stati, ma non hanno ancora quella forza e quel potere vincolante che ha, per esempio, la Procura nazionale antimafia in Italia. Bisogna esportare i modelli virtuosi italiani in ambito europeo. Modellare, per esempio, Eurojust sul modello della Procura nazionale antimafia, se non si vuole creare una super procura. Occorre creare un luogo dove si elaborino strategie comuni per affrontare a livello europeo la criminalità organizzata».
Pensa all’introduzione di un testo unico antimafia?
«Certamente possiamo dire che l’obiettivo finale, il traguardo da raggiungere, è l’adozione di un testo unico europeo delle leggi antimafia, così come la creazione di una procura europea antimafia. Ma non credo ci siano le condizioni politiche per raggiungere questi due obiettivi in tempi rapidissimi, e su questo bisogna lavorare creando i presupposti».
Recentemente è stato costretto, per motivi di sicurezza, ad annullare la partecipazione ad un incontro pubblico, a Teramo, e ha parlato di minacce «frutto di un’opera costante di delegittimazione».
«Quando si crea, con questa compagna di denigrazione, costante e martellante, questo humus di odio e di falsa etichettatura, offendendo il valore principale di un magistrato, cioè la sua imparzialità, il rischio che qualche testa calda, o qualche fanatico, se ne approfitti c’è. Occorre maggiore senso di responsabilità da parte di tutti, soprattutto dentro le istituzioni. Sono state parole al vento per anni, speriamo che, alla vigilia di quella che si chiama III repubblica, un po’ di senso di responsabilità possa finalmente tornare in questo Paese».
di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 17 maggio 2012 [pdf]
Bavaglio & Business
Il tema spinoso delle intercettazioni sembrava finito nel dimenticatoio. Sorpassato dallo spread impazzito, dall’articolo 18 e dalla caduta anticipata di Silvio Berlusconi, il premier (pardon, l’ex) che – più di altri – provò a caricare sulle spalle degli italiani una paura in più: quella di essere spiati al telefono. Per intenderci stiamo parlando di una materia talmente complicata, quasi quanto regolare il conflitto d’interessi, che ha visto due governi, prima Prodi e poi Berlusconi, alle prese con un ddl mai nato, ma da tutti invocato a gran voce, guarda caso ogni volta che un politico – di destra o di sinistra – finiva intercettato da una procura. La bozza la portò all’attenzione del parlamento una vittima illustre dei telefoni sotto controllo, l’ex guardasigilli Clemente Mastella, il cui traffico telefonico (cosa ben diversa da quello fonico) finì – illegalmente secondo la Procura di Roma – negli atti dell’inchiesta Why Not? condotta dall’allora pm Luigi de Magistris e dal suo consulente, Gioacchino Genchi. Entrambi sono sotto processo, a Roma (la prima udienza ci sarà il prossimo 17 aprile), perché, secondo l’accusa, chiesero alle compagnie telefoniche di “sbirciare” nel traffico di migliaia di utenze, tra le quali anche quelle di parlamentari e agenti segreti, senza chiedere la preventiva autorizzazione alle Camere. ...continua a leggere "Bavaglio & Business"