Neanche la penna di Joseph Conrad, l’autore del celebre romanzo L’agente segreto, avrebbe potuto partorire una storia così. Eppure, a leggerla con gli occhi di un qualunque complottista – e in Italia ce ne sono davvero tanti – il ritorno in auge dell’eterno sospetto, che dietro il pool di Milano e l’inchiesta mani pulite ci fosse la manina dell’intelligence americana, ancora oggi annovera autorevoli sostenitori. «Una storia – commenta a Il Punto l’allora capo del pool di Milano, Francesco Saverio Borrelli – che è frutto di un’immaginazione un po’ sfrenata». Perciò nulla da invidiare alle pagine e allo stile di Conrad. E gli ingredienti, manco a dirlo, ci sono tutti: un politico, Bettino Craxi, che se la intende con il Medio Oriente; una potenza straniera, gli Stati Uniti d’America, che non vede di buon occhio tanta libertà nel Mediterraneo; e, infine, l’incidente diplomatico che fa traboccare il vaso, il braccio di ferro di Sigonella dopo il dirottamento della nave Achille Lauro (1985). Un precedente non di poco conto, che avrebbe verosimilmente «armato» la diplomazia Usa, spingendola a intromettersi nella vita pubblica italiana. Come? Infiltrandosi tra i magistrati che indagando sulla politica (il Psi e Bettino Craxi in primis) stavano cambiando il corso della storia. ...continua a leggere "Mani pulite non è un romanzo"
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Il Sisde non porta fortuna a Di Pietro
A volte ritornano, anche a distanza di diciassette anni. Dal dossier “Achille” alle foto che ritraggono Antonio Di Pietro a tavola con l’allora numero tre del Sisde, Bruno Contrada, di acqua sotto i ponti ne è passata davvero tanta. Era il ’96, quando il Corriere sparò a nove colonne la notizia dell’esistenza di un dossier del Sisde, per l’appunto il dossier “Achille”, dal nome della gola profonda che lo aveva ispirato, che conteneva un bel po’ di notizie riservate su Di Pietro e sul pool di Mani Pulite. In sei cartelle - anche se l’autore, lo 007 Roberto Napoli, disse che erano molte di più - c’erano i rumors raccolti dagli agenti di via Lanza sul conto di Di Pietro nel corso di un’indagine compiuta non si sa ancora per conto di chi. Il Viminale, imbarazzato e travolto dalle polemiche, spiegò che non si trattava di indagini sull’allora pm, ma di una “copiosa documentazione” in cui erano stati rinvenuti “solo alcuni atti con incidentali riferimenti al nominativo del dottor Di Pietro”. Un dossier che era parte di un fascicolo, composto da almeno un centinaio di cartelle, che tecnicamente fu definito “galleggiante”. Quattro anni prima l’uscita di quelle maleodoranti veline, per l’esattezza il 15 dicembre 1992, l’attuale leader dell’Idv partecipò - lo racconta ancora il Corriere in un ampio servizio del 2 febbraio scorso - all’ormai famigerata cena, di cui ci sono le foto, insieme a Contrada e ad altri ufficiali dei Servizi e dell’Arma. Erano tutti più giovani: Di Pietro non c’azzeccava ancora nulla con la politica e Contrada era, anche se ancora per poco, il numero tre del servizio segreto civile (lo stesso che raccoglieva rumors sul pool). Ancora per poco, perché nove giorni dopo il funzionario palermitano finì in manette con la pesante accusa di concorso esterno in associazione mafiosa sulla base delle dichiarazioni di alcuni pentiti (nel 2007 è stato definitivamente condannato a 10 anni). “Non sapevo neanche che esistessero le foto”, commenterà Di Pietro: “Ero in una mensa dei carabinieri non in un ristorante o in un night”. E poi ancora: “Sono orgoglioso che il 16 dicembre del 1992 o del 1993, non ricordo, a ridosso di Natale sono stato invitato dai carabinieri alla presenza di ufficiali e sottoufficiali e anche di alti esponenti delle istituzioni, quali anche il questore Contrada, a una cena natalizia. Io a differenza di chi va a cena con le veline di turno - dice ancora l’ex pm - sono andato a cena con i carabinieri che lavoravano con me a Mani Pulite. Se poi qualcuno, nella fattispecie Contrada, ha commesso reati per i quali successivamente è stato arrestato, è lui che ha sporcato quella cena, non certo io”. A quella cena c’era seduto anche un agente americano che poi ha fatto carriera, l’italiano Rocco Mario Mediati, che dalla multinazionale statunitense della sicurezza “Kroll”, dove lavorava all’epoca di quello scatto, è finito al “Secret Service” di via Veneto, dove lavora oggi. “Chi lo conosce?”, dice Di Pietro: “Mai avuto a che fare né con l'agenzia Kroll, né con la Cia, sia chiaro”. Vivaddio. Chi ha tirato fuori, diciassette anni dopo, le foto di quella cena? L’avvocato Mario Di Domenico, che ha scritto a quattro mani con Di Pietro lo statuto dell’Idv e dopo aver rotto con lui ha riempito un libro anche con quelle immagini, dice di averle avute da una persona che quella sera era a quel tavolo. Una barbafinta? Andreotti diceva che a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.
di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 18 febbraio 2010 [pdf]