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de gennaroServizi segreti, ma non troppo. Perché la promozione e la diffusione della cultura della sicurezza e dell’intelligence, nell’era della trasparenza voluta da Gianni De Gennaro, ora passa per la rete e le università. Da qualche giorno sono disponibili, e liberamente consultabili online sul sito sicurezzanazionale.gov.it, i “Quaderni di intelligence”, costola della rivista ufficiale dei servizi segreti italiani Gnosis. La collana è dedicata, per l’appunto, alla promozione e alla diffusione della cultura della sicurezza e delle discipline scientifiche sull’intelligence. Insomma, i servizi si mettono in vetrina. «L’intento - si legge sul sito della Sicurezza nazionale - è quello di fornire spunti per la riflessione su dottrina e prassi della funzione informativa nel terzo millennio. Tale riflessione, avviata in seno al Sistema d’informazione per la sicurezza della Repubblica, potrà così giovarsi del contributo della società civile, favorendo un’interazione tra chi è chiamato a “fare” intelligence, i fruitori dell’attività di informazione per la sicurezza e la cittadinanza intera, alla cui tutela l’intelligence è preordinata».
L’INIZIATIVA. I “Quaderni di intelligence” sono proposti ai lettori sia in forma cartacea sia in formato digitale e sono consultabili anche attraverso i lettori e-book. Si tratta del primo rapporto sullo stato della cultura della sicurezza in Italia e sulle sue prospettive di sviluppo nato dalla collaborazione tra il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza - l’organismo diretto dal prefetto De Gennaro che sovrintende all’attività dei due Servizi (Aisi e Aise) - e tre universita  italiane. Gli atenei coinvolti (Luiss “Guido Carli” di Roma, la Scuola superiore di studi universitari di perfezionamento Sant’Anna di Pisa e l’Università europea di Firenze) hanno messo a disposizione dell’intelligence le loro strutture e offerto ai loro docenti l’opportunità di partecipare all’avvio di un’ampia riflessione sui temi della sicurezza nazionale. Al progetto hanno partecipato giuristi, economisti, politologi, ambasciatori, magistrati, avvocati dello Stato, prefetti ed ex responsabili di apparati della sicurezza. «La legge sul Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica - si legge nell’introduzione del primo numero dei Quaderni - affida al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza un compito del tutto nuovo per i nostri apparati informativi: la promozione e la diffusione della cultura della sicurezza, alle quali affianca, ancora una volta innovando radicalmente rispetto al passato, la comunicazione istituzionale. Nello stesso tempo, la legge ha significativamente ampliato il campo d’azione delle due Agenzie di informazioni per la sicurezza, aggiungendo alla difesa dell’indipendenza e dell’integrità dello Stato democratico la protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali del nostro Paese. Di fronte ad un quadro normativo così radicalmente mutato, - prosegue l’introduzione - per impostare le attività volte alla promozione e diffusione della cultura della sicurezza, il Dis ha costituito un ristretto gruppo di qualificati esponenti del mondo accademico e istituzionale, che ha definito un programma d’iniziative per avviare la discussione pubblica sui temi della sicurezza nazionale alla luce della nuova missione istituzionale assegnata dalla riforma ai servizi di informazione». Nel primo numero dei Quaderni trovano spazio alcune importanti riflessioni che mettono a fuoco un ristretto novero di idee-forza sulle quali l’intelligence intende aprire un dibattito pubblico «orientato alla costruzione di una nuova cultura della sicurezza, anche in relazione ai temi cruciali che tuttora si pongono per l’attuazione della riforma». Si va dal rapporto tra la comunità dell’intelligence e le università, e tra servizi segreti e politica, alle missioni dell’intelligence e l’interesse nazionale, la riservatezza delle informazioni per la sicurezza nazionale, l’apporto dell’intelligence all’economia nazionale e al sistema-Paese, le professionalità e i talenti per l’intelligence, ma anche il rapporto tra l’intelligence e il mondo della comunicazione.

di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 12 aprile 2012 [pdf]

genova01GNei corridoi del Viminale lo chiamano “effetto Diaz”. E’ la spada di Damocle che incombe sulla polizia di Stato e che, da qui a qualche mese, potrebbe condizionare ogni decisione, comprese nomine e avvicendamenti ai vertici (anche dei servizi segreti). E’ tutto legato agli esiti dell’ultimo processo, quello per la brutta storia dell’irruzione alla scuola Diaz di Genova durante il G8 del 2001, che vede imputati alcuni dirigenti della polizia di primissimo livello. Dovrebbe concludersi a metà giugno, in Cassazione (le udienze sono fissate dal giorno 11 al 15), ma su di esso incombe la prescrizione dei reati (quello di calunnia lo è già, mentre per il falso scatterà a 12 anni e mezzo dal fatto). In Appello, nel maggio 2010, ribaltando la sentenza di primo grado del tribunale di Genova, i giudici avevano condannato i 25 imputati a complessivi 98 anni e tre mesi di reclusione con l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Tra questi spiccavano - e spiccano ancora oggi in attesa del verdetto della corte suprema - i nomi di Francesco Gratteri, ex capo del Servizio centrale operativo (attuale direttore centrale della polizia criminale, assolto in primo grado e condannato a 4 anni), Gilberto Caldarozzi, ex vicecapo dello Sco (attuale capo dello Sco, assolto e poi condannato a 3 anni e 8 mesi), Vincenzo Canterini, ex comandante del primo Reparto mobile di Roma (oggi ufficiale di collegamento dell’Interpol a Bucarest, assolto e condannato a 5 anni) e Giovanni Luperi, ex vicedirettore dell’Ucigos (oggi capo Dipartimento analisi dell’Aisi, assolto e condannato a 4 anni). Erano tutti presenti a Genova la notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 e secondo le motivazioni della sentenza d’appello, in base all’articolo 40 del codice penale, avevano l’obbligo di impedire le violenze che si consumarono durante la sanguinosa irruzione nella scuola Diaz (93 arresti e 82 feriti). Il blitz, ordinato dagli allora vertici della polizia, fu definito da uno degli imputati, Michelangelo Fournier, all’epoca vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma (in appello prosciolto per intervenuta prescrizione), «una macelleria messicana». Odissea terminata per altri due imputati eccellenti: l’ex capo della polizia e attuale direttore del Dis, Gianni De Gennaro, e l’allora capo della Digos di Genova, oggi dirigente della Polfer a Torino, Spartaco Mortola, assolti in via definitiva nel novembre scorso, perché il fatto non sussiste. Quest’ultimi erano accusati (sempre per i fatti della Diaz) di aver istigato alla falsa testimonianza l’ex questore del capoluogo ligure, Francesco Colucci. L’impatto del prossimo verdetto della Cassazione potrebbe condizionare, e non di poco, il valzer di nomine riguardanti i vertici di tutti gli uffici centrali della polizia, compreso lo Sco e la poltrona più alta, quella del capo, al momento occupata dal prefetto Antonio Manganelli. I nomi in corsa - come già anticipato da Il Punto - sono diversi. Tra i più quotati ci sono quelli di due prefetti-poliziotti: Giuseppe Caruso, già questore a Roma e Palermo, di cui è stato anche prefetto e attuale direttore dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati alla criminalità organizzata, e Giuseppe Pecoraro, attuale prefetto di Roma la cui candidatura sarebbe fortemente caldeggiata dal Pdl. Ma in corsa per occupare il posto di Manganelli ci sarebbero anche due investigatori di lungo corso: Nicola Cavaliere, oggi vicedirettore operativo dell’Aisi, e l’attuale capo del Dipartimento della protezione civile, già direttore del Sisde e prefetto de L’Aquila dopo il sisma del 6 aprile 2009, Franco Gabrielli. L’“effetto Diaz” potrebbe condizionare anche la carriera dell’attuale direttore dello Sco, Gilberto Caldarozzi, e quella di Francesco Gratteri, attuale direttore centrale del Dipartimento anticrimine. Il governo, sentito il Viminale, tra maggio e giugno potrebbe mettere mano alle nomine, in concomitanza sia con la sentenza della Diaz sia con la scadenza dei mandati dei direttori di Aisi e Aise, Giorgio Piccirillo e Adriano Santini.

di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 29 marzo 2012 [pdf]

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Quattordici anni lontani, distanti uno dall’altro. Le morti di Aldo Moro e di Paolo Borsellino sembrano essere legate dal tradimento. Di quella parte di Stato che entrambi, con ruoli diversi difendevano. E per il quale hanno, alla fine, dato la vita. Le lettere scritte da Moro durante i 55 giorni della prigionia sono un potente e implacabile atto d’accusa per la politica italiana. Le ultime rivelazioni che giungono da Caltanissetta sugli ultimi giorni di Borsellino rappresentano un colpo micidiale per la credibilità della lotta alla mafia.
C’è un luogo ben preciso e ricco di significati dove lo Stato e l’anti Stato si incontrano. È il Cafè de Paris, da simbolo della Dolce Vita romana negli Anni Sessanta a emblema dell’infiltrazione criminale nella Capitale nei nostri giorni. A pochi giorni di distanza dal 16 marzo 1978, giorno del sequestro di Aldo Moro, Francesco Fonti – oggi meglio conosciuto come il pentito che ha raccontato le vicende delle navi dei veleni - viene convocato dalla sua cosca, Romeo, a San Luca e gli viene detto di andare a Roma. Dalla Dc calabrese erano venute pressanti richieste alle cosche per attivarsi al fine della liberazione di Moro. Pressioni – ricorda Fonti - erano venute anche dalla segreteria nazionale e dal segretario Benigno Zaccagnini, morto a Ravenna il 5 novembre 1989. Fu proprio nel locale di via Veneto, che Fonti incontrò l’esponente democristiano: «E’ un brutto momento per la coscienza di tutto il mondo politico – disse il politico - e non avrei mai potuto pensare che oggi potessi essere seduto davanti a lei in qualità di petulante, ma è così». Fonti ricorda come Zaccagnini non facesse nulla per nascondere il proprio “schifo”: «Non sono mai sceso a compromessi - riprese - ma se sono venuto ad incontrarla significa che il sistema sta cambiando, faccia in modo che quella di oggi non sia stata una perdita di tempo, ma piuttosto una svolta decisiva, ci dia una mano e la Dc di cui mi faccio garante saprà sdebitarsi». Prima di andarsene, disse: «Non ci siamo mai incontrati se ci saranno notizie che vorrà darmi di persona lo dica all’agente Pino». Quello che Zaccagnini non sapeva era che Fonti, uomo organico all’organizzazione criminale, da nove anni frequentava con profitto le stanze di Forte Braschi. E che già conosceva l’agente Pino. Moro non venne salvato. Certo non per colpa di Fonti che, anzi, tornato in Calabria, riferì delle ricerche avviate. Ma venne bruscamente stoppato: «La vicenda non interessa più», gli fu detto. ...continua a leggere "Da via Fani a via D’Amelio, il filo rosso che unisce le morti di Moro e Borsellino"

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Roma, via della Grande Muraglia Cinese 46, 16 luglio 1995. È domenica e a Roma è una giornata molto calda. Il tenente colonnello dell’Esercito, Mario Ferraro, 46 anni, calabrese, distaccato al Sismi, esperto in informatica, traffici di armi e terrorismo internazionale, è in casa insieme alla sua compagna, Maria Antonietta Viali, per gli amici Antonella. Sono al quinto piano, in un attico nel quartiere Torrino, accanto all’Eur. La coppia è in assoluto relax dopo aver trascorso una giornata serena e scandita da poche e semplici azioni, ignari che quella sia la loro ultima domenica insieme. La mattina si sono alzati tardi, intorno alle undici, hanno fatto colazione e poi sono andati sul terrazzo, portando con loro riviste, bibite e gli amati Toscani, a prendere il sole fino alle quattordici. Sono riscesi nell’appartamento per pranzare e hanno trascorso gran parte del pomeriggio in casa a ridere, scambiarsi baci, carezze e fare programmi per il futuro. Verso le 19, quando il caldo è meno insopportabile, sono ritornati in terrazzo dove il ponentino, la brezza che arriva dal mare, comincia a rinfrescare l’aria e hanno giocato a scalaquaranta fin verso le venti quando Mario ha deciso di uscire a fare quattro passi. Mario ha infatti finito i suoi sigari, passione che ha in comune con la sua compagna e ha voglia di mangiare un gelato, per cui propone a Maria Antonietta di andare in tabaccheria e poi alla gelateria Giolitti, in viale Oceania. Lei vuole rimanere in casa per cui, dopo aver insistito un po', decide di uscire lo stesso, da solo. Fa la doccia, si veste sportivo con una polo e un paio di jeans e torna di nuovo in terrazzo per vedere se per caso Maria Antonietta ha cambiato idea. Lei è decisa a rimanere in casa a preparare la cena e poco prima che lui esca fa in tempo solo a chiedergli cosa vuole mangiare. ...continua a leggere "La strana morte di Mario Ferraro, agente del Sismi"