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In quel 19 luglio di lacrime e morte, tra le lamiere roventi e l’odore del tritolo sporco di sangue, si sarebbe potuto immaginare un finale diverso. Magari come questo: «Ecco via d’Amelio con un’ampia zona in cui è vietato il parcheggio davanti al civico 19-21. E’ un paesaggio tipico di Palermo di quegli anni; la casa, infatti, è un obiettivo sensibile, ci abita la madre del giudice Borsellino e il giudice viene spesso a trovarla. La sua scorta ha da tempo individuato quella zona come un punto ideale per commettere un attentato. E il giudice Paolo Borsellino, come tutti sanno, è il principale obiettivo di Cosa nostra. L’acume, la professionalità e la dedizione degli agenti, il lavoro dei servizi segreti, la solidarietà popolare contro la mafia hanno permesso la recinzione di quel tratto di strada, e nessuno ha protestato troppo per i disagi nei parcheggi. Così è stata protetta la vita del procuratore nazionale antimafia Paolo Borsellino…». Ma come scrive nel suo ultimo libro (Il vile agguato) Enrico Deaglio, «non andò così» e «lo sappiamo bene». Ci sono altre cose, invece, che non sappiamo affatto: perché dopo vent’anni esatti di depistaggi e menzogne, sull’assassinio di Borsellino e degli uomini della sua scorta, in uno Stato che la rivendica a parole ma la ostacola nei fatti, la verità non è stata ancora accertata. ...continua a leggere "Strage di via D’Amelio, vent’anni senza verità"

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«Sono uno scapestrato? Sono solo un po’ sfigato e sono il figlio di un politico mafioso, non il solo però. Mi sento responsabile, ma sappiate che quella trattativa è costata la vita al giudice Borsellino e portava in alto, molto in alto. Talmente tanto che ancora oggi potrebbe avere un effetto dirompente». Lo sfogo di Massimo Ciancimino, il controverso figlio di Don Vito, sindaco mafioso del “sacco” di Palermo, uomo chiave dell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia, arriva via Facebook, nel cuore della notte, dopo aver letto un articolo de Il Punto di qualche settimana fa (Palermo Top Secret, ndr) e mentre le trascrizioni delle ansiose telefonate di Nicola Mancino al consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio, fanno il giro del mondo. Ciancimino junior lo immaginiamo con un iPad tra le mani, chiuso nella sua casa, nel cuore elegante di Palermo, impegnato a leggere il malloppo di atti giudiziari allegato all’avviso di conclusione delle indagini con cui la Procura del capoluogo siciliano si appresta a chiedere il rinvio a giudizio per una dozzina di indagati eccellenti. Tra loro c’è anche lui che in quell’aggettivo, «scapestrato» appunto, come lo avevamo definito sulle pagine del nostro settimanale, proprio non riesce a riconoscersi. Carte scottanti, che, secondo i magistrati di Palermo, Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene, raccontano come lo Stato, negli anni del tritolo, provò a scendere a patti con la mafia stragista, attraverso la mediazione sotterranea di politici e di alti ufficiali dell’Arma dei carabinieri. Carte che contengono tutto quello che Ciancimino aveva cominciato a ricostruire con gli inquirenti quattro anni fa, ridando voce, un po’ alla volta, alle parole di suo padre. E che, nell’ambito della stessa inchiesta palermitana, gli sono costati due capi di imputazione: associazione a delinquere di stampo mafioso e calunnia. ...continua a leggere "«Borsellino ucciso dalla trattativa»"