Obbligare la polizia giudiziaria a riferire le notizie di reato per via gerarchica, anziché direttamente all’autorità giudiziaria, come prevede il codice di procedura penale, intacca le attribuzioni costituzionali dei pubblici ministeri. Dunque la norma varata nel 2016 dall’allora Governo Renzi è incostituzionale, come sostengono da tempo i magistrati. Ora lo ha sancito la Corte costituzionale accogliendo il ricorso, per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, avanzato dal procuratore di Bari, Giuseppe Volpe, nei confronti del Governo. Per comprendere come nacque quel decreto legislativo, prima ancora di raccontare la sua fine, è necessario fare un passo indietro. L’esecutivo Renzi lo varò, con l’obiettivo di “razionalizzare le funzioni di polizia”, nelle stesse settimane, era l’estate del 2016, in cui sulle pagine dei giornali comparivano le prime notizie (o, meglio, fughe di notizie) sul coinvolgimento del padre dell’allora premier Renzi e del suo fedelissimo ministro, Luca Lotti, nell’inchiesta Consip. Quale fu l’impatto della norma sulle indagini in corso sulla centrale acquisti della Pa lo hanno raccontato, dando forma al sospetto, i magistrati (prima di Napoli e poi di Roma) che per quelle fughe di notizie hanno recentemente notificato un avviso conclusione delle indagini, tra gli altri, allo stesso ex ministro Lotti (per favoreggiamento), all’ex comandante generale dei carabinieri, Tullio Del Sette (per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento), e al generale dell’Arma, Emanuele Saltalamacchia (anche a lui per favoreggiamento).
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