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ROMA - Nel cielo di Ustica la notte del 27 giugno 1980 ci fu un’azione di guerra. E in questo scenario il Dc9 della compagnia Itavia, che andava da Bologna a Palermo, fu abbattuto da un missile o a causa di una quasi collisione con un altro aereo mai identificato. E’ questa la conclusione cui è giunto il 10 settembre il giudice della terza sezione civile del Tribunale di Palermo, Paola Proto Pisani, condannando i ministeri della Difesa e dei Trasporti a pagare un risarcimento record (100 milioni di euro oltre oneri e interessi) agli 81 familiari delle vittime della strage di Ustica. Dalla sentenza - resa nota ieri dagli avvocati Daniele Osnato e Alfredo Galasso, che l’hanno definita «una crepa nel muro di gomma» - emerge che l’incidente avvenne «a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia», che tra Ponza e Ustica «viaggiavano parallelamente ad esso» e di un altro velivolo militare «precedentemente nascostosi nella scia del Dc9 al fine di non essere rilevato dai radar». Secondo la Proto Pisani, a causare il disastro che portò alla morte di tutti e 77 i passeggeri e dei 4 membri dell’equipaggio, non fu, perciò, né un cedimento strutturale né un’esplosione interna, bensì «la diretta conseguenza dell’esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto edilDc9». In pratica lo stesso scenario ricostruito nel ‘99 dal giudice istruttore Rosario Priore, che, tuttavia, non riuscì a individuare gli autori della strage. Il tribunale civile siciliano era stato chiamato a stabilire se, e in quale misura, i due dicasteri non avevano svolto ogni necessaria azione per tutelare l’incolumità del volo Itavia, impedendo così ai parenti di conoscere la verità. Attorno al Dc9, afferma la sentenza, «c’era una situazione aerea complessa», confermata anche dal tracciato radar di Ciampino. Il tribunale di Palermo punta il dito anche contro gli ufficiali e sottoufficiali dell’Aeronautica militare, che sistematicamente depistarono e intralciarono il più «proficuo svolgimento delle indagini, mediante sottrazione di documentazione».

di Fabrizio Colarieti – Il Messaggero, 22 settembre 2011 [pagina originale]

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ROMA - C'era un tratto di cielo, la sera del 27 giugno 1980, che non era controllato a sufficienza dai radar italiani, civili e militari. E in quel buco nero sparì il Dc9 Itavia, precipitando nelle acque di Ustica. E' per questo motivo che ieri lo Stato è stato condannato a risarcire le vittime di quella strage irrisolta. A stabilirlo è una sentenza della terza sezione civile del Tribunale di Palermo, che ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti a pagare oltre 100 milioni di euro (più interessi e oneri accessori) a ottanta familiari delle vittime. Affermando anche la precisa responsabilità dei due dicasteri, che non fecero abbastanza per garantire l'incolumità dei 77 passeggeri e dei quattro membri dell'equipaggio di quel volo Itavia 870 che ha segnato un pezzo della nostra storia recente.
Il Dc9 decollato da Bologna - secondo quanto hanno sostenuto i legali dei familiari che nel 2008 intentarono causa nei confronti dello Stato - per raggiungere Palermo attraversò un tratto dell’aerovia Ambra 13 scarsamente vigilato dalla rete radar della Difesa. E in quel buco nero, a metà strada tra le isole di Ponza e Ustica, l’aereo I-Tigi si trovò al centro di una battaglia aerea e finì per diventare un bersaglio, precipitando in mare dopo essere stato colpito da un missile o a causa di una collisione con un altro velivolo.
I familiari delle vittime, invocando l'esistenza del diritto all'accertamento della verità, avevano citato in giudizio i due ministeri affermando che non potevano non essere a conoscenza - prima, durante e dopo la sciagura - che quel tratto di rotta era scarsamente coperto dai radar. Il giudice palermitano Paola Proto Pisani, dopo aver rispolverato l’istruttoria penale condotta dal giudice Rosario Priore, che nel 2007 portò all’assoluzione definitiva degli ultimi due imputati (gli allora vertici dell’Aeronautica militare), afferma oggi che con ogni probabilità intorno al Dc9 c’erano altri aerei, come evidenziarono le registrazioni radar di Ciampino. Una ricostruzione che collima con quanto scrisse Priore nelle conclusioni della sua sentenza-ordinanza, e cioè che fu proprio l’Aeronautica a non informare correttamente il governo sulla presenza d’intenso traffico militare intorno all’ultima “battuta” radar del Dc9.
La sentenza del tribunale di Palermo, che già in passato aveva condannato lo Stato a risarcire altri familiari delle vittime, riapre così lo scivoloso dibattito sull’affaire Ustica. Tutto questo mentre la procura di Roma attende le risposte alle rogatorie internazionali trasmesse lo scorso anno a Francia, Stati Uniti, Germania e Nato dopo le dichiarazioni di Francesco Cossiga che nel corso di alcune interviste (e sotto giuramento davanti ai giudici di Palermo) tirò in ballo l’aviazione francese, affermando che il Dc9 era stato colpito per errore durante un’operazione coperta che doveva portare all’abbattimento di un aereo che trasportava Gheddafi. Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione familiari delle vittime, ha definito la sentenza di Palermo di «elevato spessore civile». «E’ stato finalmente riconosciuto - ha aggiunto - il danno subito dai familiari per la negazione della verità e della giustizia, e questa sentenza è anche la conferma, come abbiamo sempre sostenuto, che quanto avvenne quella notte intorno al Dc9 è scritto nelle conclusioni dell’istruttoria di Priore».

di Fabrizio Colarieti - Il Messaggero, 13 settembre 2011 [pagina originale]

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Qualche mese fa ho ricevuto una telefonata, arrivava da Palazzo Chigi: «Colarieti? E' la segreteria del sottosegretario Giovanardi». Un attimo dopo, dall'altra parte dell'apparecchio, c'era proprio lui. La cordiale chiacchierata durò una decina di minuti e il tema era la Strage di Ustica. «E' stata una bomba», mi ripeteva Giovanardi con tono concitato, «abbiamo le prove e lei, con il suo sito, continua a ripetere che quella sera c'è stata una battaglia aerea e che il Dc9 fu abbattuto da un missile. Guardi che è tutto falso, intorno al Dc9 non c'erano altri aerei nel raggio di centinaia di chilometri».
Di telefonate così ne ho ricevute altre, l'ultima il 9 dicembre 2010: «Lei crede alle favole e agli asini che volano», mi ha ripetuto Giovanardi. Non so perché, anche se posso immaginarlo, da un po' di tempo il sottosegretario continua a ripetere le stesse cose, arrivando anche a minacciare querele a chi non la pensa come lui. L'ha fatto nel corso di una conferenza stampa a Bologna (il 22 novembre 2010), lo ha ripetuto rispondendo a un'interrogazione alla Camera (il successivo 2 dicembre) e ribadito intervenendo in diversi convegni. Secondo l'esponente del Governo - lo stesso Governo che a luglio dello scorso anno ha controfirmato le rogatorie promosse dalla Procura di Roma (che indaga ancora sul caso Ustica) verso Francia, Belgio, Germania e Stati Uniti - qualcuno mise una bomba nella toilette del Dc9 Itavia che il 27 giugno 1980, mentre percorreva la tratta Bologna-Palermo, precipitò nel mare di Ustica con 77 passeggeri e 4 membri dell'equipaggio a bordo. ...continua a leggere "Quella strana bomba nella toilette del Dc9"

usticaTutto ruota attorno ad una sigla: Kilo-Alfa-Zero-Uno-Uno. È la chiave di volta che permette all’edificio di sostenersi. Nell’affaire Ustica scoprire qual è la chiave di volta significa scoprire l’elemento su cui convergono tutte le forze. Perché eliminandola l’edificio crolla, miseramente, e quello che fino a un secondo prima era la causa della salvezza,un secondo dopo diventa la causa della rovina. La verità, lo si è detto per anni, è nei tabulati dei radar - quelli che la storia ci ha lasciato - e tra i rottami di quel relitto, che ancora dimorano in un hangar della base di Pratica di Mare e che presto finiranno nel Museo della Memoria a Bologna. Dall’analisi dei dati radar, per esempio quelli del sito militare di Marsala, in Sicilia, emergono, da sempre, una serie di evidenze e di azioni coerenti. Gli esperti che li avevano studiati in precedenza avevano avuto una visione limitata, fra le 20.36 e le 21.02 (il disastro era avvenuto alle 20.59), mentre, grazie al supplemento di indagine radaristica che volle il giudice Rosario Priore, fu possibile avere i dati di tutto il nastro: dalle 11.15 del 27 giugno 1980 fino alle 4.15 del 28.Così,venticinque anni dopo quella tragedia, quando gran parte dell’opinione pubblica ha dimenticato Ustica e i suoi mille misteri, si può arrivare a scoprire un pezzetto di verità. Sì, dal 1980 al 2005. Tuttavia non è così facile. Bisogna far combaciare le tessere provenienti da due elementi assai diversi:un ammasso di lamiere, recuperate in fondo al mare profondo tre chilometri e mezzo, e una serie infinita di lettere e numeri. Lì, in quei tabulati, ci sono due strani oggetti che volano davanti alla Sardegna a venti chilometri di quota, che si spostano da est a ovest a velocità bassissima, meno di cento chilometri orari, o addirittura si fermano. Per anni, chi doveva rispondere ha sempre fornito la stessa spiegazione: sono entrambi palloni sonda. Il primo oggetto definito un pallone è quello che sui radar viene chiamato AJ450: quello che “nasce” venti minuti prima del disastro e che “muore” nello stesso momento. Lo definiscono così in un’inchiesta dell’Aeronautica militare sollecitata nell’89 dall’allora ministro della Difesa. Il secondo oggetto è KA011, è la nostra traccia Kilo-Alfa-Zero-Uno-Uno. KA011 appare sugli schermi radar tre ore dopo replicando, in tutto e per tutto, il primo oggetto: di AJ450 replica quota, direzione, posizione e velocità. Un altro tassello, poi, è nel “nastro dei misteri”, quello contenente le registrazioni delle telefonate in entrata e in una uscita da Marsala la sera del disastro. Nastro ascoltato per la prima volta solo nel marzo del ’90. Qui il sergente Salvatore Loi, parlando con un altro militare, identifica KA011 come un pallone sonda. È una balla. I palloni stratosferici per la ricerca scientifica, utilizzati anche dal Cnr, decollavano dalla Sicilia e venivano recuperati in Spagna o addirittura in Amazzonia. Non potevano volare verso est, verso il Medio Oriente. Ma non è tutto. Guardando bene sui tracciati e applicando un fattore di scala pari a “6”, AJ450 diventa la traccia radar di un aereo che intercetta il Dc9 proprio nel momento in cui viene colpito. AJ450 potrebbe essere perciò protagonista di un’operazione di guerra elettronica. Un aereo dotato di apparecchiature elettroniche in grado di ingannare il radar di Marsala, mostrando quota,velocità e posizione diverse da quelle vere, insomma travestendosi da pallone sonda. KA011 compie un’azione gemella: tre ore dopo replica la scena dell’aggressione. Quale stazione radar lo ha fatto e perché? Cos’è KA011? Una sonda? La traccia è stata fatta da Marsala? Non è possibile. Marsala ha il codice di identificazione “J”, mentre questo è “KA”. E i palloni non vanno a est, vanno ad ovest, e non possono stare fermi in cielo, e per diverse ore, come KA011. Durante l’inchiesta non si approfondisce e ciò che afferma il sergente Loi al telefono diventa una verità. Fu lo stesso sergente, a ottobre dell’89, nel corso di un interrogatorio, a fare la “rivelazione” sul volo libico su cui avrebbe dovuto trovarsi Gheddafi, circostanza confermata pubblicamente dallo stesso leader libico nel gennaio del ’90.Un’altra icona di questa inchiesta. Peccato che di quel volo, però, non si sia mai trovato il più microscopico indizio sui nastri radar. La sigla “KA”, lo dice la Nato, è l’identificatore della stazione radar di Torrejon, in Spagna, vicino Madrid. Torrejon è la sede del 401th Tactical Fighter Wing dell’US Air Force. Ora un possibile scenario: lì, a Torrejon, qualcuno, tre ore dopo il disastro, stava già lavorando per identificare il probabile colpevole, replicando l’operazione di inganno elettronico messa in atto da AJ450. A questo punto la chiave di volta. Applicando lo stesso fattore di scala “6” ad entrambe le tracce, sia sul piano orizzontale che sul piano verticale,entrambi diventano aerei che vanno ad intersecare la rotta del nostro Dc9 nel momento in cui il velivolo civile, con a bordo 81 innocenti, perde i contatti con il mondo. Solo che la prima (AJ450) lo fa realmente, mentre la seconda (KA011) è una replica fatta tre ore dopo dal radar di Torrejon e trasmessa a Marsala e di qui al comando centrale di Martina Franca. Se parlassimo di uno o più missili che vanno a colpire il Dc9, grazie a questa ricostruzione di rotte e di quote si può misurare l’angolo di salita e d’impatto. È il raccordo fra le lamiere contorte e le file di lettere e numeri. L’elemento su cui potrebbero convergere tutte le forze. A Marsala dovevano sapere benissimo che “KA” era l’identificatore di Torrejon: perché allora depistarono raccontando la balla del pallone? A marzo del ’90 c’era chi sapeva, l’indagine stava per essere affidata a Priore, la commissione Stragi stava lavorando. Ecco perché il “nastro dei misteri” non era stato ascoltato prima di allora, forse perché prima non c’era! La verità si può cercare analizzando i punti rimasti inesplorati, anche venticinque anni dopo, anche se questo vuol dire rimettere in discussione gran parte delle “verità” appese come quadri sul muro di gomma.

di Fabrizio Colarieti per Avvenimenti del 24 giugno 2005 [pdf]