Per il momento è solo una direttiva. Ma l’orientamento del ministero della Giustizia sullo spinoso tema dei costi per le intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, appare ormai chiaro. Le parole d’ordine sono due: risparmiare e centralizzare. E questa volta la novità principale, prima ancora di regolamentare questo delicato settore, non riguarda la privacy dei cittadini, ma solo i mezzi necessari per violarla, legalmente. Via Arenula pensa a una gara unica nazionale che affidi a un solo gestore l’hardware delle sale di ascolto di tutte le 166 procure. Non è chiaro, tuttavia, cosa dovrà garantire all’autorità giudiziaria chi si aggiudicherà la maxi gara d’appalto, né le sorti delle aziende che al momento si spartiscono un’ampia fetta di mercato che vale più o meno 300 milioni di euro l’anno. Un settore già finito nel mirino della Commissione europea, che lo scorso anno ha richiamato l’Italia per il mancato rispetto delle normative sugli appalti, sollecitando il governo a fare in modo che l’affidamento di questi servizi avvenga solo su basi concorrenziali e attraverso gare pubbliche. ...continua a leggere "Ascolti segreti"
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Bavaglio & Business
Il tema spinoso delle intercettazioni sembrava finito nel dimenticatoio. Sorpassato dallo spread impazzito, dall’articolo 18 e dalla caduta anticipata di Silvio Berlusconi, il premier (pardon, l’ex) che – più di altri – provò a caricare sulle spalle degli italiani una paura in più: quella di essere spiati al telefono. Per intenderci stiamo parlando di una materia talmente complicata, quasi quanto regolare il conflitto d’interessi, che ha visto due governi, prima Prodi e poi Berlusconi, alle prese con un ddl mai nato, ma da tutti invocato a gran voce, guarda caso ogni volta che un politico – di destra o di sinistra – finiva intercettato da una procura. La bozza la portò all’attenzione del parlamento una vittima illustre dei telefoni sotto controllo, l’ex guardasigilli Clemente Mastella, il cui traffico telefonico (cosa ben diversa da quello fonico) finì – illegalmente secondo la Procura di Roma – negli atti dell’inchiesta Why Not? condotta dall’allora pm Luigi de Magistris e dal suo consulente, Gioacchino Genchi. Entrambi sono sotto processo, a Roma (la prima udienza ci sarà il prossimo 17 aprile), perché, secondo l’accusa, chiesero alle compagnie telefoniche di “sbirciare” nel traffico di migliaia di utenze, tra le quali anche quelle di parlamentari e agenti segreti, senza chiedere la preventiva autorizzazione alle Camere. ...continua a leggere "Bavaglio & Business"
Intervista Esclusiva per Notte Criminale: Gioacchino Genchi, uomo di Stato
L'intervista esclusiva a Gioacchino Genchi realizzata a Palermo il 6 aprile 2011 per Notte Criminale.
[guarda la II parte] - [guarda la III parte]
L'intervista, anche in formato testuale: prima parte - seconda parte.
Le multinazionali si “difendono” con l’Esercito Spa
Nelle grandi aziende è prassi sempre più consolidata. Le security private assomigliano sempre di più a vere e proprie strutture parallele di intelligence. "Eserciti Spa" con grandi disponibilità di risorse tecnologiche, soldati e know how al servizio di un solo uomo: il padrone. Lo dimostrano circa quattro anni, per affacciarsi solo sul recente passato, di scandali e indagini. In più ci si è messo anche il Governo che a colpi di timbri “top secret” ha di fatto certificato che certi rapporti, tra pubblico e privato, esistono e non sono poi così infrequenti.
Le consorterie della sicurezza privata, al soldo delle grandi aziende, violano ogni giorno la legge e la privacy dei propri dipendenti, dei clienti, dei concorrenti, dei cittadini e di chiunque, anche per pura coincidenza, inciampi nei loro affari. Li schedano, li intercettano, sbirciano nella loro posta elettronica, li pedinano e li filmano. In nome di una “ragione aziendale”, che assomiglia tanto alla “ragione di Stato”, che calpesta ogni diritto e che va oltre, anche l’immaginabile. È l’esercito degli ex, delle agenzie investigative e delle risk agency. Pubblici dipendenti in aspettativa, ex carabinieri, ex poliziotti, ex finanzieri, ex spioni. Dopo la pensione o a metà carriera, i più furbi, hanno una chance per non annoiarsi: diventare un consulente nel ramo della sicurezza privata. Un esercito invisibile di “barbe finte” pronte a tutelare gli interessi dei top manager e ad accontentare ogni loro capriccio.
Sono strutture efficienti, snelle, flessibili, soggette ad alcun controllo, se non quello dei vertici aziendali. Rispecchiano un modello ormai consolidato negli Stati Uniti, dove la sicurezza pubblica e privata vanno ormai a braccetto, anche nei teatri di guerra. Producono veline, dossier, analisi e rumors, a volte a metà strada tra il pettegolezzo e il gossip. Tutto fa brodo e un giorno potrebbe servire. Strutture che, in nome della legge del ricatto, che vige in un mercato ormai avvelenato, in alcuni casi hanno alimentato pericolose “macchine del fango”. Utilizzare ogni mezzo per raggiungere ogni tipo di obiettivo, questa la filosofia aziendale di chi si circonda di un esercito privato.
In quei dossier c’è dentro di tutto: dalle corna alle debolezze del diretto concorrente, passando per le sempre utili informazioni, meglio se piccanti, su politici, magistrati e, perché no, anche giornalisti. Una brodaglia maleodorante, pronta all’uso, che riposa negli archivi e nei server delle grandi corporation. La legge, quella repubblicana, vieta le schedature, le banchi dati, la raccolta delle informazioni con mezzi e tecniche che solo la polizia giudiziaria con l’avallo della magistratura può utilizzare. Ma a leggere le carte - quelle che raccontano prodezze e marachelle borderline delle security aziendali - ci si rende conto che la legge vige solo fuori dalle mura delle aziende. Se poi è necessario violarla, anche al di fuori da quei confini, non c’è problema, per il bene della “ditta”, ci si tappa il naso.
Le cronache raccontano anche che i Servizi, quelli che dovrebbero difendere il Paese, più di una volta hanno strizzano l’occhio ai Servizietti privati. Basta ricordare lo scandalo che coinvolse negli anni Settanta il famoso 007 privato Tom Ponzi (assolto anni dopo). La storia è piena di strani rapporti, a base di scambi bilaterali di informazioni, favori e dossier, tra le security private e i Servizi segreti. Un’intimità tanto stretta quanto insindacabile che ha spinto il Governo, il 22 dicembre scorso, ad apporre il segreto di stato sui rapporti tra un apparato statale, il Sismi (oggi Aise), e un’azienda privata, Telecom Italia. La vicenda è nota e ha visto il Presidente del Consiglio confermare il “top secret” opposto dal numero tre del controspionaggio militare, Marco Mancini, davanti al gup del tribunale di Milano che lo stava processando (in concorso con altri) per rivelazione di segreto d'ufficio, associazione a delinquere e corruzione nell’ambito del procedimento sui dossier illegali dell’ex sicurezza Telecom. Mancini, per difendersi, dovrebbe violare il segreto, parlando della sua attività e dei suoi rapporti che avrebbe avuto con Giuliano Tavaroli e i suoi colleghi al soldo di Marco Tronchetti Provera. Il Premier, l’unico che poteva avallare il silenzio dell’agente segreto, ha decretato che tali rapporti - e più in generale i criteri di gestione e gli assetti organizzativi dei Servizi, in quanto elementi riferibili “alle relazioni internazionali tra servizi e agli interna corporis degli organismi informativi” - sono segreti. Violare il segreto - ha scritto il premier al gup Mariolina Panasiti - “potrebbe da un lato minare la credibilità degli organismi informativi nei rapporti con le strutture collegate, dall'altro pregiudicarne la capacità ed efficienza operativa, con grave nocumento per gli interessi dello Stato”.
Un’altra storia, anch’essa recente, riguarda poi, un’altra compagnia telefonica, la Wind. È il caso di Salvatore Cirafici, agli arresti domiciliari su ordine del gip di Crotone dal 12 dicembre scorso. L’ex responsabile delle intercettazioni telefoniche e dei rapporti con l’autorità giudiziaria della compagnia dell’egiziano Naguib Sawiris, secondo l’accusa, avrebbe utilizzato e fornito ad altri sim che risultavano inesistenti, quindi potenzialmente sicure, e spifferato a un indagato che il suo cellulare era sotto controllo. Tutto questo è emerso nel corso di un’indagine su presunte irregolarità nella realizzazione della centrale turbogas di Scandale nel crotonese che vede indagati, tra gli altri, anche l’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio e l’ex presidente della Regione Calabria, attuale vicepresidente dell’autority per la Privacy, Giuseppe Chiaravalloti.
L’ultima prodezza riguarda un’altra internal security, quella della Coop. Una storia davvero inquietante, che sembra uscita da un romanzo di Ian Fleming, i cui contorni sono stati rivelati dalle colonne di Libero, da Gianluigi Nuzzi e di cui, a quanto pare, la magistratura dovrà occuparsi. Secondo quanto ha riferito il quotidiano, infatti, direttori di supermercati, manager, sindacalisti, ma anche cassieri e magazzinieri di diverse Coop della Lombardia, sarebbero stati spiati dall’azienda, con l’utilizzo di microspie, microtelecamere e “sonde” nei centralini telefonici. Si parla di centinaia di conversazioni ascoltate, registrate, filtrate e analizzate, in nome, così pare, di un altrettanto scellerata politica aziendale.
di Fabrizio Colarieti per Il Punto del 4 febbraio 2010 [pdf]