Vai al contenuto

Per anni, scrivono gli inquirenti motivando il suo arresto, è stata vicinissima al boss Matteo Messina Denaro. Di più: era la sua amante e colei che si occupava di tutte le necessità dell’uomo che fino al 16 gennaio scorso era in cima alla lista dei criminali più ricercati d’Italia. E alla fine è toccata anche a lei. Da oggi, infatti, la maestra Laura Bonafede, figlia dello storico boss di Campobello di Mazara, Leonardo, è agli arresti con l’accusa di favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravata dall'aver agevolato Cosa Nostra.
La 56enne, secondo i carabinieri del Ros e i magistrati della Dda di Palermo, fa parte della “rete di complici” che ha protetto il capomafia, fino agli ultimi giorni della sua latitanza. Di lei, si legge nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Alfredo Montalto, sappiamo per certo che, dopo aver conosciuto Matteo Messina Denaro nel lontano 1997, “ha addirittura instaurato con lo stesso uno stabile rapporto quasi familiare coinvolgente anche la figlia Martina Gentile, durato dal 2007 sino al dicembre 2017, quando venne necessariamente interrotto a seguito di un importante ennesima operazione di polizia, per poi riprendere, appena 'calmatesi le acque' negli ultimi anni sino all'arresto del latitante". ...continua a leggere "Arrestata Laura Bonafede. È accusata di aver favorito la latitanza di Messina Denaro"

Strage di Via d'AmelioLa Polizia sapeva. E l’accusa pesa come un macigno. Fin dal 1995 gli investigatori che indagavano sulla strage di via D’Amelio, in cui il 19 luglio 1992 fu ucciso il giudice Paolo Borsellino insieme ai cinque agenti della sua scorta, erano a conoscenza che quanto raccontato dal pentito Vincenzo Scarantino non corrispondeva alla verità. Dunque tutto quello che accadde negli anni successivi, condanne definitive comprese, fu viziato da quella falsa testimonianza. Un cumulo di menzogne, di fatto un vero e proprio depistaggio, che ha retto fino al 2007, quando il boss Gaspare Spatuzza ha cominciato a collaborare raccontando di essere stato lui a trasformare in autobomba la Fiat 126 utilizzata per compiere l’attentato. La storia della falsa collaborazione di Scarantino, che per la strage di via D’Amelio fu inizialmente condannato a 18 anni e poi scagionato, ora è oggetto di un processo, in corso a Caltanissetta e ormai arrivato alle battute finali. Vede imputati, per calunnia aggravata, tre poliziotti - Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei -, negli anni ‘90 investigatori di punta del pool che indagò sulla strage di Palermo. Secondo la Procura del capoluogo nisseno, Scarantino sarebbe stato indotto dagli investigatori che lo gestivano, guidati dall’allora capo del pool Arnaldo La Barbera, ad accusare della strage mafiosa persone innocenti. ...continua a leggere "La Barbera & C. dietro i depistaggi su Via d’Amelio"

Un omicidio di mafia eseguito da sicari non mafiosi. E’ questa la conclusione, riguardante il delitto dell’ex presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980), fratello dell’attuale presidente della Repubblica, a cui era giunto, indagando, Giovanni Falcone. Una rivelazione che il giudice, due anni prima della sua morte, aveva affidato alla Commissione parlamentare antimafia, nel corso di un’audizione fiume datata 22 giugno 1990. Parole inquietanti, che tirano in ballo l’eversione nera, fino ad oggi rimaste secretate dentro una carpetta custodita in una cassaforte di San Macuto. E ora di libera consultazione per decisione dello stesso organismo parlamentare guidato da Nicola Morra.
“Nel corso di faticose istruttorie – disse Falcone rispondendo ai parlamentari dell’Antimafia – abbiamo trovato tutta una serie di riscontri che ci hanno portato a dover valutare il fatto che queste risultanze probatorie fossero conciliabili con una matrice e quindi con dei mandanti sicuramente all’interno della mafia, oltreché ad altri mandanti evidentemente esterni”. Il giudice, in particolare, sembra ritenere attendibili le parole dell’ex terrorista nero, Cristiano Fioravanti che accusò dell’assassinio Mattarella suo fratello, Valerio, detto Giusva, poi processato e assolto per il delitto dopo che Tommaso Buscetta ne mise in dubbio le responsabilità. ...continua a leggere "Per Falcone ad ordinare di uccidere Piersanti Mattarella fu Cosa nostra ma i sicari non erano mafiosi"

Silvio BerlusconiIl passato torna a bussare alla porta di Silvio Berlusconi. E lo fa, ancora una volta, evocando le bombe del Novantatré. L’ex premier, è notizia di oggi, ma in realtà è vecchia di due anni, è di nuovo indagato per gli attentati mafiosi che ventisei anni fa sconvolsero l’Italia. Per la Procura di Firenze, il Cavaliere, insieme a Marcello Dell’Utri, ne fu il mandante occulto.
Il primo: il 14 maggio, a Roma, Cosa Nostra piazza 90 chili di tritolo in via Fauro, sono per Maurizio Costanzo, ma l’attentato fallisce. Tredici giorni dopo, a Firenze, esplode una bomba in via dei Georgofili, le vittime sono 5 e anche la Galleria degli Uffizi subisce danni. Tra il 27 e il 28 luglio ne esplodono altre tre: in via Palestro, a Milano (5 vittime) e di nuovo a Roma, a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio in Velabro. L’ultimo, ancora a Roma, fallisce il 31 ottobre allo stadio Olimpico durante Lazio-Udinese. Un’autobomba, imbottita con 130 chili di tritolo arricchito con chiodi e bulloni, non esplode perché il telecomando s’inceppa.
A ispirare la nuova inchiesta, che vede indagato l’ex premier è un colloquio carpito nell’aprile del 2016 dalle microspie che la Dia aveva piazzato nel carcere di Ascoli Piceno. E’ l’ora d’aria e a parlare, tra loro, anche di Berlusconi, sono il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano (l’uomo che azionò il telecomando dell’autobomba che in via D’Amelio uccise il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta) ...continua a leggere "Berlusconi di nuovo indagato a Firenze per le stragi del 1993"