Vai al contenuto

ramsteinAlla vigilia del 33esimo anniversario della strage di Ustica del 27 giugno 1980 che si lega a un altro disastro dell’aria, quello di Ramstein, parla per la prima volta e le sue parole sono chiare. “Voglio solo che il nome di mio fratello sia riabilitato. Ivo non causò la morte di tutte quelle persone, era un bravo pilota e non avrebbe mai commesso un errore del genere. Cerco la verità da anni e il sospetto che la sua morte sia legata alle 81 vittime del Dc9 è maturato dopo aver visto con quanta fretta e superficialità l’Aeronautica indagò sull’incidente”.
Giancarlo Nutarelli è il fratello del tenente colonnello Ivo Nutarelli, uno dei tre piloti delle Frecce Tricolori (gli altri due erano il parigrado Mario Naldini e il capitano Giorgio Alessio) morti in Germania il 28 agosto 1988, durante l’Airshow Flugtag che causò la morte di 67 persone e il ferimento di altre 346. Grazie alla sua tenacia un pool di avvocati, giornalisti ed esperti del settore ha lavorato per un anno e mezzo a un’indagine che, a distanza di 25 anni, rimette tutto in discussione, a partire proprio dalle conclusioni dell’inchiesta dell’Aeronautica secondo cui il disastro di Ramstein fu causato da una serie di errori commessi proprio da Nutarelli.
Ustica e Raimstein: due storie che si legano sull’Appennino tosco-emiliano. Per capire come la storia di Ivo Nutarelli e Mario Naldini incrocia quella di Ustica bisogna ripartire da quella notte di 33 anni fa, qualche minuto prima della scomparsa dai radar del Dc9 Itavia (77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio). Siamo a Grosseto e in volo addestrativo, ai comandi di un TF-104G, ci sono Naldini e Nutarelli. I due istruttori sono in missione con un allievo e prima di rientrare alla base, intorno alle 20.48, dichiarano lo stato di emergenza generale “squoccando” due volte in tre minuti. Una circostanza, questa, che sottintende uno scenario di reale pericolo. Dieci minuti dopo Ciampino perderà i contatti con il Dc9. ...continua a leggere "Incidente di Ramstein, dossier dei familiari dei piloti: “Nessun errore in volo”"

1

ROMA - Nel cielo di Ustica la notte del 27 giugno 1980 ci fu un’azione di guerra. E in questo scenario il Dc9 della compagnia Itavia, che andava da Bologna a Palermo, fu abbattuto da un missile o a causa di una quasi collisione con un altro aereo mai identificato. E’ questa la conclusione cui è giunto il 10 settembre il giudice della terza sezione civile del Tribunale di Palermo, Paola Proto Pisani, condannando i ministeri della Difesa e dei Trasporti a pagare un risarcimento record (100 milioni di euro oltre oneri e interessi) agli 81 familiari delle vittime della strage di Ustica. Dalla sentenza - resa nota ieri dagli avvocati Daniele Osnato e Alfredo Galasso, che l’hanno definita «una crepa nel muro di gomma» - emerge che l’incidente avvenne «a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia», che tra Ponza e Ustica «viaggiavano parallelamente ad esso» e di un altro velivolo militare «precedentemente nascostosi nella scia del Dc9 al fine di non essere rilevato dai radar». Secondo la Proto Pisani, a causare il disastro che portò alla morte di tutti e 77 i passeggeri e dei 4 membri dell’equipaggio, non fu, perciò, né un cedimento strutturale né un’esplosione interna, bensì «la diretta conseguenza dell’esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto edilDc9». In pratica lo stesso scenario ricostruito nel ‘99 dal giudice istruttore Rosario Priore, che, tuttavia, non riuscì a individuare gli autori della strage. Il tribunale civile siciliano era stato chiamato a stabilire se, e in quale misura, i due dicasteri non avevano svolto ogni necessaria azione per tutelare l’incolumità del volo Itavia, impedendo così ai parenti di conoscere la verità. Attorno al Dc9, afferma la sentenza, «c’era una situazione aerea complessa», confermata anche dal tracciato radar di Ciampino. Il tribunale di Palermo punta il dito anche contro gli ufficiali e sottoufficiali dell’Aeronautica militare, che sistematicamente depistarono e intralciarono il più «proficuo svolgimento delle indagini, mediante sottrazione di documentazione».

di Fabrizio Colarieti – Il Messaggero, 22 settembre 2011 [pagina originale]

È partita da Amatrice, in provincia di Rieti, la campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica promossa da Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, la ragazza scomparsa il 22 giugno 1983 e mai ritrovata. Nel cinema cittadino sono stati distribuiti biglietti da spedire via posta a «Sua Santità Papa Benedetto XVI, Palazzo Apostolico, Segreteria di Stato 00120 Città del Vaticano» per invitare la Santa Sede a fare «tutto ciò che è umanamente possibile per fare chiarezza sul caso di Emanuela Orlandi». I biglietti sono stati distribuiti durante la presentazione del libro-denuncia Mia sorella Emanuela (edizioni Anordest) scritta da Pietro Orlandi assieme al giornalista Fabrizio Peronaci. «Il pubblico intervenuto è rimasto molto colpito da questa iniziativa che presto diffonderemo anche tramite web - ha spiegato Peronaci - ed in tanti hanno assicurato che scriveranno al Papa per arrivare alla verità sul caso di Emanuela Orlandi, rapita in quanto cittadina vaticana». Nel corso della presentazione, Peronaci ha ribadito l'importanza «di una memoria che rigetta l'oblio testimoniata da Pietro che rifiuta di far finire questo giallo tra i grandi misteri italiani irrisolti ed è fondamentale la pressione che potrà essere fatta dalla gente affinchè chi sa alcuni passaggi oscuri, analizzati nel libro, finalmente parli. Una pressione che può essere un elemento in grado di far fare un salto di qualità alla risoluzione del caso». Pietro Orlandi ha anche sottolineato per la prima volta come si sia verificata in questa vicenda «una violazione dell'articolo 1 dei Patti Lateranensi che recita che la Repubblica e la Santa Sede si impegnano al rispetto ed alla reciproca collaborazione per il bene del Paese», ed ha ribadito come «questa iniziativa non sia una forma di ostilità verso la Santa Sede ma un sollecito affinchè quelle energie migliori che hanno avviato quell'opera di purificazione legata al problema dei pedofili faccia chiarezza anche su quei lati oscuri di cui è emblematico il caso Orlandi». (Fonte Ansa)

Caso Orlandi, l'appello del fratello "Scrivete al Papa, chiedo la verità" (la Repubblica)

Il mistero di Emanuela Orlandi (Chi l'ha visto?)

Nessuno potrà mai dire se una sola vittima del terremoto, che il 6 aprile 2009 sconvolse l’Aquila, si sarebbe potuta salvare se non avesse dato ascolto alla scienza e alle rassicurazioni di chi doveva decidere. Come nessuno potrà mai affermare - con assoluta certezza - che lo sciame sismico che faceva tremare da mesi la terra in Abruzzo era precursore di un terremoto così devastante. E se ci sarà un processo ai vertici della Commissione grandi rischi, oggi indagati in blocco dalla Procura del capoluogo abruzzese per omicidio colposo, quello sarà anche il processo alla scienza e a tutte le sue contraddizioni che in questa storia, più che in altre, non mancano. ...continua a leggere "L’Aquila, scienza alla sbarra"