Ma come hanno fatto Giulio e Francesca Maria Occhionero, i due fratelli romani arrestati il 10 gennaio dalla Polizia con l’accusa di cyberspionaggio, ad ottenere le credenziali Apple Id dell’IPhone dell’ex premier Matteo Renzi se il malware impiegato – EyePyramid – è programmato per captare dati solo da dispositivi Windows?
Al momento nessuno è riuscito a dare una risposta precisa a questa domanda. Dalla lettura degli atti emersi fino a questo punto sembrerebbe un argomento non esplorato nemmeno dagli investigatori del Cnaipic che hanno ricevuto la delega dal pm Eugenio Albamonte. Ma gli interrogativi rimasti in sospeso, che circondano gli episodi di spionaggio elettronico contestati ai due fratelli, sono molti.
Una parte della storia è ancora custodita all’interno dei server che i due avevano noleggiato negli Stati Uniti. Lì dovrebbe nascondersi i dati “rubati”. È in corso una procedura di rogatoria internazionale che consentirà all’autorità giudiziaria italiana di agire con pieni poteri nei confronti delle società di hosting che, pochi giorni prima dell’arresto dei fratelli Occhionero, hanno ricevuto l’ordine dai “clienti” di scollegare quei server. Quando gli inquirenti, nel corso di una perquisizione dello scorso ottobre, hanno provato ad accedere a quel contenuto i due indagati si sono rifiutati di consegnare le password. In un caso proprio Francesca Maria Occhionero digitava deliberatamente delle password sbagliate provocando il blocco del sistema. ...continua a leggere "Occhionero ha davvero spiato l’Iphone di Renzi? Domande, risposte e dubbi"
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Segreti di Stato, Giannuli: «vi spiego perché Renzi vende fumo»
«Renzi, al solito, vende fumo». Così Aldo Giannulli, ricercatore in Storia contemporanea all’Università di Milano, già consulente di diverse procure e della Commissione stragi, bolla dal suo blog l'operazione trasparenza sulle stragi promossa dal Governo. Giannuli è uno dei massimi esperti del settore e oltre a essere autore di diversi saggi sul mondo dell'intelligence e colui che nel 1996 scoprì, sulla via Appia, il famoso deposito segreto dei fascicoli dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale.
L'esperto, commentando la decisione del governo di declassificare i documenti riguardanti le stragi di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna e rapido 904, afferma che si tratta di «chiacchiere», perché, innanzitutto, «già da una ventina di anni, il segreto di Stato non è opponibile alla magistratura che procede per reati di strage o eversione dell’ordine democratico». Di conseguenza, spiega Giannuli, la magistratura, «sia direttamente che tramite agenti di pg e periti, ha abbondantemente esaminato gli archivi dei servizi e dei corpi di polizia, acquisendo valanghe di documenti che sono finiti nei fascicoli processuali».
Anche le Commissioni parlamentari che si sono succedute, sul caso Moro, sulle stragi, sul caso Mitrokhin, «hanno acquisito molta documentazione in merito (anche se poi è finita negli scatoloni di deposito e non in archivi pubblici)». E una larghissima parte di questi documenti «finita nei fascicoli processuali e nelle commissioni di inchiesta è stata resa consultabile dalla “Casa della Memoria di Brescia”, dove chiunque può accedere, e dalla Regione Toscana (strano che Renzi non lo sappia)».
Inoltre la stessa documentazione, già a suo tempo, fu acquisita dai magistrati e consultata dai giornalisti «che l’hanno avuta dagli avvocati delle parti ed è finita in migliaia di articoli». «Diversi consulenti parlamentari e giudiziari (a cominciare dal più importante, Giuseppe De Lutiis a finire al sottoscritto) - prosegue Giannuli dal suo blog - hanno successivamente utilizzato abbondantemente quella documentazione per i loro libri».
Dunque siamo alla “quinta spremitura”. «Viceversa - va avanti il ricercatore -, restano ancora da risolvere i problemi degli archivi inarrivabili e per i quali occorrerebbe far qualcosa per renderli accessibili: quello della Presidenza della Repubblica che ha sempre rifiutato ogni accesso, per quanto minimo, alla magistratura in nome dell’immunità Presidenziale. Quello dell’Arma dei Carabinieri (alludiamo all’archivio informativo, non a quello amministrativo) che non si capisce dove stia. Quelli delle segreterie di sicurezza dei vari enti e dei relativi uffici Uspa (Ufficio sicurezza del Patto Atlantico, ndr) che sono protetti dal segreto Nato».
Renzi secondo Giannuli dovrebbe «invitare il Capo dello Stato a valutare l’opportunità di rendere accessibile il proprio archivio oltre le carte del Protocollo attualmente visibili; chiedere all’Arma dei carabinieri un rapporto ufficiale sulla sistemazione dei propri archivi informativi; porre in sede Nato la questione del superamento del segreto dopo un congruo periodo di segretazione. Per esempio, poco dopo la “rivoluzione dei garofani” in Portogallo, la Nato avocò a sé tutto il materiale della e sulla Aginter Press: possiamo vederlo?».
Ma soprattutto, ricorda Giannuli, andrebbero adottati i regolamenti attuativi della legge 124 del 2007. «Se il Presidente del Consiglio vuol fare sul serio - conclude Giannuli - è bene che si ricordi che il suo ente è in ritardo di anni su precisi impegni presi. Nel 2007, per far digerire quell’orrore di legge di “riforma” sui servizi, venne inserito un complicato sistema che avrebbe dovuto assicurare la decadenza automatica della classifica di segretezza dopo un certo periodo; premessa necessaria per poter inviare i documenti agli archivi di Stato (non solo quelli sulle stragi ma tutti). Però occorreva prima fare i regolamenti attuativi: stiamo ancora aspettando questi regolamenti dopo sette anni. Poi il governo Monti promise che entro il 2012 avrebbe comunicato l’elenco dei vari archivi esistenti con le diverse sedi dei depositi (cosa che non è stato mai possibile avere). E stiamo aspettando ancora anche questo elenco. Se la sente Renzi di fare sul serio - chiosa - o è solo fumo elettorale?».
di Fabrizio Colarieti
Renzi vuole la verità sulle stragi ma inciampa sul segreto di stato
Non convince gli esperti del settore e trova scarsi consensi da parte delle associazioni che rappresentano i familiari delle vittime, e se alle parole non seguiranno i fatti, come spesso accade nel paese degli eterni segreti, l'intenzione del premier Matteo Renzi di declassificare i documenti sulle stragi potrebbe rivelarsi un flop.
Dalle colonne di Repubblica, nell'edizione di oggi, tra molti dubbi, la proposta di Palazzo Chigi è timidamente ben accolta dall'ex giudice istruttore Rosario Priore, uno dei magistrati che più si è occupato dei misteri italiani, dalla strage di Ustica all'attentato a Giovanni Paolo II.
«Sono d'accordo con Renzi - spiega il giudice - nel rimettere in attività le inchieste sulle stragi. Ci sono di sicuro delle notizie negli archivi dei nostri Servizi. Ma devono essere sfuggite alla cernita quelli, molto interessanti, conservati dalle intelligence estere. In particolare nei Paesi dell'Est». «Di fronte a questo mondo di carte e documenti all'estero - prosegue Priore -, non vorrei sembrare offensivo, ma mi pare ridicolo il tentativo di chi cerca di dare tutte le responsabilità delle stragi in Italia a qualche ragazzino disperato di destra o di sinistra».
Secondo Priore dietro le stragi italiane «ci sono responsabilità molto gravi di organizzazioni internazionali, di Stati, e anche di molti servizi segreti non italiani». Pur con queste riserve, Priore salva l'iniziativa di Renzi perché «potrebbe essere il colpo d'ala ad ulteriori ricerche per raggiungere la verità storica».
Sulle stragi di mafia del '93-'94 «non c'è segreto di Stato, ma ci sono documenti nascosti in qualche cassetto o in qualche armadio. E soprattutto ci sono persone che non vogliono parlare», ha dichiarato, invece, Giovanna Maggiani Chelli, la presidente dell'Associazione fra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili. La Maggiani Chelli auspica che venga tolto «il segreto di Stato sulla discarica di Pitelli».
«Negli anni novanta - ricorda - alcuni documenti relativi a quella vicenda vennero trasmessi ai magistrati fiorentini che si occupavano delle stragi. Erano atti secretati. Non abbiamo mai saputo cosa ci fosse scritto. Magari dentro non c'è nulla di rilevante, ma sarebbe interessante sapere cosa contengono».
«Non c'è nessun segreto di stato sulle stragi. Non su quelle cosiddette classiche. Ma ci sono ancora una serie di atti che possono riguardare polizia o carabinieri che, se resi pubblici, possono contribuire a fare luce su fatti del passato», commenta Felice Casson, oggi parlamentare del Pd e segretario del Copasir, in passato magistrato impegnato, come Priore, in delicate inchieste su stragi e terrorismo.
Renzi ha citato le stragi "classiche", come piazza Fontana e quella di Bologna, «ma su quelle stragi non esiste nessun segreto opposto alla magistratura che indaga, per tutelare persone o circostanze che non si vorrebbero rendere pubbliche», perché la legge non lo consente. «Ci sono atti che devono essere desecretati - ha aggiunto Casson - , secondo legge ordinaria, dall'autorità preposta e visto che si tratta di atti dei servizi è il presidente del Consiglio che può dare indicazioni».
Secondo il parlamentare, tuttavia, «non ci sarà nessuna novità» ma l'intenzione espressa dal premier Renzi «è certamente positiva perché può portare ad abbreviare i tempi di desecretazione di tutta una serie di atti dei servizi segreti, che possono riguardare anche carabinieri o polizia, utili ad accertare fatti del passato».
«Bene l'annuncio del premier Matteo Renzi ma sarebbe necessaria la desecretazione di altri archivi per illuminare le zone grigie della storia», commenta il deputato Pd, Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna. «Bisognerebbe avere la possibilità di avere la disponibilità degli archivi militari - ha aggiunto -, degli archivi del ministero degli Esteri e di quello dei carabinieri».
Anche Daria Bonfietti, ex senatrice dei Ds e presidente dell'Associazione familiari delle vittime di Ustica, parla di notizia positiva «ma non decisiva ai fini della verità». «Credo che sia uno slogan vecchio, molto usato - ha aggiunto - e continuo a pensare, come è vero, che per la maggior parte di stragi delle quali parliamo non sono stati mai apposti segreti di Stato. La legge 801, ma anche le revisioni che sono state fatte, eliminano la possibilità di mettere sulle stragi il segreto di Stato».
di Fabrizio Colarieti