Qualcuno lo ha paragonato al processo Andreotti, quando per la prima volta il sospetto che la politica, quella con la “p” maiuscola, fosse collusa con la mafia finì dentro un’aula di tribunale. Oggi, ventuno anni dopo il tritolo di Capaci e via D’Amelio, sul banco degli imputati, insieme alla politica e a vertici di Cosa nostra, c’è finito anche lo Stato. Processerà se stesso, a partire dal 27 maggio, il giorno in cui, secondo il gup Piergiorgio Morosini, quattro boss mafiosi, due politici, tre ufficiali dell’Arma dei carabinieri e un ambiguo testimone dovranno rispondere di fronte alla giustizia di aver preso parte, con ruoli differenti, alla presunta trattativa Stato-Mafia.
LA TRATTATIVA. E’ uno dei capitoli più oscuri della storia del nostro Paese. Secondo i magistrati di Palermo – che dopo quattro anni di indagini hanno chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di tutti gli indagati oggi imputati in attesa di giudizio dinanzi alla prima Corte d’Assise di Palermo – per fermare le stragi, tra il 1992 e il 1994, lo Stato scese a patti con Cosa nostra. Facendo avvicinare i vertici della cupola palermitana dagli emissari del Ros dei carabinieri con in tasca il benestare della politica a trattare una resa militare, sedendosi a un tavolo che era già sporco di sangue. Quello del giudice Paolo Borsellino, che dello scellerato dialogo in corso tra i carabinieri e i colonnelli di Riina era venuto certamente a conoscenza poco prima della sua morte, e di Giovanni Falcone, ilmagistrato che aveva osato sfidare la piovra convincendo don Masino Buscetta a parlare e che da anni sosteneva l’esistenza di un “terzo livello”. Questo, in estrema sintesi, è il teorema a cui ha creduto il gup Morosini rinviando a giudizio 10 dei 12 indagati dell’inchiesta avviata dai pm Antonio Ingroia, Lia Sava, Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. ...continua a leggere "Processo allo Stato"
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Open intelligence
Nei Paesi anglosassoni e negli Stati Uniti la letteratura dedicata al mondo dell’intelligence è molto vasta e vede impegnati non solo i giornalisti ma anche gli storici e gli accademici. Le stesse agenzie di spionaggio delle grandi potenze mondiali investono molto sulla produzione e sulla divulgazione di testi, anche attraverso i nuovi media, destinati sia alla formazione dei propri agenti sia alla diffusione della cultura della sicurezza e dell’informazione. In Italia, solo negli ultimi anni, lo sforzo di documentare e raccontare un settore in continua evoluzione, anche dal punto di vista giuridico e normativo, ha spinto le stesse agenzie - Aisi e Aise - a rendere più trasparenti e accessibili le proprie attività. Una sfida culturale che vede impegnati giuristi, economisti, politologi ed esperti di intelligence chiamati dal Dipartimento informazioni per la sicurezza a confrontarsi su questo delicato tema. Tutto questo dopo la riforma che ha radicalmente ridisegnato funzioni e governance dei servizi di sicurezza dando, per la prima volta, un ruolo anche alla comunicazione istituzionale.
UNA LACUNA DA COLMARE. Da sempre, in Italia, la produzione di una specifica letteratura dedicata al mondo dei Servizi segreti ha trovato scarso sviluppo e successo, eccetto poche esperienze, legate quasi esclusivamente alla cronaca di deviazioni e scandali. «Lo studio degli apparati di informazione e sicurezza e delle loro metodologie è stato pressoché ignorato sino alla fine degli anni Settanta», spiega non molto tempo fa dalle colonne della rivista dell’Aisi, Gnosis, Nicola Pedde, studioso e direttore dell’Institute for Global Studies. «La gran parte della produzione libraria in materia a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta - afferma ancora Pedde – fu prodotta da giornalisti, mentre completamente assenti risultarono essere gli accademici. Eccezion fatta per i volumi di commento giuridico alla nuova normativa sui Servizi di informazione e sicurezza promulgata nel 1977. L’argomento intelligence divenne, quindi, scottante e appannaggio esclusivo di chi investigava sulle deviazioni o sui fatti di cronaca del terrorismo nazionale ed estero nel nostro Paese. Non si registrò alcun tentativo di analisi sul settore, la sua funzione e le sue modalità operative, venendo in tal modo a mancare in modo pressoché assoluto una vera e propria disamina sui compiti dei Servizi segreti e sul loro modus operandi, vanificando ancora una volta - aggiunge lo studioso - l’opportunità per un sereno ed approfondito dibattito sull’argomento». ...continua a leggere "Open intelligence"
La Repubblica dei segreti
Potrebbero essere non più di dieci casi, parte dei quali ormai noti. Parliamo di segreti di Stato: dal Piano Solo del ’64 al sequestro dell’Imam di Milano Abu Omar del 2003. Una manciata di fattacci in cui l’esecutivo ha deciso di classificare, con il massimo grado di riservatezza, documenti, luoghi, circostanze e protagonisti su cui la magistratura aveva avviato delle indagini. Dal 2011, con il decreto contenente le disposizioni per la tutela amministrativa del segreto, esiste anche un inventario degli omissis di Stato presso l’Ufficio centrale per la segretezza. Ed è lì che sono conservati i fascicoli top secret della nostra Repubblica. L’ultimo vincolo lo ha imposto il premier Mario Monti, rinnovando, per la terza volta consecutiva, dopo Berlusconi e Prodi, il segreto sulla vicenda Abu Omar. A pagarne le conseguenze è la Corte d’Appello di Milano dove è di nuovo sotto processo l’ex numero due del Sismi, Marco Mancini, imputato, insieme ad altri 007 dell'intelligence militare, per il pasticcio del sequestro dell’Imam della moschea di viale Jenner, compiuto dalla Cia il 17 febbraio 2003.
LA LISTA DEGLI OMISSIS. L’ultima scansione dei segreti ancora in vita l’ha compiuta il Comitato di controllo sull'attività dei Servizi segreti, sotto la presidenza di Massimo D’Alema. Nella relazione trasmessa al Parlamento il 25 gennaio scorso il Copasir conferma, infatti, di aver ricevuto da Palazzo Chigi la lista dei segreti di Stato tuttora pendenti, «per tre dei quali, trascorso il termine di quindici anni, è stata disposta la proroga fino a trent'anni». Sono tre vicende diventate segrete intorno al '97 e, perciò, per sapere di cosa si tratta sarà necessario attendere il 2027. La relazione contiene, inoltre, anche un elenco di segreti di Stato apposti da Palazzo Chigi o da altre autorità ministeriali «della cui esistenza il Comitato parlamentare è venuto a conoscenza per la prima volta in questa occasione». ...continua a leggere "La Repubblica dei segreti"
Cybercrime, ecco la guerra 2.0
Aldo Giannuli, attento studioso del mondo dell’intelligence, nel suo ultimo libro, Come i servizi segreti usano i media (Ponte alle Grazie, 236 p. 13,50 euro), non ha dubbi: se il flusso delle telecomunicazioni si arrestasse improvvisamente, per una qualsiasi ragione, la nostra società cesserebbe istantaneamente di funzionare (dai trasporti alle banche, dalle borse agli ospedali, dalla distribuzione commerciale alla produzione industriale). È lo scenario peggiore che la mente umana, moderna, possa immaginare: un blackout, ovviamente doloso, capace di mettere ko telefoni, internet, stazioni radiotelevisive, treni, aerei, energia, acquedotti e tutto ciò che ha bisogno di sequenze di bit per funzionare. Un timore, non proprio infondato, che sta spingendo tutti i governi - compreso quello italiano - ad accrescere la propria capacità di difesa dei confini “virtuali” e del cyberspazio, schierando super esperti di informatica al posto della fanteria. Una scommessa che impegna, in prima linea, proprio l’intelligence, civile e militare, chiamata a mutare la propria missione in funzione di nuove e più complesse minacce. Non a caso, Gianni De Gennaro, attuale sottosegretario con delega ai Servizi segreti, ripete in ogni occasione che il cybercrime - cioè il terrorismo informatico e ogni forma di crimine in rete - è già una minaccia reale e concreta per la sicurezza dello Stato. «I nostri servizi segreti - ha detto l’ex capo del Dis parlando la scorsa settimana agli studenti dell’Università di Camerino - oggi si trovano ad affrontare sfide molto diverse. Ci sono ancora pericoli tradizionali, come il terrorismo, ma il compito dei servizi segreti non riguarda soltanto la difesa del territorio, la difesa del Paese, perché, nel mondo globalizzato, la missione non è la difesa di tipo militare, ma la difesa dei mezzi economici e della reti informatiche». ...continua a leggere "Cybercrime, ecco la guerra 2.0"