Sopravvivere alla pandemia del Coronavirus o portare soccorso a una popolazione assediata da Ebola? Oppure resistere a un attacco nucleare? O sgominare terroristi che usano armi batteriologiche o chimiche? A Rieti c'è una cittadella in cui esorcizzare con i fatti e non solo con le preghiere le nostre peggiori paure e dove ogni giorno avvengono operazioni, ad esempio, di trasporto in biocontenimento di contagiati. E' un capoluogo vero, in scala 1/1 compresa una stazione ferroviaria e una della metro e persino un intricato sistema fognario sotterraneo, ad altissima specializzazione: si chiama Nubich (Nucleare, biologico, chimico), è scritto anche sul cartello stradale. Qui ormai da 20 anni si impara a muoversi in scenari che purtroppo sono divenuti reali in tutto il mondo con la diffusione del Covid-19 In Europa è l'unica base di queste dimensioni, ma non è solo dall'Europa che forze armate e associazioni civili vengono a Rieti ad addestrarsi per fronteggiare i peggiori scenari. Una struttura che in questi mesi terribili ha fornito aiuto e know how, ma in maniera discreta.
Qui sono in servizio i professionisti della Scuola interforze per i quali tute, guanti e maschere ad alta protezione sono pane quotidiano. Le indossano decine di volte, ogni anno, addestrandosi a difendere e ad attaccare in ambienti ostili, non solo in caso di potenziali minacce e nemici tradizionali ma, anche, per il rischio legato all’impiego - offensivo - di agenti nucleari, biologici, radiologici e chimici. ...continua a leggere "Dal coronavirus a un attacco nucleare, biologico o chimico: così si impara a sopravvivere a Nubich"
Tag: Rieti
Volevano uccidere Anemone?
Qualcuno voleva morto il costruttore Diego Anemone, il principale protagonista delle inchieste sui grandi appalti, dai Mondiali di nuoto al G8 a La Maddalena, che ristrutturò il quartier generale dell’Aisi a Roma? Proprio la stessa agenzia di intelligence che con un’informativa top secret alla direzione della Casa circondariale di Rieti, dove il costruttore era detenuto tra febbraio e maggio del 2010, riferì dell’esistenza di un piano che puntava ad eliminarlo. I Servizi informarono il direttore dell’istituto che la vita dell’imprenditore poteva essere a rischio, non all’esterno, cioè dal momento in cui fosse stato rimesso in libertà, bensì proprio tra le mura del carcere. La polizia penitenziaria da quel momento in poi sorvegliò a vista la sua cella e non lasciò mai solo Anemone, neanche durante le ore che il costruttore trascorreva negli spazi comuni insieme agli altri detenuti. A un ristretto numero di agenti di custodia fu assegnato l’incarico di sorvegliarlo, anche di notte, fino al giorno della sua scarcerazione, il 9 maggio 2010. La segnalazione giunta alla direzione del carcere – secondo quanto ha appreso Il Punto – era sintetica, solo poche righe nel gergo dell’intelligence per riferire che il Servizio segreto civile aveva appreso, da fonti ovviamente non specificate, che la vita del maggiore indagato delle inchieste sulle cricche era seriamente in pericolo. ...continua a leggere "Volevano uccidere Anemone?"
Scomparsa di Emanuela Orlandi, Turania s’interroga su don Vergari
RIETI - «Don Vergari non lo abbiamo visto, ma tornerà qui a dormire, nell’ex convento delle suore del Sacro Cuore». A Turania, piccolo comune dell’area del Turano, sono tutti sulle tracce di monsignor Piero Vergari. Ora che la notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati, per concorso nel sequestro della 15enne Emanuela Orlandi, è ufficiale, la sua presenza è diventata ancora più ingombrante. «Non l’ho visto», conferma il sindaco, Antonio Di Maggio. «Va e viene, ma oggi la sua auto in piazza non c’è. Si chiude in casa, frequenta poco la nostra comunità, arriva quasi sempre di sera, da Roma». Dello stesso parere anche alcuni vicini, come il signor Lorenzo, suo dirimpettaio in piazza Umberto I: «Oggi qui non c’è e, che io sappia, non era qui neanche ieri. Forse, potrebbe rientrare in serata, ma non conosciamo i suoi spostamenti, anche perché con noi è molto schivo».
La vicenda. Prima che il nome del prelato, ex rettore della basilica romana di Sant’Apollinare, finisse suoi giornali - per la brutta storia del sequestro della 15enne, cittadina vaticana, Emanuela Orlandi (nel giugno 1983) e per la sepoltura, in una cripta di quella stessa basilica, del boss della Banda della Magliana, Enrico De Pedis - a Turania, don Vergari, era un’istituzione. Amato e stimato da tutti, a partire dalle suore del Sacro Cuore, che fin dal ’94, quando Vergari diventò parroco nell’alto Turano, gli avevano dato in uso l’ex asilo, una ventina di stanze, dove tuttora l’anziano sacerdote abita. Poi anche i rapporti con la comunità di Turania si sono raffreddati, nel 2000 è arrivato un altro parroco e le brutte notizie sul suo conto, e i paesani hanno iniziato a mostrargli molta indifferenza. «Se è vero quello che ha fatto - dice uno di loro a Il Messaggero - non lo vogliamo più vedere qui». ...continua a leggere "Scomparsa di Emanuela Orlandi, Turania s’interroga su don Vergari"
Una lettera al Papa per chiedere la verità sul caso Orlandi
È partita da Amatrice, in provincia di Rieti, la campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica promossa da Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, la ragazza scomparsa il 22 giugno 1983 e mai ritrovata. Nel cinema cittadino sono stati distribuiti biglietti da spedire via posta a «Sua Santità Papa Benedetto XVI, Palazzo Apostolico, Segreteria di Stato 00120 Città del Vaticano» per invitare la Santa Sede a fare «tutto ciò che è umanamente possibile per fare chiarezza sul caso di Emanuela Orlandi». I biglietti sono stati distribuiti durante la presentazione del libro-denuncia Mia sorella Emanuela (edizioni Anordest) scritta da Pietro Orlandi assieme al giornalista Fabrizio Peronaci. «Il pubblico intervenuto è rimasto molto colpito da questa iniziativa che presto diffonderemo anche tramite web - ha spiegato Peronaci - ed in tanti hanno assicurato che scriveranno al Papa per arrivare alla verità sul caso di Emanuela Orlandi, rapita in quanto cittadina vaticana». Nel corso della presentazione, Peronaci ha ribadito l'importanza «di una memoria che rigetta l'oblio testimoniata da Pietro che rifiuta di far finire questo giallo tra i grandi misteri italiani irrisolti ed è fondamentale la pressione che potrà essere fatta dalla gente affinchè chi sa alcuni passaggi oscuri, analizzati nel libro, finalmente parli. Una pressione che può essere un elemento in grado di far fare un salto di qualità alla risoluzione del caso». Pietro Orlandi ha anche sottolineato per la prima volta come si sia verificata in questa vicenda «una violazione dell'articolo 1 dei Patti Lateranensi che recita che la Repubblica e la Santa Sede si impegnano al rispetto ed alla reciproca collaborazione per il bene del Paese», ed ha ribadito come «questa iniziativa non sia una forma di ostilità verso la Santa Sede ma un sollecito affinchè quelle energie migliori che hanno avviato quell'opera di purificazione legata al problema dei pedofili faccia chiarezza anche su quei lati oscuri di cui è emblematico il caso Orlandi». (Fonte Ansa)
Caso Orlandi, l'appello del fratello "Scrivete al Papa, chiedo la verità" (la Repubblica)